Caput Mundi: I mostri di Roma – Vampiri e mannari dell’urbe
di: Simone "PulpGuy88" BraviMettiamo che un giorno Roberto Recchioni si alzi, si accenda la sua bella sigaretta, si sieda in cucina a bere il caffè scorrendo la sua bacheca di Facebook e poi esca per portare fuori il cane. Camminando per la strade di Roma e contemplando tutto quello che un autore del suo calibro potrebbe contemplare durante una semplice passeggiata, il Rrobe ha una pensata. Gli sale il Kevin Feige e si dice: “Ora creo un universo tematico in stile Marvel, solo più coatto, sporco e cattivo.”
Dev’essere nata più o meno così l’idea di Caput Mundi, miniserie di sei numeri (nel momento in cui scriviamo ne sono usciti 4) che apre le porte sull’Universo Cosmo. Una serie di individui apparentemente diversissimi tra loro che si aggirano nello stesso contesto urbano in cui vivono o hanno vissuto personaggi “leggendari” come Il Libanese, il Freddo, il Dandi o (per citare l’odierna situazione capitolina) Numero 8, Samurai e compagnia cantante. Personaggi diversi tra loro, dicevamo, ma accomunati da un fondamentale requisito: l’essere dei Mostri. Lupi mannari, moderni e sensualissimi Frankenstein, uomini invisibili, vampiri, mummie. Immaginate l’antologia dell’orrore dei mostri Universal e mutuatela nella periferia romana, tra i crimini sporchi e violenti dei quartieri popolari e le malefatte del Vaticano, che allunga i suoi tentacoli su tutta la città. Un progetto ambizioso, complesso da sviluppare ma inevitabilmente affascinante per chiunque abbia imparato a conoscere e ad amare le pubblicazioni di Editoriale Cosmo.
Ma cos’è Caput Mundi veramente? Cosa vorrebbe essere e cosa invece NON riesce ad essere? Nella misura in cui, l’idea di fondo, era palesemente il voler dare una nuova chiave di lettura alle tematiche di prodotti cinematografici e televisivi di tendenza (come appunto Romanzo Criminale e Suburra), sfruttandone il setting e il traino mediatico che hanno generato negli ultimi anni, i presupposti per una grande serie c’erano tutti. Chiariamo subito: con questo preambolo non vi stiamo dicendo che il progetto ha fallito nei suoi intenti. L’atmosfera è quella giusta, alcuni personaggi sono indubbiamente riusciti e carismatici (con tutti i limiti posti dall’essere dei chiari clichè, praticamente versioni horror delle loro ipotetiche controparti televisive) ma a mancare, almeno in questi primi 4 numeri, è la costanza nella narrazione.
Il voler presentare un nuovo personaggio per ogni volume spezzetta inevitabilmente il ritmo di una storia che era partita con il piede a tavoletta, introducendo un gruppo di lupi mannari capitanati da Nero, intenti a servire un oscuro mandante. Via via conosciamo il resto del cast di questo mostruoso “Grand Guignol”. Troviamo la Creatura, l’uomo invisibile, Il Mostro del Lago e una guest star d’eccezione che, in qualche modo, salva tutta la baracca da un possibile pericolo di mancata empatia con il lettore: Pietro Battaglia, l’immortale vampiro siciliano creato proprio da Roberto Recchioni (che lo portò sulle pagine di Dark Side nei primi anni 90′) “colpevole”, se ci passate il termine, di rubare la scena agli altri senza troppa fatica. In quello che non può essere definito un difetto, pesa inevitabilmente sul piatto della bilancia il fatto che Battaglia sia l’unico personaggio con un background definito ed una storia editoriale autonoma che lo ha già portato a farsi conoscere al grande pubblico.
Con Battaglia a fare capolino di tanto in tanto sulle pagine della serie, tutto il contesto sembra acquistare un senso e, quasi per osmosi, anche il resto dei personaggi ci guadagna in carisma. Come dicevamo però, il meccanismo non sembra essere ben oliato. L’alternanza di sceneggiatori e disegnatori crea uno “stacco” di stili che spesso destabilizza per l’incapacità di dare omogeneità a tutto il circo messo in piedi fino a questo momento. Fortunatamente, tra le buone idee proposte in questi primi 4 volumi, c’è la volontà di creare una sorta di versione dark degli Avengers, della Justice League o di qualsiasi altro gruppo supereroistico possa venirvi in mente. Altra grande qualità dell’opera, fino ad ora, è la volontà di non proporre niente di figurato o anche vagamente metaforico: i “Mostri” non sono tali per le loro azioni, la loro dubbia moralità o i loro intenti. I mostri di Caput Mundi lo sono in tutto e per tutto e non fanno niente per nasconderlo. La loro natura è quella del contesto in cui si muovono ed in cui cercano di sopravvivere: una Roma che, alla fine della fiera, è il Mostro supremo, il Boss di fine livello che fagocita chiunque non abbia le spalle abbastanza larghe o i denti abbastanza lunghi per difendersi. La serie mantiene quindi ancora alto l’interesse per i due volumi conclusivi di quella che potrebbe essere soltanto la prima stagione di un progetto che (sempre sulla scia del media televisivo) potrebbe espandere i suoi orizzonti e sfruttare l’immenso potenziale che si porta dietro e che, per il momento almeno, rimane ancora abbastanza inespresso.
Aspettiamo quindi fiduciosi che Roma riscuota il suo tributo al grido de “PIAMOSE TUTTO”…Ovviamente sotto il chiarore di una bella luna piena, per non correre rischi.