Recensione Dark Souls 3
di: Simone CantiniQuando venne presentato per la prima volta in Giappone, tra l’altro senza fornire certezze in merito al suo sbarco occidentale, Demon’s Souls lasciò decisamente interdetti gli addetti ai lavori. A dispetto di un aspetto tecnico abbastanza grezzo e al fatto che una semplice demo non era sufficiente ad illustrare la complessità di un gameplay fortemente ancorato a canoni passati, il titolo From Software riuscì comunque a scrollarsi autonomamente di dosso tutte le perplessità. Il passaparola di coloro che si erano cimentanti comunque nell’avventura, grazie all’assenza di blocchi regionali su PS3, spinse Sony a distribuire il gioco anche al di fuori dei patri confini, rendendolo un piccolo classico. E questo anno zero degli action/RPG non poteva certo rimanere un unicum: spinto dal successo sotterraneo, il lavoro di Hidetaka Miyazaki finì per sentirsi troppo costretto tra le sole pareti della console Sony. Ed è così che grazie a Bandai Namco possiamo oggi gustarci Dark Souls 3, il terzo episodio della costola multipiattaforma della serie Souls.
accettare i cookie con finalità di marketing.
Anime in pena
Addentrarsi nella narrativa di Dark Souls 3 è davvero difficile, per più motivi. Vuoi perché i fan incalliti del particolare modo di narrare di Miyazaki-san amano sviscerare in prima persona la mitologia e gli indizi disseminati nell’area di gioco, vuoi perché la cripticità del tutto rende davvero difficile dare una spiegazione univoca in tempi brevi. Ecco, quindi, che mi limiterò a dirvi che in questa nuova e mortale avventura impersoneremo la classica anima non morta, il cui compito sarà quello di sconfiggere i cinque Signori dei Tizzoni. L’universo di gioco è sempre il medesimo dei capitoli precedenti, pertanto, almeno per i più attenti, non mancheranno richiami a luoghi, eventi e personaggi già conosciuti in passato. E più non dirò, sia per non rovinare la sorpresa della scoperta, sia perché non voglio incappare nelle offese degli studiosi del lore qualora avessi male interpretato un passaggio. Anche perché, almeno per il sottoscritto, è la bontà stessa del gioco il motivo per cui mi sono sin dagli inizi innamorato di questo nuovo/vecchio modo di intendere il videogame.
Tra vecchio e nuovo
Lato gameplay Dark Souls 3 rappresenta un gradito, almeno per il sottoscritto, ritorno alle origini del genere, dato che pesca a piene mani dall’eredità di quel Demon’s Souls citato in apertura. La similitudine tra i due titoli è evidente nella reintroduzione di una terza barra energetica, presentata in blu, che rappresenta la versione Miyazakiana del mana: miracoli, incantesimi e piromanzie adesso avranno il loro utilizzo legato a tale valore che, una volta esaurito, renderà inutilizzabili i vari incantamenti. La barra va anche ad impattare su quella che è una delle più importanti novità del combat system di Dark Souls 3, ovvero l’Arte della Guerra. Ogni arma, una volta impugnata a due mani, permetterà di sbloccare nuovi moveset peculiari, il cui impiego è legato alla pressione del grilletto sinistro del pad, ovviamente al prezzo di parte della barra in questione. Le possibilità offerte da tale impostazione di lotta sono molteplici, fattore che rende ancora più gustoso sperimentare con mano le varie armi (e sono taaante!) presenti nel gioco. Trattandosi di valore consumabile, appare logico pensare che From Software abbia introdotto anche un sistema utile al suo ripristino al di fuori del consueto uso dei falò. E la soluzione adottata è tanto semplice quanto capace di modificare sensibilmente la canonica gestione di un oggetto che, nel corso degli anni, abbiamo imparato a conoscere molto bene: stiamo parlando dell’Estus. In questo terzo episodio la celebre fiaschetta avrà un duplice utilizzo, dato che servirà sia a ripristinare i punti vitali che il mana. Gli utilizzi per ciascuna tipologia saranno però gestiti in prima persona dal giocatore che, tramite il fabbro presente all’Altare del Vincolo (di cui parlerò tra poco), potrà decidere come suddividere le varie cariche disponibili. Tale scelta si rivelerà spesso determinante in occasione degli scontri con i boss, dato che a seconda della vulnerabilità o meno degli stessi agli incantamenti può portare a sbilanciare la nostra scelta in favore di un determinato effetto, piuttosto che a calibrare equamente il tutto. Messe semplicemente così in fila, tutte queste presunte modifiche potrebbero sembrare davvero marginali, ma vi assicuro che pad alla mano l’impatto sulla strategia di gioco è ben più marcato di quanto si possa immaginare. Il classico uovo di Colombo insomma. A tenere saldamente in mano le briglie della tradizione ci pensa la canonica gestione del personaggio e dei suoi oggetti/armamenti, fedele copia carbone di quanto costruito negli anni dal team nipponico: la pressione della croce direzionale permette, ovviamente in tempo reale, di switchare le varie armi e i consumabili, mentre al dorsale e al grilletto destro sono legati rispettivamente l’attacco standard e quello pesante. L’esperienza maturata con Bloodborne ha reso, inoltre, più reattiva la rotolata del personaggio, adesso leggermente più agile rispetto al passato. Ovviamente a patto di non cimentarsi in una build pesantemente corazzata. Echi del tanto bistrattato Dark Souls 2 si avvertono invece per quanto concerne l’amato New Game+, vero banco di prova dei veterani dei Souls: come nel precedente episodio la sconfitta dell’ultimo boss non catapulterà in automatico il player nella nuova run, bensì permetterà di continuare a giocare tranquillamente, di modo da sviscerare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, tutti gli aspetti nascosti del gioco. Il mondo di Dark Souls 3, difatti, presenta la consueta cura maniacale nella costruzione degli ambienti, il cui level design non tradisce le aspettative dei fan, pur cadendo vittima di un certo fattore déjà-vu, comunque comprensibile dopo cinque esponenti del genere. Tale sensazione di scarsa novità si avverte principalmente nelle prime fasi di gioco: il castello di Lothric è forse la zona che maggiormente risente di tale aspetto, complice anche un piccolo passaggio infuocato che strizza un po’ troppo l’occhio al passato. Ciò che però non può certo essere criticata è la direzione artistica della scena che, forte anche della magistrale esperienza vissuta in Bloodborne, non può certo lasciare insensibile anche il più incallito veterano della saga. Farà inoltre piacere constatare come il level design abbia abbandonato la struttura quasi a compartimenti stagni, già oggetto di critiche, vista in Dark Souls 2, il tutto in favore di uno stile che riprende con veemenza il mai troppo lodato mondo connesso presente nel capitolo ancora precedente, pur senza però raggiungerne le vette creative ed estensive. Trovarsi a vagare in quello che sembra un labirinto incomprensibile per decine di minuti, finire con l’imbattersi in una porticina nascosta che, una volta sbloccata, non fa altro che condurci al falò di partenza (creando però una vitale scorciatoia) continua a meravigliare ancora oggi, soprattutto per l’intelligenza con cui le varie strutture sono realizzate. Un ritorno ad un passato che richiama echi del Nexus si può trovare nell’Altare del Vincolo, l’hub di gioco in cui è possibile recarsi per spendere le anime accumulate al fine di potenziare il proprio avatar, acquisire oggetti e potenziamenti ed interagire con i vari personaggi incontrati nel corso dell’avventura.
E poi ci sono loro, senza dubbio il fine ultimo che spinge gli apparentemente masochisti amanti dei Souls a cimentarsi in tali giochi: i boss. Anche in questo caso la cura Miyazaki ha dato i suoi frutti, grazie ad un cast di creature demoniache di tutto rispetto. Se eravate rimasti in parte delusi dalla poca varietà di sfida offerta dalle controparti affrontate in Dark Souls 2, preparatevi ad essere felicemente (e mortalmente) sbalorditi ancora una volta. Gli scontri sono quanto mai vari tra di loro e richiedono costantemente un approccio profondamente differente: girare sempre attorno al bestione di turno in cerca di un varco, colpire dalla distanza oppure lanciarsi in frenetiche combo finiranno con il decretare nella quasi totalità dei casi una sconfitta precoce. Intuire la strategia migliore per avere la meglio su tali avversari che, al primo incontro (ma anche al secondo, al terzo, al quarto e anche più) possono sembrare impossibili da sconfiggere, farà la differenza tra l’essere ridotti ad una pozza di sangue e la vittoria. Con conseguente esplosione di gioia, unita ai canonici batticuore e dito medio rivolto allo schermo. E i boss sono anche l’occasione per tornare, ancora una volta, sul fattore difficoltà di Dark Souls 3: definirlo inutilmente frustrante, futilmente bastardo e fortemente punitivo è quanto mai sbagliato. Sì, è vero che si muore tanto, troppo e più spesso rispetto alla media attuale dei giochi, con conseguente perdita dei vari progressi accumulati: ma forse questo non è sempre accaduto sin dagli albori del videogioco? Non è che siamo noi player ad esserci rammolliti. Anche perché un esame attento delle meccaniche rivela che la morte è nel 90% dei casi da imputare ad un errore del giocatore stesso, dato che il programma lascia sempre aperta la porta ad una via di fuga. Forse talvolta tale finestra è davvero infinitesimale, ma la morte non è mai da imputare ad un comportamento scorretto da parte del codice. Dark Souls 3, a dispetto delle speedrun che popolano e popoleranno il web, è un gioco da affrontare con calma, quasi una partita a scacchi in cui ogni mossa deve essere ponderata con attenzione, nella speranza che la CPU non abbia già pronta l’eventuale e letale contromossa. Per apprezzare appieno la formula rispolverata da Miyazaki e From Software bisogna solo scrollarsi di dosso il quotidiano modo di affrontare i videogames: se ci scordiamo dei checkpoint ogni due metri e entriamo nell’ottica che anche il più scalcinato dei mob può squartarci con un paio di fendenti, di sicuro la nostra permanenza in vita in queste lande letali sarà decisamente più lunga.
Vittima dell’ambizione
Tutte le belle parole spese fino ad ora lasciano supporre di trovarsi al cospetto del gioco perfetto, di una grandiosa ode all’intrattenimento videoludico targata From Software. Però, come ci insegna la Fata Turchina, il dolce si accompagna da sempre anche all’amaro. Al rosolio di un gameplay rodato, profondo e dannatamente appagante, si contrappone difatti l’acquaccia amara di un comparto tecnico non certo all’altezza della bontà ludica di Dark Souls 3. Trattandosi di un titolo che giunge sul mercato nel pieno della maturità dell’attuale generazione di console, trovarsi al cospetto di un motore incapace di garantire un frame rate incollato almeno ai 30 frame al secondo è quanto meno imbarazzante. Certo, non siamo ai tristemente noti livelli della Città Infame, più uno slideshow di diapositive che uno stage di gioco, però i rallentamenti sono evidenti, anche in situazioni non certo caotiche. Ed in un gioco che fa del tempismo e della velocità di reazione uno dei cardini del gameplay non può che lasciare basiti. Vero è che con la patch 1.03 la situazione è decisamente migliorata (almeno su PS4, dove ho provato il titolo), ma i granitici 30 frame al secondo sono ancora assenti ingiustificati, pur presentando una fluidità decisamente più convincente di quella garantita dal gioco liscio. Alla luce di questo rimango ancor più saldamente ancorato alla mia convinzione secondo la quale un gioco debba essere tarato sulle potenzialità della macchina su cui è chiamato a girare: trovo inutile presentare un’opulenza estetica se questa non è coadiuvata da una fluidità altrettanto marcata. E mai come in questo caso avrei preferito delle strutture più semplici e magari meno effetti, in favore di un maggiore stabilità del numero di frame. Graficamente, invece, al netto di un po’ di aliasing, la messa in scena di Dark Souls 3 è eccellente, più però per la già citata direzione artistica che per mera esternazione di forza bruta. Certo, sono sempre presenti alcune compenetrazioni e una telecamera che fa le bizze in alcuni frangenti, ma fortunatamente si tratta di episodi che, almeno loro, non inficiano in maniera sensibile sulla giocabilità. Impeccabile il sonoro, capace di sottolineare sapientemente le varie fasi di gioco grazie ad un’orchestrazione magistrale. Peccato per l’assenza di un voice acting in italiano, visti gli ottimi risultati ottenuti con Bloodborne e la presenza di un numero di dialoghi non certo massiccia. Anche i caricamenti (per fortuna!) non hanno niente a che spartire con l’esclusiva PS4, dato che sono davvero rapidi e rendono gli spostamenti una vera passeggiata. Avrei voluto anche parlarvi in maniera dettagliata dell’online, ma dato che durante la prova i server erano inaccessibili tutto quello che posso dire, almeno stando a quanto letto in game, non si dovrebbe discostare poi molto da quello classico della serie. Al pari di quanto visto in Bloodborne è presente un sistema di password, utile per semplificare la collaborazione tra amici: una scelta davvero azzeccata, seppur ancora un po’ troppo macchinosa. La chiusura dei server ha impedito anche di sperimentare con mano la consistenza dei vari Patti a cui è possibile aderire. Un vero peccato.
Dare un giudizio a Dark Souls 3 è stato quanto mai arduo, quasi una lotta interna tra due entità costrette a condividere lo stesso spazio. Da un lato c’era il fan della serie, capace di andare tranquillamente oltre alcune pecche oggettive in nome di un’esperienza ludica dal fascino indiscutibile. Dall’altro si trovava l’anima del recensore, colui chiamato ad essere il più imparziale ed oggettivo possibile, un compito quasi più arduo del raggiungere i titoli di coda del gioco in questione. Lo scontro alla fine si è concluso ed il voto che trovate in basso rappresenta l’esito di questa battaglia epocale. Dark Souls 3 è un titolo sontuoso, la perfetta summa di un’eredità che affonda le sue radici nel lontano 2009. L’ambizione è però anche il più grande tallone di Achille della produzione From Software, che cade sotto i colpi di un comparto tecnico incapace di adattarsi con intelligenza alle potenzialità delle macchine da gioco su cui è chiamato a girare. Rimanere abbagliati da una giocabilità diversa dal solito, ma non per questo insoddisfacente, così come da una direzione artistica magistrale è estremamente facile. Però è altrettanto semplice accorgersi delle incertezze tecniche che minano in parte la resa complessiva di questo suggestivo affresco. Andare oltre, ahimè, si è rivelato impossibile: speriamo che questo ostacolo possa essere definitivamente sconfitto dallo stesso Miyazaki grazie a nuovi update, ma in assenza di una soluzione definitiva l’olimpo della perfezione rimane ancora qualche gradino al di sopra della testa di Dark Souls 3.