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Recensione D4

È passato un anno da quando, durante l'E3 del 2013, venne annunciato D4: Dark Dreams Don't Die. Un anno e qualche mese per essere precisi. Periodo in cui, della neo annunciata esclusiva per Xbox One, si è saputo davvero ben poco da parte di Microsoft mentre Access Games, software house a capo del progetto, rilasciava informazioni col contagocce.
Erano in molti ormai a temere che il motivo dietro a questo silenzio fosse lo stato ancora precario dei lavori sul gioco, visto anche il particolare sistema di controllo originariamente basato sull'uso del Kinect e la necessità di doverlo adattare a quello del pad, venendo incontro alle richieste del pubblico.
Silenzio che è stato inaspettatamente rotto quando, il 18 settembre, durante la vetrina videoludica annuale offerta dal Tokyo Games Show, è stata annunciata la data di lancio di D4: Dark Dreams don't Die, fissata per il giorno successivo. Nemmeno 24 ore dopo, infatti, era possibile scaricare tranquillamente il gioco, disponibile (per ora) esclusivamente in digital delivery, dallo store Microsoft.
Una mossa che in fondo non ha nulla di troppo strano, se si pensa che dietro a D4 vi è Hidetaka Suehiro, alias Swery, game director di un gioco folle e al contempo ragionato come Deadly Premonition, liberamente ispirato a un cult dei primi anni '90, "I segreti di Twin Peaks", che ha letteralmente spaccato in due la critica con valutazioni che variano dal 10 "conquistato" sulle pagine di Destructoid al 2 di IGN.

di: Luca "RukaManni" Manni

È passato un anno da quando, durante l’E3 del 2013, venne annunciato D4: Dark Dreams Don’t Die. Un anno e qualche mese per essere precisi. Periodo in cui, della neo annunciata esclusiva per Xbox One, si è saputo davvero ben poco da parte di Microsoft mentre Access Games, software house a capo del progetto, rilasciava informazioni col contagocce.
Erano in molti ormai a temere che il motivo dietro a questo silenzio fosse lo stato ancora precario dei lavori sul gioco, visto anche il particolare sistema di controllo originariamente basato sull’uso del Kinect e la necessità di doverlo adattare a quello del pad, venendo incontro alle richieste del pubblico.
Silenzio che è stato inaspettatamente rotto quando, il 18 settembre, durante la vetrina videoludica annuale offerta dal Tokyo Games Show, è stata annunciata la data di lancio di D4: Dark Dreams don’t Die, fissata per il giorno successivo. Nemmeno 24 ore dopo, infatti, era possibile scaricare tranquillamente il gioco, disponibile (per ora) esclusivamente in digital delivery, dallo store Microsoft.
Una mossa che in fondo non ha nulla di troppo strano, se si pensa che dietro a D4 vi è Hidetaka Suehiro, alias Swery, game director di un gioco folle e al contempo ragionato come Deadly Premonition, liberamente ispirato a un cult dei primi anni ’90, “I segreti di Twin Peaks”, che ha letteralmente spaccato in due la critica con valutazioni che variano dal 10 “conquistato” sulle pagine di Destructoid al 2 di IGN.

Dark Dreams Don’t Die

Si dice che i sogno siano lo specchio dell’anima.
Così anche per David Young, prima che il suo di specchio venisse infranto da un proiettile, ed è questa l’unica prova che gli resta della notte in cui la sua adorata piccola Peggy, gli venne portata via da un assassino senza nome.
Prova che gli è letteralmente rimasta nella testa lasciandogli una profonda cicatrice sulla tempia sinistra. Da quel giorno, per l’ex agente della narcotici di Boston David Young, il sogno si è lentamente trasformato in incubo intriso di alcol e dolore.
L’ultima speranza che gli resta è fare affidamento sul proprio potere, quello di riscrivere il passato così da modificare il corso degli eventi.
Una facoltà acquisita dal protagonista quella fatidica notte e che gli consente di rivivere, attraverso particolari feticci denominati Mementum, specifici eventi ricollegati alla morte della ragazza e al Vero Sangue, la particolare droga sulla quale David stava indagando prima dell’aggressione. Per riuscire nel suo intento, dovrà scoprire l’identità dell’uomo che quella notte gli ha portato via tutto, un certo D, come sussurratogli dalla piccola Peggy prima che spirasse tra le sue braccia.
D4 si presenta quindi con una componente narrativa dal forte impatto, merito di una serie di fattori che contribuiscono a tenerne viva l’attenzione del giocatore per tutta la durata dell’esperienza, grazie al carisma dei personaggi ai dialoghi, surreali ma concreti al tempo stesso.
È doveroso premettere però che, attualmente, la versione del gioco disponibile sullo store Microsoft rappresenta solo la prima di un numero non definito di stagioni del suddetto titolo, suddivisa in prologo, capitolo 1 e capitolo 2.
Questa ripartizione è però ben lontana da quella operata, ad esempio, nelle serie Telltale, in particolar modo The Walking Dead, dove, grosso modo, ogni episodio è auto conclusivo.
Purtroppo in D4 l’idea è che si sia operata una suddivisione un po’ a “casaccio”, riducendo il prologo a pochi minuti di gioco, tanto per introdurre qualche personaggio, e spezzando l’unico livello di gioco disponibile in questa stagione nei due capitoli, chiusi con un cliffhanger che lascia un po’ l’amaro in bocca.
Nonostante la durata complessiva di questo primo “episodio” sia estremamente limitata, potendolo completare velocemente in una manciata di ore, la quantità di missioni di secondarie ed extra, come raccogliere collezionabili, acquistare vinili e completi per David e gli altri coprotagonisti, garantisce una buona rigiocabilità.
Come in Deadly Premonition, anche in D4 il punto forte è rappresentato dal nutrito cast di personaggi: ognuno di essi ha una propria identità fortemente marcata che lo distingue da tutti gli altri, senza però ridurli a una semplice macchietta sullo schermo. Lo stilista parafiliaco ossessionato dal suo manichino, il passeggero di un aereo affetto da manie di persecuzione e complottiste, l’ingordo ex compagno del dipartimento di polizia o il corriere della droga con l’occhio di vetro, sono solo alcuni degli attori che Swery mette in scena per dar vita alla sua opera.
Per contro, nonostante non si raggiunga il livello di frustrazione tipico di Deadly Premonition, il gameplay di D4 è un costante altalenare tra alti e bassi.
Per prima cosa, il Kinect, che doveva essere il pilastro dell’intero sistema di gioco, risulta scomodo e faticoso da usare sul lungo periodo oltre che impreciso nelle azioni basilari come raccogliere oggetti o cambiare inquadratura. Sistema che, teoricamente, prevederebbe anche l’uso dei comandi vocali ma che, purtroppo, non supporta la lingua italiana, ferma restando la presenta dei sottotitoli nei dialoghi. Fortunatamente l’uso del pad risolve gran parte dei problemi, nonostante renda molto meno divertente l’interazione con l’ambiente circostante.
D4 infatti è, nella sostanza, un’avventura grafica in stile punta e clicca dove è possibile muoversi soltanto su un percorso prestabilito evidenziando l’apposita icona.
A spezzare l’esplorazione sono le sezioni di Quick Time Event adatte a far gestire scene d’azione da parte del giocatore. Scene che il più delle volte sono del tutto anticlimatiche, prive di epicità, ed è proprio questo uno dei maggiori punti di forza di D4: pur trattando tematiche importanti come la morte o la dipendenza da droga, Swery non calca la mano con sentimentalismi estremi o gesti plateali ma le mischia con la quotidianità di chi, come David, ogni giorno si ritrova a dover andare avanti senza la sua piccola Peggy. Lettere, ricordi, e la sua costante “presenza” in ogni ambiente danno vita a un personaggio che non è mai stato realmente presente sullo schermo, creando un legame empatico col protagonista.
Nonostante il gameplay di D4, come si diceva, non brilli sotto molto aspetti, apprezzabile è l’idea di aver introdotto un sistema di gestione della stamina di David, recuperabile attraverso cibo, bevande, caffé (un altro feticcio di Swery). Ogni azione, dall’aprire una porta a interagire con un personaggio consuma una certa quantità di energia che, una volta raggiunto lo zero, comporta inevitabilmente il Game Over. La conseguenza di ciò è la necessità di valutare ogni scelta evitando di cliccare a caso per scoprire indizi. In compenso, a tal fine, è stata introdotta la modalità visione, che evidenzia su schermo tutti i punti di interesse, dai semplici oggetti alle interazioni indispensabili per poter proseguire nel gioco. Ovviamente l’uso di questa funzione è limitato.

Avant gardeeeee! La vera essenza dell’arte

Nonostante il particolare tipo di cel shading adottato riesca a sfumare molti dettagli e a coprire qualche difetto di troppo, il comparto grafico presenta ancora diverse sbavature, trattandosi comunque di un progetto nato a cavallo tra la vecchia e nuova generazione. D4 infatti, era originariamente in sviluppo per Xbox 360 ma i limiti tecnici imposti dal Kinect e la necessità di rendere quanto più preciso il sistema di controllo (che presenta ancora diversi limiti), hanno indotto Access Games a trasportare l’intero progetto sulla nuova ammiraglia di casa Microsoft.
La caratterizzazione dei personaggi, fortunatamente, trae solo benefici da questo particolare comparto grafico, garantendo, nonostante qualche legnosità nelle animazioni, un’espressività spettacolare.
Ma è il fronte audio il vero fiore all’occhiello della componente artistica: la colonna sonora di D4 è qualcosa di estatico, così penetrante che non sarà raro trovarsi a canticchiare qualche traccia senza nemmeno rendersene conto.

Conclusione

D4: Dark Dreams Don’t Die è un thriller a puntate.
Uno di quelli fatti così bene che si potrebbero passare intere giornate a rimuginare sugli indizi raccolti e a speculare sulla vera identità del fantomatico D. Purtroppo, almeno per ora, alla luce delle poche ore di gioco a disposizione, sono proprio gli indizi a scarseggiare.
Questa prima stagione offre una lunga sfilza di domande alle quali non si pone la briga di rispondere, scalfendo soltanto la superficie di quella che promette di essere una delle storie più intriganti di questa generazione videoludica.