Cinema Recensione

Napoli – New York

di: Andy Reevieny

Che vuole, signora mia, al giorno d’oggi non si inventa più alcunchè, ci manca giusto che anche in Italia si riprenda un’ide(on)a di Maestri mondiali della settima arte, diretti e curati da registi di culto nostrani, poi magari non contenti ci si faccia anche una graphic novel. Suvvìa.

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Enne – Enne

No, non figli di, anche se a ben vedere ci potrebbe stare, alludo proprio alle iniziali in comune dal titolo dell’ultimo film diretto da Gabriele Salvatores cioè Napoli – New York nelle sale nostrane dal 21 novembre 2024. Già questo basta e avanza per recarsi in sala, ma stavolta il regista premio Oscar* di culto tra gli altri de la cosìddetta Trilogia della fuga (Marrakech Express; Turnè; *Mediterraneo) ha fatto di più, molto di più: nientedopodomanidimenochè partendo da uno scritto di un certo Federico Fellini insieme al suo storico sodale Tullio Pinelli, per l’esattezza da un soggetto e relativo trattamento come si dice in gergo cinematografico che il Maestro romagnolo della settima arte prepara per altro collega (pare tal Gianni Franciolini) a quanto pare, ha sviluppato la sceneggiatura.

La nostra storia ambientata nell’immediato secondo dopoguerra, partendo dalla Napoli devastata dal conflitto mondiale ma ormai liberata dagli Alleati, ha come protagonisti due bambini: Celestina (Dea Lanzaro) e Carmine (Antonio Guerra, omonimo del noto Tonino Guerra altro storico collaboratore di Fellini), tra le macerie delle case e delle vite, approfittano  della precedente partenza in cerca di fortuna appunto per Nuova York, la Grande Mela, della sorella maggiore di Celestina, Agnese (Anna Lucia Pierro), per fuggire da una sopravvivenza di espedienti (diversamente leciti).

I nostri piccoli eroi si imbarcano dunque clandestinamente dopo che Carmine fa conoscenza per “lavoro” di George, cuoco afroamericano di una nave della marina statunitense il cui commissario di bordo è Domenico Garofalo (l’onnipresente PierFrancesco Favino) che finisce per prendersi cura dei due scugnizzi anche una volta a terra, con la Statua della Libertà sullo sfondo.

Effe – Effe

Ripartiamo dunque dall’essenza di ogni film che si rispetti e stavolta il materiale di partenza è scritto appunto da chi il cinema italiano lo ha reso grande ancora oggi a livello mondiale: Federico Fellini che spero prima ancora di Salvatores in questo caso non abbia certo bisogno di presentazioni e di ribadire di essere recuperato a livello filmico nella sua totalià. I 2 registi in questo caso, se vogliamo come le due città emblematiche del nuovo e vecchio mondo appunto che danno il titolo a Napoli – New York, fanno un ideale passaggio di testimone a distanza di anni dalla scomparsa di Fellini. C’è uno scenario ben noto, specie in Italia, a chi ha vissuto almeno una Guerra Mondiale, ma anche ciò che è stato ricostruire. E questa è solo la superficie, perchè qui c’è di più. Immensamente.

C’è anzitutto Napoli, banalmente, che per Salvatores in primis rappresenta la città di origine sebbene poi notoriamente si sia traferito a Milano in tenera età e lì sia cresciuto e si sia formato, sviluppando peraltro se non prima, almeno parallelamente al cinema, la passione e l’amore per il teatro che rimane una sua peculiarità. C’è poi appunto, nella sceneggiatura che ha firmato, tutto il suo amore viscerale per la settima arte, non solo per Fellini.

Erre – Erre

Come Roberto Rossellini, sempre per dire e riprendere il paragrafo precedente (ndr il gioiello Paisà qui dichiaratamente omaggiato, richiama il Maestro nostrano), il neorealismo nostrano, e più in generale ancora, semplicemente, il cinema. In questo on the road, o on the boat (curiosità: Salvatores ragazzo, all’esordio al cinema conosce Federico Fellini a Cinecittà mentre lui gira E la Nave Va)  per lunghi tratti, assitiamo ad un continuo omaggio alla storia della settima arte, uno per tutti al capolavoro ultimo C’era una volta in America del Maestro Sergio Leone, per non dire Titanic di James Cameron e tanti altri.

Napoli – New Yorkseppur con un budget irrisorio rispetto alle produzioni medio anche basse d’oltreoceano anzitutto (sui 10 milioni di € stando a recenti dichiarazioni di Salvatores stesso), è un film in costume che può contare su una messa in scena a partire dal lavoro al solito meticoloso, dalla fotografia di Diego Indraccolo, alle scenografie di Rita Rabassini con una cura particolare alle location (ndr oltre a Napoli e ai set di Cinecittà, le scene portuali sono ricostruite tra Trieste e Fiume) ovviamente alla direzione degli attori, in particolare i 2 giovanissimi protagonisti che recitano qui perfettamente comprensibili e realistici sempre in dialetto insieme ad un cast che annovera anche Anna Ammirati, uno dei feticci di Salvatores Antonio Catania, di cui si spera di sentire sempre più parlare. La colonna sonora non è da meno, ed è notoriamente una componente sempre essenziale nel cinema di Salvatores, particolarmente per la scelta delle musiche di terze parti, visto che anche qui godiamo di classici intramontabili tra cui, su tutti, A salty dog dei Procol Harum, e un tot di classici e standard. La narrazione scorre nelle sue due ore di durata su uno scritto che mette sempre in primo piano personaggi e il sociale, visto dove e quando si ambienta la storia, che manco a dirlo riprende quella vera di tanti emigrati nostrani che, loro per davvero coi nativi, tanti afroamericani… insomma i cosìddetti ultimi, hanno di fatto realizzato il cosìddetto sogno americano e reso migliore il mondo. Vecchio e nuovo. Un film questo grazie anche allo stesso Gabriele Salvatores, internazionale, pieno di luci, pochissime ombre, con un messaggio di cui oggi si ha sempre più bisogno: siamo proprio tutti sulla stessa barca. Volare al cinema e in fumetteria.