Recensione Degrees of Separation
di: Simone CantiniCapita, a volte, che i luoghi comuni così tanto bistrattati finiscano per non essere quello stereotipo che tanto amiamo vituperare, risultando invece delle quasi fastidiose, quanto inoppugnabili, realtà: si stava meglio quando si stava peggio, ai miei tempi i treni arrivavano in orario, non ci sono più le mezze stagioni e via discorrendo. Ecco, proprio da quest’ultima e lapidaria affermazione voglio iniziare la recensione di Degrees of Separation, titolo sviluppato dagli scandinavi ragazzi di Moondrop e sceneggiato da Chris Avellone che, badate bene, non è colui che ha scritto la quasi omonima hit di Francesca Michielin.
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A cavallo di due mondi
Ember e Rime sono due giovani, ognuno all’oscuro dell’esistenza dell’altro, in netto contrasto tra loro: la prima è una ragazza che vive in un regno caldo ed assolato, quasi una sorta di eterna estate, mentre il secondo è un giovanotto che abita in un reame perennemente avvolto da un invernale abbraccio di neve e gelo perenni. Eppure, per un qualche bizzarro scherzo del destino, capita che una misteriosa sensazione li spinga improvvisamente ad attraversare un ponte, proprio nello stesso istante, evento che causa una sorta di frattura dimensionale che li porterà ad incontrarsi e a rimanere indissolubilmente legati tra loro. Tale anomalia, però, non riesce ad amalgamare in modo perfetto le loro due nature contrapposte, facendo sì che i climi a cui sono legati continuino ad accompagnarli. Come acqua ed olio, destinati ad essere sempre vicini senza fondersi l’uno con l’altro, il loro incedere in questo pittoresco affresco bidimensionale li porterà a mutare la stagione del luogo al semplice passaggio, elemento che è alla base dei puzzle che scandiscono l’incedere dell’avventura narrata in Degrees of Separation. Starà a noi, come prevedibile, prendere di volta in volta il controllo di uno dei due giovani, sfruttando le loro caratteristiche per superare i vari stage e raccogliere i collezionabili sparsi per i livelli. Ovviamente, visto questo intrinseco dualismo, potremo anche scegliere di giocare in compagnia di un amico, rendendo di fatto più immediata la gestione delle varie situazioni. Un’idea non originale nelle sue fondamenta, si pensi a Brothers o al recente Unravel 2, ma che ha nel modo in cui questa cooperazione forzata viene gestita il maggior punto di forza della produzione Moondrop. Ho volutamente tralasciato, nonostante il nome citato in apertura, la storia, che per quanto presente in forma di voce narrante, non raggiunge certo i picchi toccati dalla penna legata a Fallout ed Icewind Dale, ma si limita a tratteggiare un’esile favola.
Strange déjà vu
Come detto poco sopra, i puzzle presenti in Degrees of Separation fanno leva sui poteri di Ember e Rime, con la prima in grado di nuotare nelle acque e di attivare i pannelli solari legati al funzionamento di determinati macchinari, mentre il secondo potrà congelare i liquidi (trasformandoli in superfici percorribili) oppure bloccare i getti d’aria. Tutto giocherà, quindi, attorno alla necessità di alternare le due stagioni legate ai protagonisti, cercando di volta in volta l’equilibrio ideale tra le loro due presenze. Il sistema funziona e, almeno nelle prime battute, stupisce anche gli occhi, solo per poi cadere sul lungo periodo sotto i colpi della ripetitività: le circa 5-6 necessarie a giungere all’epilogo, difatti, sono estremamente avare di variazioni ludiche, con le prime sezioni che finiscono per mettere rapidamente sul piatto tutte le carte più interessanti della produzione che, non potendo contare su di una narrazione memorabile, potrebbe affievolire con troppa velocità l’entusiasmo del giocatore. Quest’ultimo, però, trova nuova linfa all’interno del comparto tecnico/artistico del titolo, grazie ad una grafica sognante a metà strada tra alcune suggestioni dei Vanillaware ed il sognante Child of Light, accompagnata in modo magistrale da una convincente colonna sonora. Peccato che, nonostante la localizzazione testuale in italiano, il voice over presenti una traccia nella nostra lingua.
Degrees of Separation, proprio come i suoi due protagonisti, è animato da uno spiazzante dualismo, caratterizzato come è da un’idea intrigante, ma che finisce per esaurire il proprio entusiasmo un po’ troppo rapidamente. Pur presentando un gameplay intrigante, oltre che scenicamente convincente, la ripetitività marcata che contraddistingue l’avventura potrebbe stancare tutti coloro che si attendono una serie ininterrotta di capovolgimenti di prospettiva. Se siete comunque in cerca di un’avventura leggera e delicata, realizzata con una invidiabile cura per i particolari, il lavoro di Moondrop ed Avellone potrebbe soddisfare la vostra sete, anche se lo farà con la forza di un semplice bicchiere di acqua, e non di un millesimato champagne.