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Recensione Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Lan

di: Simone Cantini

Koei Tecmo oramai ci ha davvero preso gusto, e come darle torto visto che in ballo ci sono tanti bei soldini. Già, perché l’essere riusciti ad attirare nuovi giocatori attorno ad alcuni dei suoi storici franchise squisitamente di nicchia, indubbiamente ha fatto molta gola alla casa nipponica. I risultati fatti riscontrare da Dynasty Warriors: Origins, svecchiato e reso più appetibile tanto per vecchi che per nuovi fan, è figlio di un processo iniziato qualche anno fa grazie alla trilogia di Ryza, che era riuscita a sdoganare una saga sicuramente molto caratterizzata e peculiare. Il successo riscosso dalle avventure della deliziosa alchimista, pertanto, non poteva certo rimanere un unicum nel panorama dei jrpg targati Gust che, con Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Land ha puntato a rivoluzionare e rendere ancor più accessibile il brand. Sarà stata la scelta giusta?

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Addio giovinezza…

Che Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Land punti a rompere ancor di più con il suo ricco passato si avverte sin dalle battute iniziali, che ci scaraventano direttamente in medias res, in un punto avanzato della trama, per dare il via ad un breve tutorial interattivo. Una volontà di lasciare apparentemente spaesato il giocatore che perdura anche quando inizia il gioco vero e proprio, e prendiamo finalmente il controllo di Yumia, anche in questo caso senza che ci venga fornito il benchè minimo background narrativo. Ed il jrpg Gust si snoda prevalentemente secondo questi dettami, centellinando poco a poco la sua storyline principale, facendo emergere gradualmente la lore costruita per l’occasione.

Siamo al cospetto di una storia decisamente più cupa e meno spensierata del solito, in un mondo in cui l’alchimia è oramai bandita ed i suoi praticanti messi alla berlina dalla popolazione del regno di Aladiss, visto come sono ritenuti responsabili del cataclisma che ha distrutto tutto quanto. E nei panni di Yumia vivremo in prima persona questa diffidenza che sfocerà sin troppo spesso in aperta ostilità: dite addio alle perennemente gioiose ed ottimiste eroine della saga e siate pronti ad imbarcarvi in un racconto che, pur mantenendo saldi alcuni elementi noti e caratteristici, si prende la libertà di rompere in parte quegli schemi di solarità e spensieratezza a cui eravamo abituati.

Una volontà di andare oltre che, pur riuscendo nel suo intento di dare una marcata sterzata alla sceneggiatura, paga il suo essere sviluppato in maniera alquanto frammentaria, con un plot principale che si prende davvero troppe ore prima di iniziare ad ingranare. La manciata di ore iniziali, difatti, si perde in task e missioni sinceramente abbastanza dimenticabili, con quel sentore di urgenza che lascia aleggiare il sospetto che qualcosa di assai minaccioso sia in agguato che si prende troppo tempo prima di cristallizzarsi a dovere. Il che è un peccato, visto che i personaggi messi sul piatto, per quanto abbastanza in linea con gli stereotipi del brand, hanno tutti degli interessanti punti di sviluppo. È vero che sarebbe sciocco giudicare solo dalle battute iniziali, per quanto dilatate, un titolo che richiede almeno una quarantina di ore per condurci ai titoli di coda, ma è anche vero che sono proprio questi i momenti che fanno scattare la scintilla. Che in questo caso fa decisamente cilecca…

Verso l’orizzonte

Ridurre i cambiamenti apportati alla serie da Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Land alla sola sceneggiatura, sarebbe decisamente sciocco, visto che il team giapponese ha pensato bene di stravolgere il tutto a 360°. A partire dalla struttura del mondo gioco che, abbandonando la precedente formula open map, abbraccia adesso una vera e propria struttura open world, che per costruzione e modalità di approccio ricorda a grandi linee Breath of the Wild. Tutto quello che vedremo, difatti, potrà essere tranquillamente raggiunto da Yumia che, grazie anche a delle particolari scarpe alchemiche, sarà in grado di effettuare doppi salti e scalare così senza intoppi qualsiasi superficie.

Il cambio di direzione, come è fisiologico supporre, è andato anche ad introdurre tutti quegli espedienti cari alle strutture a mondo aperto, che si traducono in numerose missioni secondarie (randomiche o scriptate che siano), strutture da esplorare ed enigmi da risolvere. Come in un Fallout o un Assassin’s Creed qualsiasi, non saranno rari i momenti in cui la mappa di gioco sarà ricoperta di punti interrogativi presso cui indagare. E al netto della ripetitività di alcune soluzioni ludiche, il desiderio di esplorazione sarà sempre marcato, complice anche un world design azzeccato ed accattivante, che ben accompagna questa nuova identità della serie.

Botte da orbi

Altra novità, come prevedibile, è quella relativa al sistema di combattimento, stavolta declinato in salsa smaccatamente più action rispetto al passato, di cui ne rappresenta una logica evoluzione. Salutati gli indicatori di carica dei turni, Yumia e compagni avranno a disposizione fino ad un massimo di 4 azioni (ciascuna legata agli altrettanti pulsanti frontali del pad), ognuno con un numero di utilizzi predefiniti, che si ricaricheranno poco alla volta durante lo scontro. Starà a noi alternare in tempo reale simili attacchi, combinandoli anche con schivate fulminee ed affinità elementali per massimizzare i danni.

Un’altra new entry è caratterizzata dalla linea di schieramento, che sarà in grado sia di modificare il moveset del personaggio controllato che di fornire vantaggi tattici: in qualsiasi momento, premendo il d-pad, potremo switchare la nostra posizione tra prima linea e retrovie. Farlo, oltre a permetterci di evitare particolari attacchi nemici (tutti caratterizzati da degli indicatori a raggio sul suolo), ci consentirà di optare tra colpi corpo a corpo e a distanza, così da andare a matchare la vulnerabilità dell’avversario di turno. Il quadro che emerge, dopo aver preso confidenza con la messa in scena abbastanza caotica e spettacolare, è quello di un combat system estremamente dinamico e sfaccettato, che richiederà di sfruttare tanto i nostri riflessi che un minimo di strategia tattica. Tutto molto bello, lo confesso, anche se ad essere pignoli avrei qualcosa da ridire sulla difficoltà generale, che a livello normale non ho trovato assolutamente sfidante, salvo qualche eccezione.

Un gioco da ragazzi

C’è poi l’aspetto attorno al quale la serie Gust ha da sempre ruotato, sin dal suo debutto datato 1997, ovvero l’alchimia. Da che mondo e mondo, un Atelier richiede di raccogliere materiali, sbloccare ricette, creare oggetti e, possibilmente, il tutto entro determinati limiti di tempo. Se già questo aspetto era andato a mitigarsi nella precedente trilogia, il resto era rimasto tutto sommato invariato. In Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Land, invece, anche tutto il restante corollario di attività ha finito per ammorbidirsi in modo davvero marcato, con il processo di creazione che a tratti risulta essere davvero molto marginale. Salvo particolari momenti legati alla storia, difatti, non si avverte mai la necessità di tornare al nostro atelier per mescolare tra loro gli elementi raccolti nel mondo di gioco. Ah, non sarà neppure più necessario avere lo strumento adatto, dato che il nostro scettro fucile ci permetterà di ottenere da subito ogni cosa. Anche lo stesso sistema di sintesi si è visto snellito ulteriormente, forse un po’ troppo in verità…

E questo cozza un po’ con la possibilità di costruire ed arredare le nostre basi sparse nella mappa, dove potremo dare libero sfogo tanto al nostro estro alchemico che alle nostre velleità di interior designer. Ho parlato al plurale non a caso, dato che oltre al nostro hub principale, sarà possibile accedere a varie location presso cui costruire liberamente i nostri piccoli avamposti, dove potremo tornare in ogni momento grazie ad un comodo meccanismo di fast travel.

Lo so, non si giudica un titolo Gust dal comparto tecnico, visto che il budget a sua disposizione non è certo mai stato a base di numerosi zeri, pertanto non sarà certo questa l’occasione in cui cambieranno le cose. Comunque sia, portando avanti il processo di svecchiamento inaugurato con Ryza, ci troviamo al cospetto di una produzione visivamente molto curata ed accattivante, rispetto ai canoni del brand. L’open world è tanto bello da vedere quanto divertente da esplorare ed i modelli dei personaggi restano ancora davvero piacevoli sullo schermo, grazie al lavoro svolto in fase di desgin da Benitama. A tal proposito piccoli passi avanti si sono visti in quanto ed espressività e recitazione digitale, entrambe meglio realizzate che in passato. Peccato per una camera che ogni tanto sembra divertirsi a traballare senza motivo, a prescindere dal preset (qualità/prestazioni) selezionato, ma niente che non sia risolvibile tramite una patch. In linea con il classico mood della serie il comparto sonoro, con il solito voice over giapponese che resta sempre da preferire. Continua invece, ahinoi, a latitare la localizzazione testuale nella nostra lingua, assente ingiustificato viste il numero di nuovi idiomi che vanno ad accompagnare la classica versione in inglese.

Tutto cambia per non cambia per non cambiare, quindi? Beh, non proprio, visto che se è vero che con Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Land Koei Tecmo e Gust hanno confezionato un buonissimo punto di ingresso per la saga, è parimenti palese come sono proprio le semplificazioni e le novità introdotte ad aver snaturato sin troppo il tutto. Per quanto divertente e ben confezionato, il gioco in questione risulta essere molto più generico e simile a molti altri esponenti del genere, piuttosto che una avvertibile evoluzione del mondo Atelier. La gestione dell’alchimia e delle risorse molto più esili e a tratti assi marginali, sono sicuramente gli aspetti che potrebbero scontentare i fan più intransigenti, che potrebbero non riconoscersi in quanto scorrerà sullo schermo. Peccato, perché l’ossatura generale comunque c’è tutta ed il titolo si lascia giocare con piacere. Tutte queste apparenti migliorie in odor di accessibilità, però, hanno finito per snaturare un po’ troppo l’esperienza di gioco, al punto che se il tutto si fosse chiamato con un altro nome, nessuno (forse) avrebbe notato la differenza.