Comic Articolo

Locke & Key

di: Simone Cantini

Quante volte è capitato che una graphic novel di successo (chiamarle semplicemente fumetti è talvolta è davvero troppo riduttivo) finisse per contaminare anche il piccolo schermo, forte di un successo tale da renderla adattabile al formato televisivo? Di esempi clamorosi ne abbiamo davvero a bizzeffe, come ci insegna The Walking Dead, oppure il recentissimo caso che ha per protagonista The Umbrella Academy, di cui apprestiamo ad accogliere la seconda stagione. Netflix, in questo senso, sembra essere molto vicina a questo modus operandi, come dimostra l’arrivo sulla piattaforma di streaming di Locke & Key, adattamento dell’opera scritta da Joe Hill e illustrata da Gabriel Rodriguez. Confesso di essermi sparato tutta d’un fiato, in un paio di serate, l’intera serie, digiuno del materiale originale, trovandola estremamente godibile. Però era tanta la curiosità di buttare uno sguardo al lavoro di partenza, anche solo per capire se il processo di adattamento fosse riuscito a migliorare, come successo nel caso delle avventure dei fratelli Hargreeves, uno script non certo memorabile.

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La storia di Locke & Key ruota tutto attorno alla famiglia Locke, composta dalla madre Nina e tre fratelli, Tyler il maggiore, Kinsey la mediana ed il piccolo Bode. I quattro, in seguito al brutale omicidio del capofamiglia ad opera del giovane Sam Lesser, decidono di lasciarsi alle spalle i dolorosi ricordi di una vita per trasferirsi nella casa natale del defunto. Key House, questo il nome dell’abitazione, si trova nella cittadina di Lovecraft, un piccolo centro abitato del Massachusetts, ed al suo interno cela un sinistro ed oscuro segreto, che toccherà proprio a Bode portare alla luce: nella casa, difatti, si nascondono delle chiavi arcane, ognuna dotata di un particolare potere, che si attiva se inserita nella serratura corrispondente. Sarà proprio uno di questi strumenti, la Chiave Eco, a liberare una presenza maligna segregata all’interno del pozzo presente nel giardino di Key House, il cui scopo ultimo sarà quello di impossessarsi di tutte le altre chiavi, per poter realizzare il proprio piano segreto. Queste sono le premesse da cui prendono il via le vicende del lavoro di Hill e Rodriguez, e che vengono in toto riprese anche dalla serie di Netflix, la quale però si è ritrovata a rimescolare abbondantemente, pur mantenendone inalterati gli elementi fondamentali, le vicende narrate nel corso dei 6 volumi della graphic novel. Il cambiamento più marcato, al di là del fisiologico inserimento di alcuni personaggi inediti e la trasformazione del ruolo di altri, è da ritrovare nel mood generale, decisamente più edulcorato nella serie TV, che strizza l’occhia ad un pubblico sicuramente più giovane rispetto al target del lavoro originale. La storia tratteggiata da Hill e Rodriguez, difatti, è molto più cruda ed esplicita di quanto mostrato sullo schermo, con scene anche decisamente forti e non proprio adatte ad un pubblico televisivo mainstream. 

La stessa caratterizzazione dei personaggi si fa più sfaccettata e credibile, con un approfondimento psicologico maggiore, che non si vergogna di mettere in luce gli anfratti più oscuri della loro psicologia, oppure il passato non certo roseo, che ha finito per riflettersi in modo implacabile sul loro comportamento. Locke & Key è a tratti brutale e spietato, intriso di una violenza che non risparmia nessuno, siano essi inermi madri con bambini in fasce che sanguinari assassini. Il crudele gioco che contrappone i tre fratelli Locke a Dodge, il villain della serie, è un continuo rincorrersi in una spirale di brutalità e sangue, che troverà la sua apoteosi in un finale che, lo ammetto, non ritengo abbia reso giustizia all’intrigante costruzione narrativa imbastita da Hill: con quel suo barcamenarsi incerto tra la voglia di rimanere fedele alla spietatezza della situazione, di cui i tre giovani finiscono per essere gli involontari protagonisti, e la volontà di stemperare il dolore con un paio di trovate da facile happy ending, la chiusura attorno alle vicende di questa famiglia particolare lascia un poco con l’amaro in bocca, per come l’autore ha scelto di chiudere il cerchio, senza prendersi del tutto i rischi del caso. 

Fermarsi qua, senza rendere il giusto merito a Hill autore, però, sarebbe davvero riduttivo, dato che la narrazione si attesta comunque su alti livelli per tutta la durata della vicenda, coadiuvata da un efficace gioco di rimandi verticali capaci di trovare la giusta collocazione, anche a capitoli o volumi di distanza, agli elementi che ad un primo sguardo potrebbero essere apparsi come marginali (cari uccellini, ci siete voi in cima a questa mia lista!). Una storia ottimamente scritta, però, non avrebbe potuto risaltare pienamente se non supportata da delle matite in grado di esaltarne ogni singolo aspetto, ed in questo trovo la scelta di Rodriguez decisamente azzeccata, pur non essendo io in primis un amante dei comics americani. Lo stile del disegnatore cileno, difatti, riesce a sottolineare con estrema perizia i vari stati d’animo dei personaggi, oltre al mood delle situazioni, in virtù di un tratto eclettico capace di variare il proprio stile a seconda delle esigenze narrative, come dimostra il capitolo esplicitamente dedicato a Bill Watterson, l’autore di Calvin e Hobbes. E poi ci sono loro, le reali protagoniste di tutta la vicenda, l’elemento scatenante da cui la tragedia della famiglia Locke e di coloro con cui entreranno in contatto avrà inizio: le chiavi. È attorno ai loro poteri che si svilupperà l’intero tessuto narrativo, saranno loro a dettare i tempi dell’azione e a garantire al tutto quel guizzo di imprevedibilità e mistero, ma anche di sana curiosità, capaci di tenere alta l’attenzione del lettore. Per certi aspetti, viste le loro peculiari caratteristiche (che non ci tengo affatto a spoilerare) mi hanno ricordato gli Stand di arakiana memoria, bizzarre nel loro modo di agire, ma anche nella maniera in cui i loro effetti sono visivamente rappresentati (vero Chiave Testa?).

E alla fine siamo giunti in chiusura di questa analisi, senza però che il sottoscritto abbia ancora risposto alla domanda posta in apertura. Però, ora che ho divorato i 6 volumi (più un settimo che non aggiunge nulla alla narrazione principale) posso dire di essere due volte soddisfatto di quanto Locke & Key è stato in grado di offrirmi. Per quanto più debole a livello di puro spessore narrativo, difatti, la trasposizione televisiva è riuscita a rendere fruibile anche ad un pubblico meno maturo una storia sicuramente avvincente e ben costruita (mia figlia è impazzita), senza snaturarne troppo le fondamenta. È però nella versione scritta ed inchiostrata che l’epopea di Tyler, Kinsey e Bode riesce ad esprimere tutto il proprio, brutale, potenziale, per il modo in cui sa irretire pagina dopo pagina il lettore, costruendo attorno a lui un racconto stratificato e sempre pronto a sorprendere, proprio come le chiavi di Key House sono riuscite a fare con i tre fratelli Locke.