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Recensione Deathbound

di: Marco Licandro

A volte vogliamo provare un prodotto prima di acquistarlo: è la cosa migliore. Nel caso dei giochi, non c’è niente di meglio di una demo per farci provare con mano il titolo e scoprire se ci piace o meno, ma non è sempre così. Ad esempio ricordo perfettamente di aver giocato la demo di Resident Evil 5 e averla trovata estremamente paurosa e difficile, e non acquistai il titolo, convinto che il gioco non facesse per me.

Poi, capitò che un amico avesse il gioco fisico e me lo prestasse, e lì iniziai a giocarlo sin dall’inizio, iniziando a conoscere i personaggi, la trama, scoprendo poco a poco i comandi, e RE5 diventò uno dei titoli che più giocai, tanto che nell’online aiutavo la gente a completare le missioni in co-op.

In Deathbound è successa una cosa simile. Il titolo, prodotto da Trialforge Studio, e pubblicato da Tate Multimedia, è un titolo souls-like unico nel genere, grazie alla possibilità di avere un party di personaggi e scambiarli a piacimento durante il gameplay, e per questo provai la demo, solo per poi lasciarla dopo pochi minuti di gioco, confuso e perplesso da questo strano gameplay.

Una volta provato invece il gioco completo, qualcosa si accese, così come mi successe quella volta con Resident Evil, grazie ad una narrazione ed un sistema di combattimento che rendono questo titolo una sferzata d’aria fresca nel genere.

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Tipo Souls, sì, ma diverso

Souls-like, questo termine che ormai viene utilizzato in ogni modo per definire un genere creato e caratterizzato da FromSoftware, e da lì imitato in ogni sua forma, offrendo al giocatore una sfida a volte sbilanciata e forzata, per via di nemici che infliggono 10 volte più danno di quanto dovrebbero, e un tipo di combattimento vagamente RPG.

Deathbound ha qualcosa simil souls, è vero, ma si scosta al contempo per via di uno stile più action-adventure, con una narrazione molto più lineare e facilmente digeribile comparata con il genere, ed un sistema di attacchi che sfrutta le differenze tra i vari membri del party.

Il protagonista sarà Therone Guillaumen, un nobile della Chiesa della Morte che fa di tutto per difendere il suo credo e screditare quello delle fazioni nemiche. Inizieremo giocando con lui, armati di spada e scudo, e facendo fuori i nemici come abbiamo sempre fatto: sfoderando attacchi rapidi e pesanti, effettuando parate, nonché parry, e proseguendo nei vari livelli  sconfiggendo tutto ciò che si muove accumulando punti esperienza.

La novità del titolo, che chi ha provato la demo saprà già, è che dopo circa mezz’ora di gioco incontreremo il cadavere di un’assassina, e una volta narrata la sua storia, il titolo ci introdurrà intelligentemente ad un tutorial che permetterà un tipo di attacchi diversi da quanto visto finora, come le uccisioni furtive alle spalle, gli attacchi in salto, e quelli a distanza con la balestra. Inutile a dirsi, questa persona entrerà immediatamente nel nostro party, scambiandosi di corpo in un lampo, e generando battibecchi quasi comici con il nostro personaggio.

Questo accadrà altre quattro volte, visto che avremo a disposizione sei personaggi, di cui quattro equipaggiabili, in una storia che mischia mistero, esperimenti di laboratorio, e temibili boss, il tutto rilevando la storia di ogni personaggio creando quindi una narrazione costante nel titolo, cosa che normalmente in questo genere viene invece giusto accennata e riservata alla ormai abusata “lore”.

I livelli di gioco non eccellono particolarmente per varietà o disegno, proponendo in realtà una struttura a corridoi molto simile appunto al Resident Evil poc’anzi citato, dove l’unica sfida nell’esplorazione è dovuta più sulla ricerca di oggetti per aprire le porte o azionare ascensori, che sull’effettiva qualità del level design, funzionale ma non particolarmente interessante.

Per quanto riguarda invece il gameplay relativo all’azione, beh, qui abbiamo bisogno di un paragrafo specifico.

Un gameplay reso unico

Nonostante la difficoltà a volte frustrante (non mi aspettavo nulla di meno) mi son ritrovato a volte a rendermi conto che questo gameplay mi stesse sorprendendo in maniera piacevole. D’altronde, da gamer di vecchia data, cerco sempre quel qualcosa che mi sproni a continuare, quel non so che di diverso che mi faccia venire voglia di spendere svariate ore di fronte alla tv.

Deathbound in parte riesce a rendersi unico, grazie ad uno stile action rpg, con meccaniche souls-like. E qui vorrei spiegarvi cosa intendo dire:

Action, in quanto i nostri personaggi avranno attacchi diversi, e sarà possibile combinarli e sfruttare le capacità di ognuno anche in mezzo alla lotta, scambiandoci rapidamente da un personaggio all’altro generando spettacolari combo, ammesso che avremo accumulato abbastanza sincronia per farlo.

RPG, in quanto c’è bisogno di utilizzare oggetti, equipaggiare armature, anelli, nonché accumulare esperienza da spendere nel grande albero delle abilità.

Quest’ultimo, tra l’altro, permette di sbloccarne alcune che si possono utilizzare solo con due membri del party insieme, spingendo il giocatore a creare combinazioni, ma facendo attenzione anche ai bonus e malus che questi comportano. Sì, perché le varie fazioni portano i personaggi ad andare in accordo o in disaccordo, portando a volte vantaggi e ad altre degli svantaggi, come un potenziamento dei danni a discapito di un maggior consumo di stamina.

Quest’ultima possiede anch’essa un concetto interessante, corrispondendo infatti alla quantità di salute del personaggio. Questo significa che più saremo in pericolo di morte, e più potremo sfoggiare meno attacchi, essendo entrambi salute e stamina estremamente ridotti. Fortunatamente potremo cambiare di personaggio rapidamente, ed ogni attacco andato a segno farà salire leggermente la salute negli altri attualmente non equipaggiati.

Facile? Non proprio, visto che ai nemici basterà farci fuori un solo dei quattro personaggi per morire e tornare al classico “falò”, o alla grazia di turno, con i punti esperienza finora accumulati ormai persi, a meno che non vengano recuperati nello stesso luogo della morte.

Questo mix di regole andrà appreso e maneggiato con l’esperienza, in modo da strutturare al meglio il tutto durante i combattimenti, soprattutto nelle dure battaglie contro i boss, dove dovremo mettere in pratica quanto appreso e sfruttare i bonus, i malus, le combo dei personaggi, e cambiarli spesso per ripristinare la salute.

Vi sono anche alcuni ricordi, sparsi per il mondo di gioco, visibili solo da alcuni specifici personaggi che dovremo necessariamente equipaggiare, così da visionarli e imparare di più su di loro, e che a fine ricordo ci daranno alcuni bonus.

In conclusione

Deathbound è un titolo estremamente valido, con un gameplay arzigogolato e ricco di personalizzazione, con svariate regole da imparare e mettere in pratica per sopraffare la sfida posta dal gioco. Nonostante un level design non proprio eccellente, il souls-like di azione riesce comunque a interessare e intrattenere, fornendo un po’ di aria fresca al genere che, salvo i capolavori di FromSoftware, stava ormai diventando un po’ stantio. Consigliato.