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Recensione Blue Rider

di: Simone Cantini

Sarà che la mia età anagrafica si sta rapidamente avvicinando al suo quarto cambio di decina, ma ultimamente ogni volta che mi approccio ad un videogame mi viene quasi spontaneo associarlo ad un qualcosa che ho già giocato in passato. Magari è solo una particolare meccanica, il recupero di elementi familiari, oppure una ben più semplice ed inspiegabile suggestione mentale. Fatto sta che ci sono ricaduto anche una volta con Blue Rider, basilare ma efficace shoot’em up che mi ha riportato improvvisamente al periodo videoludico a cui sono maggiormente legato, ovvero quello del mai troppo glorificato Amiga 500.

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Divertimento essenziale

Mi rendo perfettamente conto che Battle Squadron non possa essere di certo elevato al rango di titolo rappresentativo degli shoot’em up old school, ma il fatto che sia stato il primo videogioco mostratomi, quasi un’esistenza fa, sulla nuova ammiraglia di casa Commodore da mio cugino, lo rende per me speciale. Sarà che passare dagli spartani sprite a 8 bit del C64 al coloratissimo e frenetico delirio targato Innerprise fu un piacevolissimo shock, ma il titolo è da sempre il mio personalissimo portabandiera (per l’emotivo valore storico del momento) di un modo di fare gaming che non posso fare a meno di rimpiangere. E Blue Rider pesca a piene mani da questa tradizione, mettendo in scena uno sparatutto con visuale dall’alto che recupera in pieno gli elementi ludici del titolo Amiga. Spartano anche a partire dal primo impatto con il menu di gioco, tramite il quale si potrà soltanto scegliere di avviare o continuare la partita, la produzione Ravegan si presenta essenziale e priva di futili orpelli anche una volta calati nell’azione. A bordo della nostra navicella, senza essere tediati da inutili motivazioni narrative, non dovremo fare altro che blastare nemici e strutture, cercando di arrivare sani e salvi all’immancabile boss finale. Per farlo, oltre alle nostre ovvie abilità di pilota, potremo contare su di una bocca di fuoco la cui tipologia potrà essere upgradata ed eventualmente mutata tramite la raccolta di speciali cilindri colorati. Ovviamente non poteva mancare anche la più classica delle smart bomb, qua rappresentata da una salva di letali missili, utili per uscire indenni dalle situazioni più complesse. Messa così l’esperienza regalata da Blue Rider potrebbe sembrare un semplice compitino, non certo degno del voto che campeggia in basso, ma è proprio in questa sua essenzialità che alberga il divertimento. Il peso dell’esperienza, più che su di una eccessiva complessità di manovra, poggia tutto su di una giocabilità perfettamente calibrata, calata all’interno di una decina di livelli ben strutturati e (ad eccezione del primo) dalla difficoltà non certo trascurabile.

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Retrò ma non troppo

Visivamente Blue Rider punta tutto sulla pulizia, proponendo un’immagine coloratissima e, per quanto essenziale, ben costruita. Pecca forse in personalità per ciò checoncerne il design generale dei nemici base, ma una simile piattezza è ampiamente ribaltata dai vari boss, i reali protagonisti degli stage e che sapranno darvi davvero del filo da torcere. Così come validissima sarà la giocabilità, grazie a dei controlli reattivi in grado di fare davvero la differenza tra un’esperienza mediocre ed una realizzazione coscienziosa. Le uniche pecche riscontrate sono relative ad una scarsa rigiocabilità, dato che il team non ha previsto modalità alternative in grado di solleticare il giocatore una volta terminati tutti i livelli. Da questo punto di vista anche solo una banale classifica, con relativa caccia al desueto high score, avrebbe rappresentato un piccolo elemento di fare la differenza.

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Forse sarà colpa soltanto dell’effetto nostalgia che è stato in grado di scatenare nel sottoscritto, ma personalmente non posso fare altro che consigliare sentitamente questo Blue Rider. Sempre che siate amanti degli shooter, sia chiaro. Sotto una struttura apparentemente fuori moda si cela, difatti, un’esperienza di tutto rispetto, capace di divertire ed appagare in maniera decisamente adeguata. Peccato solo per il suo essere (volutamente?) così troppo essenziale.