Recensioni

Recensione Atlas Fallen

di: Simone Cantini

Derivativo, specie quando parliamo di videogiochi, è un termine che viene quasi sempre visto con un’accezione fortemente negativa, come se ispirarsi ad altri (più o meno) classici del passato potesse configurarsi come un’onta imperdonabile. E tale termine può tranquillamente essere associato alle produzioni più celebri di Deck 13, il team teutonico responsabile del primo Lords of the Fallen e di The Surge, due titoli che, pur non addentrandosi in sentieri misconosciuti, erano riusciti a divertirmi con gusto, complici alcune intuizioni non proprio banali, in grado di esulare la coppia di titoli dal rango di mero compitino. Ed in un certo senso, la storia si ripropone ancora una volta oggi, con quello che non esito a definire il loro progetto più ambizioso, quell’Atlas Fallen che, nel corso delle circa 20 ore trascorse in sua compagnia, ha saputo intrattenermi con estrema soddisfazione, pur non riuscendo ad evitare di nascondere a dovere le sue palesi (e massicce) fonti di ispirazione.

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Lotte divine

Nato dalla volontà creativa di un antico dio, Atlas è un pianeta su cui la vita non è certo semplice, con una società è piagata da spietate lotte di classe, dove l’uguaglianza tra gli abitanti risulta essere una mera utopia. Unico baluardo di questo mondo sull’orlo della catastrofe è l’adorazione di Thelos, il dio responsabile della nascita del tutto, la cui volontà terrena è incarnata dalla spietata Regina dai Mille Anni. A sorreggere le fondamenta di questo complesso intreccio sociale abbiamo l’estrazione dell’Essenza, una sostanza il cui sfruttamento sta rapidamente portando il tutto al collasso. È in questo clima di violenza e soprusi continui che si muove il nostro Senza Nome, chiamato così proprio perché appartenente al ceto più basso della popolazione, costituito per lo più da schiavi indegni di avere una qualsiasi denominazione che esuli dalla loro mansione. Membro di una carovana incappata in una violenta tempesta, e circondata dalle letali creature demoniache che popolano Atlas, il nostro avatar si vedrà costretto ad avventurarsi nell’occhio del ciclone, per recuperare un oggetto indispensabile a garantire la salvezza dei suoi sventurati compagni di viaggio. Ed è in occasione di tale sortita che finirà per incappare in un potente guanto, imbevuto di un misterioso potere divino, che finirà per cambiare per sempre il suo destino, oltre che ad avere un ruolo di cruciale importanza per il futuro di Atlas e dei suoi abitanti. Posso dire tranquillamente, senza timore di venire bruscamente smentito, che la sceneggiatura non rappresenta di certo il maggior pregio di Atlas Fallen che, al di là di un mondo stilisticamente ben caratterizzato e costruito, latita proprio in quanto a pura scrittura. Le vicende narrate nel corso delle due decine di ore che mi hanno separato dai titoli di coda, difatti, si sono districate senza particolari guizzi creativi, sia che si pario di main che di sub quest, centellinando gli sparuti colpi di scena e sacrificando non poco la costruzione dei vari personaggi che animano il variegato cast in scena. Tutto scivola via veloce, come il nostro Senza Nome sulla sabbia ardente di Atlas, senza che le vicende vissute riescano ad appassionarci realmente, finendo con il far risultare il plot un puro compitino, il minimo indispensabile utile a giustificare le nostre azioni su schermo. Per fortuna, però, sono ben altre le frecce che il lavoro firmato Deck 13 ha in serbo per i giocatori.

Non chiamatemi dio della guerra!

Abbandonando le velleità in odor di soulslike che avevano caratterizzato le due produzioni più celebri dello studio, Atlas Fallen sceglie di avventurarsi per i complessi sentieri dei giochi di ruolo action, riuscendo a portare con successo a termine il proprio obiettivo, grazie ad un riuscito lavoro di fusione e riscrittura di meccaniche già rodate. Il nucleo portante dell’esperienza sarà rappresentato dai combattimenti, rigorosamente in tempo reale, che per natura del moveset e dell’arsenale non possono che richiamare alla mente quanto visto in God of War (sia vecchi che nuovi episodi). A nostra disposizione avremo tre distinte armi, ovvero un pesante martello, una frusta ed un guanto metallico, la cui attitudine ricorda con veemenza le più recenti opzioni di offesa in forza al caro Kratos. Sarà possibile equipaggiarne al massimo due, e l’impiego di ognuna sarà demandato a due distinti pulsanti del controller (X/Y su Xbox e Quadrato/Triangolo su PlayStation), la cui alternanza ci permetterà di dare vita ad un corposo numero di combo differenti. Gli scontri premieranno l’aggressività più assoluta, dato che inanellando fendenti su fendenti andremo a riempire un apposito indicatore (che si svuoterà se cesseremo per troppo tempo gli assalti), suddiviso in tre fasce, che ricoprirà un ruolo di primaria importanza: incrementarlo andrà ad aumentare i danni inflitti ai nemici e, contemporaneamente a diminuire la nostra difesa, ma il suo impatto avrà effetto anche su alcune peculiari pietre che potremo equipaggiare. A ciascun settore di questa barra dell’Impeto, difatti, sarà possibile assegnare sino a 3 differenti Pietre dell’Essenza, capaci di fornire attacchi speciali (soggetti a fisiologico cooldown) o bonus passivi, che si attiveranno al riempimento del settore corrispondente. Mantenere un buon livello di Impeto, pertanto, ci permetterà di beneficiare di numerosi boost accessori, ma nulla ci vieterà di svuotarlo completamente, per dare vita ad un devastante attacco speciale, in grado di arrecare ingenti danni agli avversari. Le possibilità di personalizzazione offerte, grazie ad un abbondante loot e alla possibilità di reperire pietre speciali per mezzo di subquest, cacce al tesoro e ricette acquistabili, consentono di accedere ad un elevatissimo numero di possibilità di approccio. Il flow degli scontri, se nella sua ossatura base richiama alla mente il citato God of War, non si risparmia anche di citare mai troppo abusato impiego del parry: sfruttando e concatenando tale abilità al momento giusto (in concomitanza di attacchi avversari anticipati da un bagliore rosso), sarà possibile congelare per un breve lasso di tempo gli avversari, così da lasciarli in balia della nostra furia. A corroborare ulteriormente l’esperienza bellica di Atals Fallen, ci pensa la peculiare natura delle minacce più grandi, suddivise in vari punti sensibili che, se distrutti prima del corpo centrale, ci permetteranno di mettere le mani su ricompense migliori. Questa indole attiva degli scontri va ad impattare anche sul meccanismo di cura sviluppato da Deck 13, basato sull’utilizzo di un peculiare amuleto (ve ne sono molteplici, ognuno caratterizzato da perk esclusivi), dotato di un determinato numero di utilizzi, i quali si ricaricheranno man mano che colpiremo i nemici. Insomma, ci troviamo al cospetto di un combat system assai sfaccettato e ricco di sorprese, capace di rendere gli scontri sempre spettacolari ed adrenalinici, anche in virtù di un tasso di difficoltà che, già al livello normale, potrebbe presentare più di una gatta da pelare. Gli unici difetti riscontrati si manifestano in occasione degli scontri con creature volanti che, complici una telecamera talvolta un po’ troppo infelice ed un lock non sempre puntuale, possono causare qualche piccolo grattacapo. Niente che non sia comunque risolvibile con una bella patch correttiva. Peculiare anche il sistema di crescita del nostro personaggio che, esulando dal classico level up, si baserà sul miglioramento di varie armature, ognuna dotata di un proprio level cap e di bonus unici, a cui si accompagna un piccolo elenco di talenti passivi, in grado di fornire ulteriori bonus al nostro Senza Nome.

Prove di parkour

Tutta questa esaltante brutalità sarebbe comunque fine a sé stessa se non calata all’interno di un mondo ben strutturato, ed anche in tal senso Atlas Fallen riesce a colpire positivamente il giocatore, grazie ad un level design mai banale, caratterizzato da un marcato impulso alla verticalità. Non ci troviamo al cospetto di un open world a 360°, dato che il tutto sarà suddiviso in quattro distinte macroaree, dall’estensione comunque ragguardevole e caratterizzate da peculiari biomi. A dispetto della loro grandezza non certo in grado di rivaleggiare con i pesi massimi del genere, le quattro zone sono movimentate da un buon quantitativo di attività accessorie, il cui numero è fortunatamente lontano dalla soverchiante quantità di altre produzioni, così da garantire un ottimo bilanciamento tra obiettivi principali e divagazioni: tra interruttori a tempo da attivare, mappe del tesoro da decifrare, nemici elite da sconfiggere ed altro ancora, ci sarà sempre qualcosa in grado di spingerci ad indagare oltre quella duna, oppure a tentare di capire come scalare quel particolare picco roccioso. Ed è in questo frangente che si finisce per incappare nel peculiare metodo di locomozione che caratterizza il nostro Senza Nome, un mix di meccaniche che non possono non ricordare il fiabesco viaggio di Journey e (in piccola parte) l’elevata mobilità della Frey protagonista di Forspoken: scivolare lungo le distese desertiche di Atlas, per poi lanciarsi in balzi esagerati oltre un precipizio, sono situazioni che ci troveremo a vivere con estrema frequenza, ed il cui impiego è regolato da comandi precisi e reattivi, in grado di restituire un ottimo feeling complessivo. E proprio in virtù di questa estrema mobilità, ampliabile man mano che ci addentreremo nel gioco, Atlas Fallen si permette anche di mettere sul piatto una spruzzata di elementi cari ai metroidvania, con alcune porzioni delle varie mappe di gioco che si apriranno sotto i nostri piedi poco alla volta, condendo l’imprescindibile backtracking con un benvenuto senso di progressione.

Metti un tigre nel motore

Come per gli originali The Surge e Lords of the Fallen, anche Atlas Fallen ha scelto di appoggiarsi al versatile Fledge Engine, il motore interno sviluppato da Deck 13, che si ripresenta sulle scene in forma decisamente smagliante su Xbox Series X, dove ho effettuato la prova. Le prestazioni offerte dal motore creato dal team, difatti, si attestano su livelli decisamente interessanti, sia che si opti per la modalità prestazioni che per virando verso la qualità. Nel primo caso si assiste ad una piccola perdita di dettaglio generale, controbilanciata da un frame rate incollato ai 60 fotogrammi al secondo. La seconda opzione dimezzaa la fluidità, ma mette sul piatto un colpo d’occhio più appagante, per quanto caratterizzato da un marcato pop up di elementi, che stando però alle note diffuse dagli sviluppatori sarà corretto dall’immancabile patch day one. A prescindere dalla scelta effettuata, comunque, ci troveremo al cospetto di un impatto estetico sicuramente intrigante, impreziosito da una draw distance ottima e da un livello di dettaglio capace di colpire in positivo, sempre considerando che parliamo di un prodotto realizzato con un budget non certo in grado di rivaleggiare con i pesi massimi del settore. Più in disparte, invece, è risultato essere il comparto audio, caratterizzato da un voice over in inglese (tutto è sottotitolato in italiano) senza infamia e senza lode, così come impalpabile è risultata la colonna sonora che, ad eccezione di qualche traccia, scorre via senza lasciare troppi ricordi. Decisamente più interessante, invece, la possibilità di giocare il tutto in cooperativa, sebbene in questo caso la scelta operata dal team lasci spazio a più di un’ombra: il meccanismo, difatti, si basa esclusivamente su inviti, tralasciando in maniera incomprensibile qualsiasi forma di matchmaking casuale in stile Ni-Oh. Ed il fatto che non sia presente il cross play, non può che alimentare ulteriori dubbi in merito alla bizzarra decisione di Deck 13. Speriamo che qualche update venga introdotto a tal proposito.

Mi sono proprio divertito a portare a termine l’epica avventura della mia (ah, non ve lo avevo detto? L’avatar si può personalizzare a piacere) Senza Nome preferita, in virtù di un mix di meccaniche che, per quanto non certo rivoluzionarie se prese singolarmente, hanno finito per dare vita ad un gameplay davvero azzeccato ed intrigante. Seppur sorretto da una scrittura decisamente deboluccia, il nuovo lavoro di Deck 13 non ha fatto altro che confermare il mio amore per il team tedesco, che è riuscito a tirare fuori dal cilindro un action/RPG ben confezionato e comunque ricco di personalità. Ad un combat system stratificato ed appagante, impreziosito da alcune accattivanti intuizioni, si accompagna un mondo di gioco davvero piacevole da esplorare e da sviscerare in ogni suo anfratto. Sorretto anche da una buonissima longevità, che evita di perdersi attraverso miriadi di subquest ed attività inutilmente ridondanti, Atlas Fallen avrebbe necessitato di qualche piccola accortezza in più per arrivare a sfiorare più da vicino l’eccellenza. Mi riferisco in particolar modo alla già citata sceneggiatura, a cui si accompagnano le incomprensibili scelte in ottica co-op, ma se si escludono questi due aspetti, quello che resta è un prodotto confezionato con cura e ricco di un potenziale che mi auguro possa essere espresso al meglio nel già annunciato DLC. O magari anche in un seguito sotto steroidi.