La fine della ragione – Combattere il fuoco con il fuoco
di: Simone "PulpGuy88" BraviE in principio fu la fine della ragione.
«In principio era il Lόgos,
il Lόgos era presso Dio
e il Lόgos era Dio».
(Dal Vangelo secondo Giovanni, I,1-3.)
Voi mi chiederete: che c’entra il Vangelo con il presente libro? Forse tutto, forse niente.
Io sono tra quelli che nel tempo si sono convinti che le parole abbiano ciascuna un proprio peso specifico e un significato, ragion per cui vanno scelte con cura e cognizione. Di conseguenza, anche la forma assume una sua importanza, arrivando a coincidere, talvolta, con la sostanza stessa.
Leggendo Roberto Recchioni, e di Roberto Recchioni, ritengo che nella sua produzione questa riflessione sia ben presente, con una scrittura in cui l’estetica non è mera apparenza ma si fa sostanza, e dove le costruzioni e gli espedienti letterari si fanno impalcature e sostruzioni della narrazione, reggendone il peso e dandone il ritmo senza appesantirla.
Tornando a noi, e all’incipit di questa mia recensione con i versetti di Giovanni Apostolo: perché? Perché il punto è quella parolina lì, quella che ho lasciato in greco e che da secoli viene tradotta in maniera estremamente semplificata e sbrigativa con la parola italiana “Verbo”. Per chi non avesse dimestichezza con la lingua, il termine “Lògos” indica tanto la «parola» come si articola nel discorso, quanto il discorso stesso e il «pensiero» che si esprime attraverso di essa, fino ad arrivare all’affermazione del “Lògos” come «ragione».
Ecco, questo è il primo punto a cui volevo portarvi e che riguarda le Avvertenze ad inizio volume, che sembrano essere il manifesto fumettistico-letterario della storia che andrete a leggere e di tutta la produzione dell’autore, nonché sunto di questi nostri tempi moderni. In fondo, proprio di questi parla La fine della ragione: tempi in cui le dinamiche sociali real e web ci abituano sempre più all’uso di un numero limitato di parole, contenuti e forme. Un linguaggio che, prima di oggi, sembrava essere appannaggio di una particolare forma espressiva e di scrittura, quella del fumetto. Ed è questo il secondo punto del manifesto “letterario” dell’introduzione: il fumetto da sempre rinnegato come vero e proprio genere letterario, ritenuto una lettura per sciocchi e bambini, che ormai da anni cerca di conquistarsi la sua dignità letteraria e culturale, oggi sembra finalmente cominciare ad averne grazie non solo al lavoro delle case editrici che lo hanno portato sugli scaffali delle librerie di varia, ma anche all’impegno e alla produzione di un piccolo esercito di autori, di cui Recchioni fa parte.
Ma se state pensando che Roberto Recchioni lo faccia come un professore da dietro la cattedra, vi sbagliate di grosso. Il registro e i toni comunicativi sono quelli della provocazione e del sarcasmo cui ci ha abituati sui suoi profili social (su cui è sempre molto attivo); alla parte finale delle Avvertenze è affidato anche il compito di prevenirne reazioni e obiezioni circa un’eventuale accusa all’autore di macchiarsi dello stesso peccato di semplificazione contenutistica e generalizzazione tematica che il romanzo stesso critica, dal momento che nella sua scrittura fa ricorso alle forme principali dell’analfabetismo funzionale e culturale sociale e da social. Ragion per cui, si troveranno diverse pagine con walltext riassuntivi di stralci di trama e…
…«per rendere ancora più comoda la fruizione del testo, alcuni vocaboli sono stati sottolineati in ROSSO, per dare modo a chi ha poco tempo, o scarsa attenzione, di farsi un’idea generale dei tempi del volume e poterne parlare liberamente, senza AVERLO LETTO»
[R.R. “La fine della ragione”]
Come a dire: Signori, Recchioni in questo libro si prepara (e ci prepara) a combattere il fuoco con il fuoco.
Ma di cosa parla il libro? In due parole, schematicamente e semplificativamente: siamo in un futuro post apocalittico, dove le pandemie di No Vax, vegani e analfabetismo funzionale hanno vinto, mentre il lume della ragione si è spento; dove la dittatura delle masse ignoranti regna, dove la classe politica dirigente cavalca l’onda del malcontento aizzandolo e sfruttandolo a proprio vantaggio invece di placarlo, dove la società ha fallito e le barbarie spadroneggiano, dove la medicina e la scienza, incapaci di reagire, si sono arrese e il sistema educativo è diventato nemico di ciò che invece avrebbe dovuto proteggere e coltivare: la cultura, la conoscenza e la scienza. In questo mondo dopo la fine, una madre intraprende il viaggio alla ricerca di una cura per la figlia malata, sfidando la società, le proibizioni e convinzioni di un mondo che ha rinnegato e condannato la scienza medica, sputando in faccia persino al destino stesso.
Perché se c’è una cosa a cui in questi anni Recchioni ci ha abituati, sono le sue donne.
I suoi personaggi femminili sono sempre forti, implacabili, capaci di amare oltre il ragionevole, così come odiare all’estremo delle conseguenze. Donne che si contendono la scena delle sue storie e la conquistano anche quando nascono con ruoli secondari (vedere Marta La Brutta di YA). Donne che hanno sempre un forte impatto sul pubblico e fanno presa soprattutto su quello femminile. E se ci pensate, la cosa fa un po’ ridere, visto che sui social lo vediamo spesso accusato di maschilismo (come minimo). Ma potrebbe un maschilista creare personaggi femminili tali?
Quanto al motivo per cui le sue donne facciano così tanta presa sulle quote rosa, sarà perché le disegna e le racconta così come noi stesse vorremo essere?
Ma tornando alla TRAMA. Nel suo viaggio alla ricerca di quella medicina rinnegata, scopriremo come la scienza si sia estraniata dal mondo, nascondendosi e rifugiandosi in se stessa, debole e arresa. Anche gli uomini di scienza diventano quindi oggetto di satira e critica da parte dell’autore. Perché la falla nel sistema non è solo una e le colpe non vengono mai da una parte soltanto.
Quanto al finale. Che volete che vi dica? Se lo conoscete come narratore, saprete che il lieto fine non sta di casa. Se non lo conoscete, adesso lo sapete.
È un libro che parla di un mondo dopo la fine, un mondo senza civiltà, dalle tinte fosche e brutali, dove ogni equilibrio e regola sono al tempo stesso infranti e rigidamente fissati. Come nelle tavole l’alternarsi della più classica e scolastica gabbia Bonelli alle più americane splash-page, ai facebookiani walltext. E così pure visivamente il volume, dove le tinte scure e cupe prevalgono, il rosso dello sfondo di alcune tavole ricorda più il sangue versato che l’amore donato, il nero è quello dei mostri che si nascondo nel buio di un mondo senza ragione e dove il bianco è quello di fantasmi nella notte e non della neve, che invece ha lo stesso colore di cenere e macerie.
Mi sono chiesta: questo equilibrio riguarda tutto il libro a 360°? Ci ho pensato, e mi sono risposta di no. Del resto, un libro di circa 120 pagine e realizzato in tempi strettissimi è ovvio che soffra di scompensi e abbia dovuto subire grossi tagli alla narrazione, che corre via veloce come una moto su pista, tagliando le curve invece di farle tonde, risultando in alcuni punti quasi paratattica (come, ad esempio, quella decina di pagine che vanno dai politici che venderebbero i culi delle loro stesse madri alla tavola con i 4 cavalieri dell’Apocalisse).
Le ristrettezze temporali avranno di certo “costretto” l’autore a trovare soluzioni narrative e stilistiche cui altrimenti non sarebbe approdato. Gli stessi walltext riassuntivi di pezzi di trama arrivano quindi ad avere una doppia funzione: quella satirica di cui sopra e quella di espediente narrativo per guadagnare tempo e spazio.
Il resto che manca viene compensato con torte e biscotti…Ehm, no, scusate, quella sono io. Dicevamo? Ah, sì, la compensazione. La natura essenziale e spartana del romanzo viene controbilanciata dai continui rimandi alla cultura pop e all’immaginario comune, ma soprattutto all’intera produzione recchioniana (lo so, aggettivo tremendo, ma mi fa ridere), riprendendo tematiche già affrontate altrove, ma diversamente declinate.
Da Orfani viene il mondo dopo la fine e la riflessione sul potere, sulle masse in rivolta portatrici più del caos che di un vero cambiamento perché inette e ignoranti, e la loro repressione da una classe “aristocratica” arrogante e bieca.
Da John Doe vengono i cavalieri dell’Apocalisse e da Dylan Dog la scienza medica come faro nel buio della disperazione e ancora di salvezza. Basti pensare a Mater Morbi e a tutta la storia personale dell’autore per notare come nella sua visione (e nelle sue opere) la medicina abbia questo ruolo positivo e salvifico. Tant’è vero che uno dei momenti di snodo principale della storia la vede protagonista e moralmente superiore.
La recita del giuramento di Ippocrate della Madre e la reazione dei medici, mi ha fatto riflettere su come tante volte elementi quali il suddetto giuramento, il credo samurai, la religione o l’orgoglio stesso, in Recchioni sembrino assumere diverse valenze, fino a diventare un’arma a doppio taglio ed essere come una spada: se non la si usa si arrugginisce, se si perde la presa ci si taglia (ok, sì, quest’ultima frase l’ho parafrasata da un noto manga).
Ma il riferimento più importante che fa di questo romanzo un nuovo mattoncino per la costruzione LEGO della produzione dell’autore è lui, ASSO. Perché vi basterà arrivare alle seconda pagina, subito dopo l’introduzione-avvertenza, per scoprire che chi vi sta raccontando la storia è il caro buon vecchio Asso (vecchio proprio in termini di età, e mica lo dico io per perculare, se lo dice da solo!). Da sempre alter ego dell’autore, l’Asso Merril che veniamo qui a trovare è un uomo cambiato, maturato, che da libertino spaccone ed egocentrico si trova a vivere l’età della ragione in un mondo che attraversa anni di follia e barbarie. E in questo suo narrare in forma di diario (notate tutte le pagine che sono a righe come quelle di un quaderno?) lo troviamo stanco, avvilito, sofferente per lo stato in cui la società e l’uomo versano. Finendo per aggirarsi tra il fango e le macerie di questo mondo con al fianco una ragazzina indebitamente sopravvissuta agli occhi della società, che dovrebbe essere la testimonianza vivente di quella ragione ormai persa.
Asso chiude il suo racconto ricordandoci del fuoco della ragione e di quanto il mondo ne abbia un disperato bisogno, per poi piombarci brutalmente al vissero felici e contenti che non c’è (ché questa non è la Disney e Recchioni ci ha ormai svezzati coi suoi finali decisamente mai lieti) e l’ultima tavola, la mia preferita: un vecchio che nonostante tutto ha ancora la forza e la voglia di uscire là fuori a mandare a fanculo il mondo, che ammette di averci paura (ché l’età della ragione non perdona) e per questo chiede ad una bambina di stringergli la mano. Una ragazzina che è la scintilla che potrebbe riportare nel mondo il fuoco della ragione. Una ragazzina ancora ignara del destino che la attende e per questo senza paura.
Chi sono i buoni e chi sono i cattivi in questa storia? Se conoscete l’autore, sapete che nei suoi universi la distinzione tra buoni e cattivi, tra vincitori e vinti, è sempre talmente sfumata da non esserci affatto, perché i veri buoni non esistono ed è sempre tutto relativo. Se non lo conoscete, adesso lo sapete. Quanto alla questione di vincitori e vinti, da Orfani in poi l’ho sempre interpretata in un’ottica molto pirandelliana: alla fine, siamo tutti dei vinti.
Arrivati a questo punto, immagino vorreste sapere se il libro mi sia piaciuto o meno, se valga la pena leggerlo. O semplicemente se sia bello o brutto.
In definitiva, sì, mi è piaciuto e credo che valga la pena di leggerlo. Di leggerlo soprattutto nel momento storico che stiamo vivendo, di cui ne è lo specchio nemmeno troppo deformante e anzi ne diventa più spesso la matita in grado di tratteggiarlo in maniera schietta e veritiera, per quanto iperbolica e satirica in modo assai feroce. E seppur non privo di difetti e mancanze, difficili da colmare per chi si trovi a leggere per la prima volta l’autore non potendo cogliere i diversi riferimenti al resto della sua produzione, lo ritengo comunque un libro ben confezionato, dove l’esperienza e gli anni hanno aiutato là dove il tempo è mancato.
Valentina Cascino