Recensioni

Recensione Conscript

di: Simone Cantini

La guerra è quella lezione di storia che non abbiamo mai imparato. C’è tanta, troppa verità in questo anonimo aforisma, che mai come oggi risulta essere ancora dannatamente attuale. Ed anche a livello puramente videoludico, fortunatamente, sembra esserci sempre spazio per produzioni che hanno scenari bellici al centro della scena. Come nel caso di Conscript, titolo dell’australiano Jordan Mochi, che in una manciata di pixel è riuscito a riprodurre tutto l’orrore e la brutalità del primo conflitto mondiale, trasformando la sua inutile spietatezza in un videogioco dannatamente coinvolgente, nonostante il macabro fetore della morte che ne permea ogni più piccolo frammento.

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Cannon fodder

Uomini mandati a morire, vite e sogni spezzati, affogati nella melma e nel sangue di sudice e opprimenti trincee, solchi di un fango straniero che tutto avvolge e ricopre, soffocando ogni alito di vita. Un macabro quadretto che si potrebbe applicare ad ogni conflitto, questo, ma che nel caso specifico è legato alla sanguinosa battaglia di Verdun, uno dei punti più sanguinosi e violenti della Prima Guerra Mondiale. È qua che facciamo la conoscenza di Andre, giovane soldato francese che, assieme al fratello, è impegnato a combattere contro le forze tedesche. Perennemente in bilico tra la vita e la morte, distante un singolo proiettile, il ragazzo si ritroverà presto costretto a prendersi la scena, deciso a salvare l’altra metà della sua famiglia, scomparsa in seguito ad un brutale attacco. Braccato dalle truppe tedesche, all’interno del letale dedalo di cunicoli che caratterizzano il fronte di guerra, la vita di Andre assumerà i contorni di un survival horror di stampo fortemente old school, in una maniera che strizza l’occhio alle vette produttive di PS1, come già l’eccellente Signalis era riuscito a fare un po’ di tempo fa.

E nonostante stavolta non siano letali virus o cadaveri assetati di carne umana ad attentare alla nostra sopravvivenza, la tensione non viene mai meno durante la dozzina di ore necessarie a giungere ad uno dei vari finali. Ed il merito (o sarebbe meglio dire colpa) è da imputare alla più letale macchina assassina che il nostro pianeta abbia mai vissuto: l’uomo. Per quanto non deformi o mutate, le minacce reali che si aggirano per l’area di gioco sanno essere dannatamente opprimenti e, complice una buona varietà, riescono ad offrire sempre una sfida interessante (pur non brillando per intelligenza), oltre che ad espandere in modo straziante la narrazione. Di tanto in tanto, difatti, ci capiterà di recuperare dai cadaveri dei nemici foto, lettere o altri piccoli frammenti della loro esistenza, capaci di tratteggiare in un attimo il loro personalissimo mondo fatto di cruda quotidianità. Falciare a colpi di fucile un soldato armato di lanciafiamme sarà indispensabile per sopravvivere, ma difficilmente si rimarrà indifferenti a quella sbiadita immagine di bambina che stringerà in mano durante i suoi ultimi istanti di vita. Si tratta di piccoli tocchi, che riescono ad impreziosire un racconto non certo complesso, ma di una potenza debordante, visto il modo in cui riesce a tratteggiare la spietatezza e l’inutilità della guerra.

Villa Spencer chi?

Come già detto, tra le palesi fonti di ispirazione di Conscript troviamo i survival horror vecchia scuola, con l’inossidabile Resident Evil a tirare le fila. Il gioco si sviluppa lungo i canoni resi oramai uno standard dal capolavoro Capcom, e ci vedrà intenti a combattere e a sfuggire alle minacce che popolano Verdun e dintorni. Il tutto mentre dovremo, gioco forza, tenere d’occhio le sparute risorse che sarà possibile rinvenire nell’ambiente di gioco. Adottando una visuale a volo d’uccello, e salutando così le inquadrature cinematiche viste in Villa Spencer, il lavoro di Mochi saprà alternare combattimenti, fughe ed enigmi, forse non proprio a fuoco nel contesto generale, ma comunque efficaci per spezzare il flow di gioco. Agli scontri all’arma bianca, legati ad una gestione della stamina e all’usura degli strumenti di offesa, si contrappongono sparatorie lontane dai frenetici canoni a cui siamo oggi abituati: Andre, come vuole la tradizione, non potrà mirare e muoversi, ma dovrà attendere immobile il corretto posizionamento del tremolante mirino di turno, emanazione tangibile dell’orrore scatenato dalle atrocità della guerra. Ogni arma imbracciata (potenziabile investendo particolari oggetti) sarà dotata di caratteristiche uniche, oltre che di un peculiare meccanismo di ricarica, tale da lasciarsi in parte scoperti in più di una situazione, così da rendere indispensabile una sapiente pianificazione dell’ingaggio.

Non di soli umani, però, sono costituite le fila delle minacce, dato che i cadaveri che ci lasceremo alle spalle potranno divenire preda dei ratti che infestano le trincee, feroci macchine assetate di carne umana, il cui morso può seriamente compromettere la nostra salute generale. Fortunatamente, in Conscript non mancano oggetti in grado di potenziarci e curarci, oltre ad un mercante presso cui spendere le sigarette faticosamente recuperate sul campo di battaglia. Il tutto, però senza che si debba perdere d’occhio la gestione dell’inventario, dagli slot risicati almeno inizialmente, che ci richiederà pertanto di sfruttare i soliti bauli d’antan per stoccare gli elementi non immediatamente necessari. E la necessità di accedere di volta in volta a questi magici contenitori, per modificare il nostro loadout, è amplificata dalla presenza di un backtracking a tratti davvero troppo invasivo ed estenuante, che ci porterà a percorrere da un capo all’altro le ampie mappe di gioco, con una frequenza invero non sempre ben calibrata. Il risultato è quello di dare vita a porzioni sin troppo dispersive, che finiscono per annacquare in modo artificioso la durata dell’esperienza, oltre a far perdere il focus sui vari obiettivi. A tal proposito avrei preferito un’esperienza un pizzico più condensata, ma meno caotica in tal senso. Tolta questa piccola incertezza, comunque legata alla pura soggettività del giocatore, Conscript risulta un’avventura davvero ben costruita e calibrata, capace di dare del filo da torcere al player anche a livello di difficoltà standard, grazie ad una struttura solida e ad un gameplay efficace e divertente.

Spoglia brutalità

A dispetto dello stile volutamente minimale e retrò messo al centro della scena da Conscript, c’è solo da togliersi il cappello dinanzi al lavoro di Jordan Mochi, che è riuscito a dare vita ad un desolante e decadente quadro in movimento. Non lasciatevi ingannare dai vistosi pixel che campeggiano sullo schermo, ma abbracciate in pieno questo omaggio old school ai capisaldi del genere, la cui cura maniacale per il dettaglio riesce ad andare oltre l’apparente povertà di ciò che scorre sotto i nostri occhi. Questa Verdun videoludica può, difatti, contare su tanti piccoli tocchi di classe, siano essi le ottime animazioni di Andre, le nuvole di polvere causate dalle esplosioni, oppure gli ultimi istanti di vita di un soldato mutilato. Le stesse cinematiche, per quanto assai essenziali e presenti in numero limitato, riescono ad essere sapientemente espressive, nonostante il loro appeal legato agli albori del FMV. Anche il sonoro svolge un ruolo importante nell’economia del tutto, grazie ad un’effettistica efficace e ad una soundtrack che, per quanto appaia volutamente sacrificata, sa sempre risultare incisiva al punto giusto. Peccato per l’assenza di una localizzazione testuale in italiano, viste anche le numerose lingue disponibili (davvero il nostro mercato è addirittura inferiore a quello turco?).

Cercate un survival horror di stampo classico, ma che si sviluppa all’interno di un setting sicuramente originale e ben delineato? Beh, allora difficilmente dovreste tenervi alla larga da Conscript, visto il modo in cui riesce a declinare in modo efficace e moderno elementi ludici presi dal passato del genere. Forte di un’ambientazione potente e ottimamente portata sullo schermo, oltre che sorretto da una caratterizzazione indiretta di primissimo spesso, il titolo firmato Jordan Mochi ha anche in un rodato gameplay un ulteriore freccia al suo arco. Certo, si potrebbe avere qualcosa da ridire sull’IA avversaria non sempre puntuale (topi esclusi, delle vere macchine fiuta sangue umano!) e sul backtracking alquanto invasivo, ma nonostante queste incertezze Conscript stupisce positivamente in quanto a qualità e divertimento: dategli una possibilità, non vene pentirete!