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Recensione Another Code: Recollection

di: Marco Licandro

È tempo di remakes, e non di quelli banali. Another Code: Recollection racchiude in sé due gemme esclusive delle console Nintendo, una per Nintendo DS e l’altra per Nintendo Wii. Entrambi i giochi sono stati ripensati e ristrutturati così da creare un’unica esperienza più fluida, avendo lo stesso gameplay e sistema di comandi, riproponendo questi due classici in una forma più adatta al canto del cigno della nostra Nintendo Switch. Vediamo insieme le impressioni.

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Storie di traumi, ricordi, e fantasmi

Another Code: Two Memories è il primo titolo della saga, ed uscì su DS nell’ormai lontano 2005, quando il DS era ancora nella forma ormai chiamata “fat”. Le caratteristiche di questo gioco erano l’interessante trama, narrata sotto forma di graphic novel unita ad ambienti tridimensionali con camera dall’alto, e componenti puzzle che sfruttavano le caratteristiche intrinseche della console.

Quando lo scoprii nel 2006 mi ci chiusi, a volte bloccato sul da farsi, visto che la console offriva un potenziale mai visto prima, e a volte i puzzle richiedevano di dover raschiare lo schermo, o interagire con il pennino, ma anche soffiare per spostare via la polvere, e persino chiudere ed aprire la console più volte (!). La bellezza di Another Code stava non solamente nella narrazione, ma proprio nella lentezza generale del titolo, che si soffermava moltissimo sulle sensazioni dei personaggi dovute agli eventi, ma ovviamente anche ai puzzle che non offrivano praticamente nessun aiuto, e attendevano di essere risolti dando al massimo alcuni indizi qua e la per aiutare il giocatore.

Narrare le vicende di Another Code: Two Memories sarebbe come farvi un torto. La bellezza di questo gioco è proprio la capacità di immergervi nel presente facendo però luce sul passato, così da sbrogliare gli innumerevoli dubbi che avremo e finalmente regalarci alcune risposte. Tutto ciò che dovrete sapere è che vi troverete nei panni di Ashley Mizuki Robbins, una ragazzina di 13 anni che da sempre è cresciuta con la zia, ed ignara sul perché i suoi genitori l’abbiano lasciata alle sue cure. Quando una lettera del padre la invita a riunirsi con lui nell’isola di Blood Edward, Ashley e la zia Jessica si recheranno così sul luogo, solamente per ritrovarsi da sole, visto che non vi è traccia di anima viva. Jessica andrà a cercarlo, con profonda delusione di Ashley che pensava finalmente di poter conoscere il padre, ma dopo svariate ore iniziò a preoccuparsi per la zia e decide quindi di esplorare per conto suo.

È a questo punto che la comparsa del fantasma di un bambino senza memoria stravolgerà gli eventi, già di loro complessi, portando entrambi gli adolescenti ad avventurarsi all’interno di una villa cercando risposte. Qui vi lascio, e non aggiungo oltre.

Il secondo titolo, Another Code: R – A Journey into Lost Memories, uscì invece nel 2009 su Nintendo Wii, riprendendo due anni dopo gli eventi narrati nell’isola di Blood Edward, in una ambientazione più grande e articolata, situata presso il fittizio lago Juliet. A differenza del primo episodio, quest’altro approfondisce ancora di più la trama svelando verità nascoste accadute 13 anni prima, nonché introducendo il giocatore a diversi personaggi, ognuno con una sua personalità e vicende personali, immischiandoci in varie trame separate ma tutte interessanti, anche qui piene di segreti e colpi di scena, per arrivare finalmente alla conclusione con un quadro della situazione ormai ben completo nella testa, e anche una sensazione di dolce malinconia.

Un remake ed un reimagened

Ora che avete le basi per seguirmi in questa recensione, possiamo analizzare quindi il lavoro svolto da Cing per riproporre questo duplice gioco, assieme alle scelte del team, così da capire a fondo questa interessante collezione. 

Innanzitutto entrambi i titoli formano adesso un’unico gioco. Ciò significa che non potrete scegliere quale giocare nel menù principale, ma per giocare Another Code: R dovrete necessariamente concludere Another Code: Two Memories. Poco male, visto che il primo titolo non è estremamente longevo, e si potrà tranquillamente concludere attorno alle cinque ore.

Il salto dalle schermate a doppio schermo del Nintendo DS a quello della Nintendo Switch ha portato ovviamente ad alcune scelte sia stilistiche che pratiche, richiedendo di pensare nuovamente il sistema di controllo nonché gli stessi puzzle, già che Switch non ha un microfono incorporato né uno schermo che si possa chiudere, ma pur avendoli il gioco dev’essere strutturato per essere giocato sia in modalità portatile che sulla TV.

Per unificare entrambi i giochi, è stato svolto quindi un lavoro di remake completo sul primo titolo, creando da zero gli ambienti di gioco, e ricreandoli tridimensionalmente così da essere esplorati liberamente. Ashley potrà essere comandata con una camera ravvicinata in terza persona, spostando ovunque la visuale, e camminando in ogni direzione.

Avvicinandoci e mirando a vari oggetti, questi presenteranno una voce che ci permetterà di interagire così da ricevere informazioni al riguardo, nonché ascoltare i commenti da parte di Ashley su praticamente ogni cosa con la quale faremo interazione. A volte le ambientazioni permetteranno di essere analizzate, portando un cursore a schermo che ci permetterà di selezionare minuziosamente la schermata e raccogliere oggetti in un inventario o interagire con essi.

L’inventario permetterà di usare e combinare oggetti, sia tra loro che con l’ambientazione, mentre il DAS, il dispositivo posseduto da Ashley che su Nintendo DS rappresentava appunto la stessa console, e che ora avrà le sembianze di una sorta di Switch, ci permetterà di fare foto, analizzare oggetti, nonché trovare appunti nascosti del padre scovando tutti gli origami a forma di gru che formeranno la parte relativa agli oggetti collezionabili.

Nonostante i vari puzzle sparsi qua e la, raramente ci ritroveremo a spremere le meningi più di tanto, proprio come nel gioco originale, essendo questi più un pretesto per variare il gameplay. L’intera storia si muove infatti da sola e rapidamente, con vari dialoghi doppiati in inglese o giapponese, e sottotitoli in italiano, come appunto una visual novel intelligentemente arricchita da opzioni per fare domande – nonostante queste siano obbligatorie – su quanto appena appreso durante la conversazione.

Lo stesso gioco facilità le cose permettendoci, con la semplice pressione del tasto L3, di ricevere una bussola che ci guida sul punto in cui dovremo concentrarci, così da non perdere mai il filo e doverci smarrire per le ambientazioni di gioco. Pur non volendo usare questo aiuto, la mappa ci aiuterà chiaramente a capire dove andare e cosa fare, ciò significa che il tutto andrà vissuto in maniera fluida e senza intoppi.

Another Code: R, invece, era già stato strutturato in 3D, ma questo veniva utilizzato in maniera non ordinaria, permettendo di muovere il personaggio sempre in maniera orizzontale, e le schermate di interazione venivano gestite dal telecomando Wii utilizzando un cursore, rendendo il tutto più simile ad una avventura punta e clicca che ad una prettamente tridimensionale.

Seguendo quindi la stessa forma del primo capitolo, anche il secondo vedrà gli stessi scenari opportunamente ricreati con modelli poligonali tridimensionali, così da poter esplorare ogni stanza ed ambientazione a nostro piacimento, pur rispettando confini dettati dagli sviluppatori.

A livello tecnico, il motore grafico di Cing purtroppo non eccelle per qualità grafica, essendo entrambi i giochi creati con un motore dall’aspetto abbastanza retro, illustrando grafiche poligonali semplici e prive di textures complesse, oltre al forzare il giocatore a sorbirsi dei continui e tediosi caricamenti per tutta l’avventura. Parliamo di 12 ore generiche per arrivare alla conclusione di entrambi i titoli e trovare tutte le gru collezionabili, dove ad ogni minuscolo scenario e porta aperta dovremo guardare una schermata nera di caricamento, che durerà una manciata di secondi. Questo accadrà anche all’interno della stessa area, casa, o persino con porte a vetri dove già si può intravedere l’ambientazione dall’altra parte.

Vi è anche un noioso difetto che ho riscontrato nel secondo titolo, dove l’utilizzo del DAS richiederà dei controlli di movimento, in maniera estremamente semplice come lo può esserlo inclinare la console (o il Controller Pro) nella direzione indicata, senza che però questi vadano a buon fine, costringendo a ripetere alcuni tediosi puzzle per un problema di programmazione più che di abilità, nella speranza che la prossima schermata sia quella buona e il problema non sorga, o che vengano richiesti controlli classici senza movimento, così da superare queste fasi problematiche.

In conclusione

Nonostante la semplicità del titolo, nonché la sua non perfetta resa tecnica, la sola trama di Another Code merita abbondantemente l’acquisto, grazie ad una narrazione, nonché un approfondimento dei personaggi, semplice ma ben fatta, che vi terrà incollati allo schermo.

Non ricordavo l’ultima volta che un titolo mi fece fare le due di notte pur di giungere alla conclusione, e questo la dice lunga sulla bontà del titolo.

Le vicende di Ashley, D, e degli altri bei personaggi di cui volutamente non abbiamo parlato per non rovinarvi la scoperta, riusciranno senz’altro a rimanere nei vostri ricordi, così com’è successo per le centinaia di migliaia di persone che hanno giocato a titoli originali. Non posso quindi fare altro che consigliarvelo, senza guardare necessariamente trailers di gameplay, ma provando direttamente la demo presente sul Nintendo Store – visto che potrete continuare con lo stesso salvataggio –  e vivervi le vicende come fosse una grande graphic novel piena di puzzle e sorprese, augurandovi così di godere di queste due bellissime quanto intense storie tanto quanto ho potuto farlo io.