Recensione Daymare 1998
di: Simone CantiniC’era una volta… “Un re!”, diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta una piccola software house italiana, cresciuta all’ombra dei survival horror classici, che un bel giorno decise di cimentarsi nel remake di uno di questi titoli leggendari. Furono mesi di duro lavoro, ma gli sforzi compiuti furono ampiamente certificati dai risultati eccellenti che stavano, poco a poco prendendo forma, attirando sui ragazzi di Invader Studios le attenzioni del grande pubblico. Non furono, però, soltanto questi gli occhi che si accorsero di tale lavoro, dato che anche quella Capcom, detentrice dei diritti del gioco oggetto del restyiling, si rese ben presto conto di ciò che stava accadendo negli uffici romani. Fine del sogno? Assolutamente no, dato che il colosso nipponico, invece di tarpare le ali ai giovani creativi, li invitò nella loro sede, per condividere pensieri e suggerimenti: e fu così che quel remake di Resident Evil 2 tornò nelle mani dei legittimi proprietari, non senza, però, che il lavoro svolto fino ad allora si trasformasse nel riuscitissimo Daymare 1998.
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Strange déjà vu
Capita davvero raramente che episodi simili, quando in ballo ci sono diritti di best seller di tale calibro, si concludano con un bentrovato happy ending, ma per nostra fortuna il caso di Daymare 1998 rappresenta una felice eccezione. A dispetto di un debito che è estremamente evidente nei confronti del secondo episodio della serie horror firmata Capcom, il lavoro dei ragazzi di Invader Studios ha dimostrato di sapersi reggere saldamente sulle proprie gambe, proponendo una rilettura del genere a cui si ispira senza dubbio fortemente derivativa, ma non per questo priva di spunti personali ed interessanti. L’eredità più evidente si riscontra già nelle primissime battute del plot, che vede un gruppo di soldati della H.A.D.E.S. (Hexacore Advanced Division for Extraction and Search) inviato a recuperare i campioni di un letale gas situato in un laboratorio della Hexacore, con il quale si sono persi improvvisamente i contatti. Inutile dire come l’operazione non si concluda come preventivato, ed in seguito ad un incidente l’oggetto della ricerca finisca per contaminare l’aria della cittadina di Keen Sight, trasformandone gli abitanti in letali zombie assetati di carne umana. Suona giusto un po’ familiare, non trovate? Eppure, nonostante tutte le inevitabili analogie con Umbrella e Raccoon City, i ragazzi del team romano sono riusciti ad intavolare una sceneggiatura tutto sommato estremamente personale, e non priva di spunti decisamente interessanti, che può beneficiare su di un cospicuo numero di documenti sparsi nell’area di gioco (ma anche su di un reale sito web accessibile grazie ad alcuni collezionabili), che permettono di dare vita ad una lore sicuramente affascinante, ricca di elementi lasciati volutamente in sospeso, così da poter spianare la strada agli eventuali (ed auspicati) sequel. Un altro punto a favore della narrazione di Daymare 1998 è sicuramente costituito dalla presenza di tre differenti personaggi giocabili, ognuno con la sua storyline definita, i cui destini finiranno per intrecciarsi man mano che proseguiremo nel corso dell’avventura, spalmata nel corso di circa 10 ore. Se è vero che la prima porzione, che ci vedrà vestire i panni dello spietato Liev, è risultata invero alquanto deboluccia, è con l’arrivo del guardaboschi Sam che la struttura ludica subisce una piacevole impennata, complice anche la patologia allucinatoria di cui soffre, in grado di mettere sul piatto piccoli spezzoni di gameplay davvero ben realizzati ed intriganti. Decisamente più action la sezione dedicata all’ultimo personaggio, di cui preferisco non svelare l’identità, che rende l’incedere maggiormente incentrato sugli scontri a fuoco, piuttosto che ad un approccio maggiormente votato all’evitare le minacce. Ci troviamo, quindi, al cospetto di una cornice narrativa alquanto solida, capace di tenere incollato il giocatore fino agli ultimi momenti della campagna, decisamente scoppiettanti e ricchi di colpi di scena, anche se fiaccati da un bilanciamento della difficoltà non proprio in linea con il resto del gioco. Per chiudere il cerchio attorno ai difetti di scrittura, è lecito parlare della non perfetta riuscita delle numerose cutscene che intervallano l’azione di gioco, a tratti sin troppo prolisse e sorrette da una recitazione digitale non certo all’altezza. Niente di così drammatico, sia chiaro, ma sotto questo aspetto si può decisamente migliorare.
Sulle orme dei grandi
Come dichiarato più volte anche dagli stessi sviluppatori, l’idea alla base di Daymare 1998 era quella di realizzare un survival horror duro e puro che, pur al netto di qualche piccola concessione nei confronti della modernità (abbandono della regia fissa in primis), avrebbe dovuto riportare in auge meccaniche ed atmosfere dei survival horror di fine secolo scorso. E in questo senso l’obiettivo può considerarsi pienamente riuscito, visto il modo in cui le atmosfere e le meccaniche ludiche si trovano declinate all’interno della produzione firmata Invader Studios. Il gameplay ricalca in toto quello dei TPS over the shoulder, con un inventario a disposizione alquanto ridotto, e che ha come peculiarità uno degli aspetti di cui gli stessi ragazzi del team vanno maggiormente fieri (a proposito, avete letto la nostra intervista?): la Doppia Ricarica. A differenza di altre produzioni simili, in cui la pressione del tasto dedicato alla ricarica dell’arma rende automatica l’operazione, in Daymare 1998 questa funzione sarà possibile solo se in possesso di un caricatore pronto all’interno dell’inventario. In assenza di questo dovremo accedere al D.I.D. (il computer da polso che funge da inventario), senza che il gioco vada in pausa, ed inserire manualmente i proiettili nella bocca da fuoco. L’idea sulla carta è sicuramente interessante, e mira a conferire al tutto una benvenuta spruzzata di realismo in più, ma in certi frangenti finisce per risultare decisamente troppo scomoda: trovarsi con i caricatori svuotati durante uno scontro con un boss, rende l’operazione di ricarica sin troppo farraginosa, lasciandoci facilmente in preda dei colpi nemici. Soprattutto nelle fasi iniziali, quindi, una simile trovata lascia alquanto spiazzati, anche perché è facile giocare con il pilota automatico, figlio di anni in cui il reload è sempre stato questione di attimi. Una volta presa confidenza con tale feature, però, Daymare 1998 scorre senza problemi sotto gli occhi del giocatore, complice anche una struttura capace di alternare azione, esplorazione ed enigmi ben congeniati, in grado di spezzare il ritmo di gioco in modo coerente. Promosso anche il level design generale, che pur dipanandosi all’interno di location che più classiche non si può (ospedali, fogne, laboratori di ricerca, eccetera), presenta un’architettura costruttiva convincente, condendo il tutto con un po’ di sano backtracking a cui è impossibile rinunciare in simili produzioni. Pollice verso, invece, per quanto riguarda gli scontri con i boss, in cui ad eccezione di un caso, non dovremo fare altro che girare attorno al nemico di turno e riempirlo di proiettili: non proprio lo stato dell’arte della strategia.
La forza della passione
Impeccabile il lavoro stilistico svolto, che se è vero latiti un po’ in originalità per ciò che riguarda la realizzazione delle varie creature, invero alquanto generiche, esce promosso per quanto concerne l’atmosfera generale, grazie anche all’inserimento di numerose citazioni videoludiche e cinematografiche, segno evidente dell’amore che il team nutre per l’intrattenimento, sia digitale che cinematografico. Per un occhio attento, difatti, sarà davvero difficile non scorgere nei graffiti che imbrattano le mura di Keen Sight, in qualche defunto abitante della città, oppure in alcuni oggetti di scena, elementi capaci di richiamare alla mente con prepotenza vecchi classici oramai radicati nell’immaginario di ogni videogiocatore. Puntare tutto sul mero citazionismo nostalgico, però, sarebbe stato sin troppo facile, così come parlare esclusivamente di questo non rende merito all’abilità con cui i ragazzi di Invader Studios sono riusciti a modellare il loro mondo di gioco, grazie all’ausilio del versatile Unreal Engine: stupisce, soprattutto considerando l’esigua estensione del team, la qualità e la ricchezza di particolari presenti nei vari ambienti, con una illuminazione capace di conferire quel guizzo in più all’intera messa in scena. Ottimo anche l’accompagnamento audio, ad eccezione di alcune linee di doppiaggio non proprio riuscite (purtroppo solo inglese, anche se tutto è sottotitolato in italiano), ma che può contare su di un’effettistica ambientale eccellente, così come di una colonna sonora ricca di suggestioni passate, che riesce a sottolineare con efficacia i vari passaggi del gioco. Come detto poco sopra, lato puramente tecnico, c’è soltanto da lavorare sul fronte recitativo e registico delle cutscene, per i motivi già evidenziati, a cui si aggiungono alcune incertezze nelle compenetrazioni in caso di nemici posti dietro alle porte: niente di così grave, comunque, tale da compromettere l’esperienza generale. Qualche ingenuità figlia dell’inesperienza del team, inoltre, è stata registrata in fase di collocazione di alcuni nemici, in certi frangenti posti subdolamente dietro angoli ciechi, elemento che rende impossibile sfuggire ad un attacco.
E alla fine siamo giunti al termine di questa favola videoludica italiana, al momento di tirare le somme e gustarci la morale della storia, che ci insegna a credere con forza nei nostri sogni. Sì, perché a dispetto del nome, Daymare 1998 non è altro che la materializzazione del desiderio di un gruppo di appassionati, che sono riusciti a dimostrare come il duro lavoro e la passione possano rendere tangibili anche le illusioni più gigantesche. La produzione firmata Invader Studios è difatti riuscita a rendere omaggio con successo ai grandi classici a cui non nega di ispirarsi, riuscendo nel contempo a proporre una rilettura convincente e a tratti decisamente personale di stilemi già codificati da studi oramai storici. Sicuramente derivativo nella sua ossatura, il lavoro del team romano non pecca comunque in personalità, complice una scrittura tutto sommato accattivante e ricca di spunti, a cui si accompagna un gameplay solido e convincente, fiaccato soltanto da alcune piccole incertezze nell’economia generale. Daymare 1998, di sicuro, non riscrive la storia dei survival horror, ma non per questo non riesce ad avvicinarsi con spavalderia al trono dei massimi esponenti del genere, non sfigurando affatto al loro cospetto. A questo punto, visto anche il finale capace di lasciare ancora molte questioni in sospeso, non resta che mettersi buoni ad attendere il prossimo capitolo di questa saga tutta italiana.