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Recensione All Hands on Deck

di: Marco Russi

Nel mare di produzioni sempre più complesse, graficamente imponenti e spesso ridondanti, ogni tanto emerge un titolo capace di ricordarci cosa significa giocare davvero.
All Hands on Deck è una di quelle gemme rare: un puzzle-game cooperativo che fa dell’inventiva e della complicità la sua forza.
Non servono armi, superpoteri o mondi sconfinati: bastano due mani – anzi, le mani – e tanta voglia di collaborare.

Realizzato dal piccolo team indipendente Studio Mantasaur, il gioco mescola fisica, ingegno e ironia in un’esperienza breve ma sorprendentemente sincera.
Un’avventura che sa di risate condivise, errori buffi e piccole vittorie, tutte conquistate insieme.

Mani, fantasia e cooperazione

C’è qualcosa di profondamente geniale nel prendere un gesto quotidiano – le mani che giocano – e trasformarlo nel cuore pulsante di un videogioco.
In All Hands on Deck, impersoniamo due mani animate, Lefty e Righty, chiamate a salvare i loro peluche scomparsi. Il tono è leggero, quasi da cartone animato del sabato mattina, ma dietro l’aspetto colorato si nasconde un level design che spinge costantemente alla collaborazione e alla coordinazione.

Ogni giocatore controlla una mano e deve alternare le tre forme – Rock, Paper e Scissors – per superare enigmi ambientali e piattaforme piene di trappole, bottoni, corde e meccanismi.
La sensazione è quella di una piccola danza sincronizzata: si parla, si ride, ci si incastra nei momenti meno opportuni, e proprio lì nasce la magia cooperativa.

Puzzle e ingegno in coppia

La struttura dei livelli si basa su puzzle ambientali in cui ogni mano deve contribuire con un’azione precisa: una taglia, l’altra spinge; una afferra, l’altra fa da contrappeso.
Il ritmo cresce lentamente, con nuove meccaniche introdotte a cadenza regolare – vernice magnetica, elastici per catapultarsi, persino segmenti musicali dove il tempismo è tutto.

La fisica è volutamente buffa, ma mai frustrante, e il gioco spinge più sulla collaborazione che sulla competizione. In solitaria perde parte del suo fascino, ma resta comunque giocabile, grazie a un sistema di controllo alternato che ricorda certi esperimenti indie degli ultimi anni.

Sul piano tecnico, il titolo è stabile e fluido su Nintendo Switch, con una colonna sonora rilassante e un doppiaggio minimale ma efficace. Artisticamente è un piccolo gioiello: colori pastello, texture morbide, interfaccia pulita e leggibile.

Breve ma intenso

Se c’è un difetto evidente, è la durata.
La campagna principale si completa in circa quattro ore, cinque se ci si ferma a cercare tutti i peluche nascosti. Non è un problema grave per un indie da prezzo contenuto, ma lascia un po’ di amaro in bocca: ci si affeziona ai protagonisti e si vorrebbe qualcosa di più.

Un altro limite sta nella mancanza di reale sfida nei livelli finali: il gioco preferisce la tenerezza alla tensione, la risata alla difficoltà. Per alcuni sarà un pregio, per altri un’occasione mancata.

Sotto la superficie colorata, All Hands on Deck parla di collaborazione, empatia e fiducia reciproca.
È un titolo che non vuole mettere alla prova la pazienza, ma ricordare quanto sia bello risolvere un problema insieme.
Perfetto per coppie, amici o genitori con figli, trasmette una leggerezza rara nel panorama videoludico odierno, troppo spesso ossessionato da punteggi, ranking e performance.

All Hands on Deck è un piccolo scrigno di fantasia e collaborazione.
Un indie che non punta alla complessità, ma all’armonia tra due giocatori.
Breve, sì, ma brillante e pieno di cuore.