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Recensione Assassin’s Creed Chronicles: India

La saga di Assassin’s Creed si può ormai definire come un brand a tutto tondo: Ubisoft conosce il potenziale del marchio e sa bene che ogni prodotto con questo logo può essere profittevole. Un universo così vasto è infatti un aggancio ideale per raccontare la storia in modi sempre differenti, come succederà a fine anno con il film e come succede anche in questo nuovo spin-off di Assassin's Creed Chronicles: India.

di: Federico Lelli

La saga di Assassin’s Creed si può ormai definire come un brand a tutto tondo: Ubisoft conosce il potenziale del marchio e sa bene che ogni prodotto con questo logo può essere profittevole. Un universo così vasto è infatti un aggancio ideale per raccontare la storia in modi sempre differenti, come succederà a fine anno con il film e come succede anche in questo nuovo spin-off di Assassin’s Creed Chronicles: India.

L’eterna Lotta tra il Bene e il Male

“India, India, quante volte ti ho visto sulla cartina e ti ho sottovalutata”, questo probabilmente hanno pensato i ragazzi di Climax, al loro secondo capitolo della serie Chronicles, quando si sono trovati davanti alla scelta del setting del loro nuovo gioco. L’India è effettivamente una scelta intrigante: con millenni di storia e cultura sembra un ambiente ideale dove sviluppare l’avventura di un Assassino. Climax sceglie l’anno 1841 e inserisce questo titolo a cavallo del capitolo dedicato alla Cina del 1526 e di quello dedicato alla Russia nella rivoluzione d’ottobre del 1918 (in uscita il 9 febbraio).

In Assassin’s Creed Chronicles: India seguiremo la storia di Arbaaz Mir che, invischiato nella guerra tra Sikh e Compagnia delle Indie, cerca di venire a capo del mistero che avvolge il famoso diamante Koh-i-Noor, probabile frutto dell’Eden.

L’impianto di gioco, per scelta di sviluppo, è lo stesso che abbiamo trovato in ACC:China e che probabilmente troveremo in ACC:Russia. Questi spin-off sono chiaramente lavori a più basso budget con grafica a 2.5D, dedicati alla distribuzione tramite digital delivery: ampio spazio quindi alle dinamiche stealth con i nemici che emanano un cono visivo da evitare a tutti i costi e con tutte le risorse dell’assassino a nostra disposizione per poter evitare lo scontro. Le nostre possibilità di infiltrazione sembrano infatti decisamente più sviluppate, questo perché la furtività sarà premiata col punteggio migliore a fine livello: l’agilità del nostro assassino, le armi speciali per distrarre o confondere le guardie, i nascondigli sparsi per le mappe ci aiuteranno a nasconderci nell’ombra e a scomparire indisturbati. Se la situazione dovesse invece degenerare ci sarà sempre la possibilità di sfoderare la propria scimitarra, con un sistema di attacco e difesa ben sviluppato, ricordate sempre che un numero elevato di nemici vi metterà in seria difficoltà e le due dimensioni vi consentiranno ben poche vie di fuga.

L’approccio alle missioni, pur vivendo all’interno di un ecosistema prestabilito, rimane abbastanza libero lasciandoci anche diverse possibilità di azione, tra queste anche alcune scorciatoie nascoste che ci portano direttamente a fine checkpoint, a patto di voler rinunciare agli eventuali frammenti di Animus e eventuali obiettivi secondari.
Nonostante le diverse opzioni di ingaggio si nota però quasi subito una certa ripetitività di fondo, anche quando il titolo continua ad introdurci nuovi nemici e a sbloccare altre abilità nel nostro albero di skill (che non permette nessuna personalizzazione), non aiutano le 2.5 dimensioni che penalizzano parecchio il lato esplorativo e la legnosità di fondo del protagonista, che a volte risponde agli input un po’ come vuole lui. Anche la storia di fondo, raccontata con semplici cartelli e immagini statiche doppiate in inglese (ma sottotitolate in italiano) non aiuta il coinvolgimento, soprattutto quando siamo sommersi da una sfilza di indecifrabili nomi indiani.

Nota positiva, nonché unica differenza sostanziale rispetto agli altri due capitoli gemelli, è l’atmosfera del titolo: una palette coloratissima ispirata alle stampe indiane e pattern geometrici tipici dei mandala qui e là danno vita al titolo rendendolo decisamente in linea con il periodo narrato.

Very good very good, very bad very bad

Assassin’s Creed Chronicles: India non cambia la ricetta di ACC:China quindi difficilmente potrà cambiare la nostra valutazione sul gioco. Anche questo titolo è consigliato principalmente a chi vuole scoprire tutti i segreti dell’Animus e avere tra le mani una nuova storia di Assassini ma, anche per questi, è poco di più di un contentino.