Recensioni

Recensione Atomic Heart

di: Luca Saati

Da Bioshock Infinite ne è passata di acqua sotto i ponti, e nel mentre siamo ancora tutti in attesa di un nuovo capitolo possiamo finalmente mettere le mani sulla sua variante russa. Perché abbiamo passato anni a chiamarlo il “Bioshock russo“, e dopo oltre cinque anni di sviluppo i giocatori di tutto il mondo potranno finalmente metterci le mani sopra quando domani, 21 Febbraio, Atomic Heart sarà disponibile sugli scaffali digitali delle loro console e per gli abbonati al servizio Xbox Game Pass. Forse per qualcuno il paragone con la serie creata da Ken Levine può sembrare un po’ esagerato, eppure questa opera prima di Mundfish, studio situato a Cipro, ha sin da subito espresso chiaramente le sue intenzioni: “creare un gioco che fosse al pari di altri giochi come Bioshock, Fallout e DOOM… giochi che tutti abbiamo giocato e amato“. Ci saranno riusciti?

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Le macchine ribelli

Atomic Heart riscrive la storia come la conosciamo e porta una riscrittura utopica in cui nel 1955 l’URSS è il cuore di una rivoluzione scientifica e tecnologia che ha cambiato la vita degli abitanti della nazione che vivono in armonia con i loro fedeli robot. L’avventura inizia in un clima disteso dove una gondola trasporta il nostro protagonista, l’agente P-3, un soldato d’elite dell’intelligence sovietica. Nel dirigersi al laboratorio, con gli occhi del nostro eroe possiamo ammirare quell’armonia tra umani e robot di cui sopra nel mentre sullo sfondo c’è una sfilata del governo che sta celebrando i suoi risultati raggiunti grazie a questa evoluzione tecnologica.

Le vibes sono quelle da Bioshock Infinite quando scopriamo che il luogo in cui ci troviamo fa parte di una sorta di arcipelago volante, un meraviglioso e avveniristico complesso chiamato Chelomey. Ma nel viaggio presso il Facility 3826, il luogo in cui questa rivoluzione scientifica è iniziata, P-3 viene attaccato e scopre ben presto che quei robot servizievoli si sono trasformati in delle macchine assassine che hanno sterminato la popolazione dell’intera struttura trasformando così quel sogno a occhi aperti in un vero e proprio incubo. La missione è quindi una sola: scoprire cosa c’è dietro la ribellione dei robot.

Quello di Atomic Heart è un racconto molto classico per il genere che nelle oltre 20 ore per arrivare ai titoli di coda mescola intrighi politici a elementi classici della fantascienza. Niente di davvero nuovo, ma il comparto narrativo creato da Mundfish si è rivelato solido e in grado di intrattenerci con grande piacevolezza fino ai titoli di coda. Il merito è di quell’aura misteriosa che avvolge la storia con alcuni scolpi di scena forse un po’ prevedibili, ma comunque funzionali nel raccontare un mondo al contempo terrificante e affascinante. Aggiungeteci poi una serie di personaggi sopra le righe che arricchiscono ulteriormente un mondo davvero sfaccettato, e un tono della narrazione che riesce a non prendersi troppo sul serio arrivando addirittura a ironizzare sulla propraganda sovietica.

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Il mio amico CHAR-les

Dietro la visuale in prima persona, Atomic Heart è un mix di generi che vanno dall’FPS con piccoli elementi RPG e addirittura sequenze platform e semplici puzzle basati principalmente sull’esplorazione.

Nelle prime fasi di gioco saremo armati semplicemente di un’ascia antincendio così da testare il combattimento melee che si basa esclusivamente sull’uso del grilletto destro per un attacco semplice, il grilletto sinistro per un attacco speciale e il tasto O (B su Xbox) per la schivata. Ben presto arrivano le prime armi da fuoco che restituiscono un feeling in linea con altri esponenti del genere. Ci sono poi le armi ad energia che non consumano proiettili ma una batteria il cui indicatore è presente nell’angolo in basso a destra dello schermo che si ricarica col tempo o sfruttando gli attacchi melee. Ma le cose si fanno interessanti quando sblocchiamo le potenzialità di CHAR-les, un’irriverente intelligenza artificiale che tramite un guanto equipaggiato dal protagonista è in grado di conferire una serie di abilità a partire da una scossa elettrica in grado di stordire le macchine per poi sbloccare telecinesi, uno scudo e altro ancora sbloccabili e potenziabili mediante una serie di skill-tree.

Questi tre sistemi già da soli riescono a restituire una buona varietà durante gli sconti, ma il team di Mundfish non si è voluto accontentare e ha pensato bene di aggiungere diverse tipologie di nemici: oltre ai robot classici, troviamo quelli di servizio come falegnami, droni spia, e addirittura mostruosi robo-zombie senza dimenticarci di coriaci boss che possono mettere in difficoltà almeno sulle prime battute. Alternare melee, armi a energia e da fuoco può rivelarsi fondamentale per non rischiare di trovarvi a corto di munizioni. C’è anche un sistema stealth che purtroppo si è rivelato la vera nota dolente a causa della scarsa agilità del protagonista e dell’eccessiva lentezza nello stordire un nemico. Ben presto finirete con lo scartare l’opzione furtiva in favore di un più soddisfacente “prendi a mazzate ogni robot che si avvicina”.

Come se non bastasse poi tramite una stazione di servizio chiamata NORA è possibile costruire kit medici e munizioni, oltre ovviamente a nuove armi e accessori. Per la costruzione di armi e relativi accessori c’è bisogno degli appositi progetti reperibili durante l’esplorazione. Da notare che gli accessori non si limitano solo a potenziare le armi, ma in alcuni casi anche a offrire nuove opzioni di ingaggio permettendoci ad esempio di scagliare colpi infuocati, elettrici o ghiacciati ai danni dei nemici. Gran parte degli accessori dei progetti sono posti in specifiche stanze opzionali nel mondo di gioco che offrono una serie di puzzle ben riusciti che premiano per l’appunto con i suddetti supplementi per le armi. Una volta ottenuti i progetti basta avere sufficienti risorse per poter procedere alla costruzione. Le risorse si ottengono con la semplice esplorazione, il guanto CHAR-les risucchia letteralmente ogni cosa che gli capiti a tiro mediante la pressione del tasto dorsale destro e, per non perdere proprio niente, c’è anche un visore attivabile con la doppia pressione del dorsale destro che evidenzia gli oggetti interattivi che contengono i materiali da raccogliere.

Open world anche no

Dopo poco tempo Atomic Heart dà al giocatore le chiavi del suo open world permettendo di esplorare liberamente il Facility 3826 ormai in balia delle macchine. L’open world risulta purtroppo vuoto di attività da svolgere (ad eccezione delle stanze opzionali di cui sopra) e si rivela come un semplice collante tra un’area di una missione e l’altra. Passare da un livello all’altro non si rivela neanche un viaggio rilassante visto che l’open world pullula di telecamere nemiche pronte a dare l’allarme e a scagliarci contro minacce di vario tipo, anche se ben presto scoprirete la possibilità di accedere a un terminale in cui effettuare l’hacking e di conseguenza disabilitare temporaneamente le macchine così da esplorare liberamente la zona fino a quando i droni non completano le riparazioni. In generale insomma ci troviamo dinanzi a una struttura open world che non arricchisce davvero l’esperienza di gioco, ma anzi la indebolisce poiché si rivela un mero pretesto per annacquare la longevità. Le sequenze in cui l’opera di Mundfish dà il meglio di sé sono quelle al chiuso, quando esploreremo le varie strutture dell’isola volante per svolgere la missione affidata al protagonista. Strutture caratterizzate da claustrofobici corridoi, pericoli incombenti e anche un leggero backtracking di metroidvania memoria.

Grafica atomica?

Atomic Heart fa uso dell’ormai sempreverde Unreal Engine e su console di nuova generazione offre una sola modalità grafica senza la possibilità di scegliere se dare priorità alle performance o alla qualità visiva. Il target è quello dei 60 fps con risoluzione dinamica che raggiunge il 4K nelle fasi al chiuso e scende durante l’open world.

Pur non sfruttando al massimo le potenzialità delle console di Sony e Microsoft, il colpo d’occhio è davvero piacevole ed è esaltato da un comparto artistico davvero ispirato che alterna oscuri e tetri corridoi che puzzano di morte e distruzione ad aree futuristiche che rispecchiano questo mondo alternativo in cui scienza e tecnologia la fanno da padrona. Le cutscene godono di una regia tuttosommato riuscita, ma l’espressione dei volti dei personaggi lascia un pochino a desiderare. Durante il nostro playthrough siamo incappati in qualche effetto di pop-up, compenetrazioni poligonali e bug, ma niente da compromettere davvero l’esperienza di gioco. Sicuramente qualche patch nei prossimi giorni o settimane metteranno una pezza a un comparto tecnico piuttosto notevole considerando che ci troviamo dinanzi a un’opera prima di uno studio.

Un plauso invece va al comparto sonoro che, oltre a un doppiaggio in italiano di buon livello, mescola le sonorità classiche dei compositori russi a musica hard rock o metal che aggiungono quel tocco extra di adrenalina durante le fasi di combattimento.

Commento finale

Atomic Heart si rivela un ottimo titolo di debutto per Mundfish. Ciò che impedisce al gioco di raggiungere vette di eccellenza è proprio l’eccessiva ambizione dello studio nel voler creare un gioco più grande del necessario aggiungendoci un open world accessorio e a tratti inutile piuttosto che concentrarsi solo ed esclusivamente sulle parti “al chiuso” che meglio esprimono la qualità del level design. Atomic Heart si è comunque rivelato un titolo in grado di esprimere quando vuole tutte le sue potenzialità e che mette sotto un’enorme lente d’ingrandimento lo studio cipriota che siamo curiosi di vedere come si esprimerà dopo questo importante sforzo produttivo. Insomma è proprio il caso di dirlo, buona la prima!