Recensione 140
di: Simone CantiniAbituati come siamo alla corsa al fotorealismo più esasperato, capita molto spesso di trascurare un elemento altrettanto importante che va a costituire l’essenza di un videogioco: la musica. Imprescindibile per accentuare e sottolineare efficacemente situazioni e stati d’animo particolari, capita assai più frequentemente di quanto si pensi che questa vada a costituire una parte fondamentale del gameplay. Senza andare a scomodare i classici rhythm game o altri capisaldi del passato, mi piace in tal senso pensare ad una piccola sorpresa distribuita solo una manciata di anni fa e rispondente al nome di Sound Shapes ed a cui, almeno in parte, ispira questo 140.
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Sono come suono
Spartano come pochi, privo di qualsiasi tipo di menu o indicazione a schermo, 140 si presenta rapidamente in tutta la sua rozza poligonalità sin dal principio: non troveremo nessun tutorial ad accompagnarci per mano attraverso le basilari meccaniche che regolano il titolo, lasciandoci spiazzati per una breve manciata di secondi. A dispetto della sua disarmante e scarna messa in scena, difatti, non occorrerà molto per capire che lo scopo dei tre grandi macrolivelli che compongono il playthrough di 140 sarà quello di saltellare a ritmo di musica, nel tentativo di arrivare al classico checkpoint. Per farlo, come già detto, sarà però imprescindibile prestare molta attenzione all’accompagnamento ritmico che, in maniera del tutto simile a quanto accadeva nel citato Sound Shapes, regolerà il movimento delle varie piattaforme, oltre che l’attivazione delle numerose trappole ambientali di cui gli stage sono costellati. L’essenza, semplice e diretta, del titolo risiede tutta qua, non fosse per le tre peculiari boss battle che chiudono le altrettante sezioni di cui 140 è composto. Queste si sono rivelate una piacevolissima sorpresa, grazie ad un’originalità davvero spiccata a cui si unisce una variazione delle meccaniche di gioco base estremamente marcata. Peccato che, al netto di una difficoltà che spinge forte sul pedale del trial and error, occorra poco meno di un’ora per arrivare alla fine dell’esperienza. E a poco serve rigiocare il tutto in modalità speculare, con relativa scomparsa dei checkpoint che altro non fa che rendere più frustrante il tutto. Comunque, dato che l’esperienza ludica risulta comunque interessante, appare subito evidente come il problema principale di 140 sia il suo elevatissimo prezzo di commercializzazione fissato a 7,99 Euro: non mi piace molto ripetermi, ma se penso che a poco meno del doppio si poteva acquistare, al day one, la ben più complessa e duratura esperienza offerta da Sound Shapes (sempre per rimanere in territorio indipendente), appare evidente come i conti tornino veramente poco.
Minimalismo funzionale
Può essere gratificante per l’occhio controllare un semplice quadrato in grado di divenire cerchio se in movimento o triangolo se in salto, magari all’interno di scarni ambienti caratterizzati unicamente da altrettanto semplici ed essenziali geometrie? La risposta è alquanto scontata, però va detto che, se il tutto viene fuso assieme all’ipnotico accompagnamento musicale che scandisce la progressione di 140, l’effetto complessivo non è poi così disprezzabile.
140 è senza dubbio un’esperienza piacevole e divertente, purtroppo minata da un rapporto durata/prezzo davvero imbarazzante. Chiedere poco meno di 8 oro per poco più di un’ora complessiva di gioco, a patto di volersi cimentare nella modalità speculare, è senza dubbio un azzardo non da poco, considerando anche la realizzazione tecnica che definire minimalista sarebbe davvero un eufemismo. Proposto ad un prezzo più aggressivo mi sarei sentito di consigliarlo senza riserve a tutti, ma allo stato attuale delle cose il giudizio che mi sento maggiormente di esprimere può essere tranquillamente sintetizzato dal voto che trovate poco più in basso.