
Vendite sotto le aspettative per i giochi third-party su Switch 2, secondo un nuovo report
di: Luca SaatiNonostante Switch 2, la nuova console di Nintendo, abbia raggiunto numeri da record diventando una delle piattaforme a vendere più velocemente nella storia, le vendite dei giochi third-party sembrerebbero ben al di sotto delle aspettative. A riportarlo è un’analisi pubblicata da The Game Business, secondo cui i titoli di terze parti hanno registrato risultati “molto bassi”, nonostante il forte supporto da parte di publisher importanti.
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Stando al report, Nintendo è riuscita ad attrarre il coinvolgimento di partner di peso come Electronic Arts, Take-Two, Microsoft, Ubisoft, Sega, Capcom, Bandai Namco, Square Enix, CD Projekt e Konami, e sebbene questi publisher abbiano fatto registrare performance migliori rispetto al lancio della prima Switch, la maggior parte dei titoli third-party su Switch 2 ha avuto vendite ben inferiori rispetto alle previsioni.
Secondo i dati forniti da NielsenIQ, Cyberpunk 2077 di CD Projekt risulta essere, finora, il gioco third-party più venduto del lancio di Switch 2. Tuttavia, Christopher Dring, autore del report, ha sottolineato che “è difficile descrivere queste statistiche in modo positivo“. Un publisher anonimo avrebbe persino definito i numeri come “inferiori alle nostre stime più basse“, nonostante l’ottimo andamento dell’hardware.
Dring ha inoltre evidenziato come il miglioramento rispetto al lancio della prima Switch potrebbe risultare fuorviante. All’epoca, la console era arrivata sul mercato con appena cinque giochi fisici: The Legend of Zelda: Breath of the Wild, 1-2-Switch, Just Dance 2017, Skylanders Imaginators e Super Bomberman R. Al contrario, Switch 2 ha esordito con ben tredici titoli disponibili al lancio, il che avrebbe dovuto teoricamente favorire una performance più solida.
Un ulteriore fattore che potrebbe aver influenzato negativamente le vendite è la scarsità di copie in anteprima per la stampa specializzata. L’assenza di recensioni al momento dell’uscita avrebbe infatti privato i consumatori di un punto di riferimento critico fondamentale per decidere se acquistare o meno un titolo.