Ready Player One – Tutti per uno!
di: Federico LelliIl revival degli anni ’80 e ’90 negli ultimi periodi non è un segreto: IP dormienti che ricevono reboot nostalgici, grandi classici che vivono di nuova vita, produzioni recenti che però guardano al passato.
L’eterno ritorno di questi prodotti luccicanti e delle atmosfere al neon è inevitabile soprattutto quando la generazione nata in quegli anni ha l’età per sedere ai posti giusti di Hollywood e, dalla parte del pubblico, un portafoglio sufficientemente grande per foraggiare questo tipo di ritorno al futuro [cit]. In tutto questo Steven Spielberg, che scemo non è, avrà pensato che negli anni ’80 lui gioca un po’ in casa, d’altronde è anche grazie a lui e alla sua Amblin se siamo i nerd che siamo e, dopo aver acquisito i diritti cinematografici di Ready Player One, si sarà detto “mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost” [cit]
A Columbus – Ohio nel 2045 il futuro è abbastanza gramo: gente che vive in trailer park dove le roulotte sono accatastate l’una sull’altra, degrado e sporcizia ovunque, povertà per la maggior parte della popolazione. L’unico modo per sfuggire al proprio destino infelice è quello di rifugiarsi dentro Oasis: un open world virtuale dalle potenzialità infinite dove tutti hanno una vita alternativa, con la sua valuta e le sue regole, che praticamente sostituisce quella reale.
Alla scomparsa di James Halliday, il creatore del videogioco un po’ a metà tra Steve Jobs e Willy Wonka, si è generata una nuova missione per i partecipanti di Oasis: trovare tre chiavi nascoste dentro altrettanti easter egg per ricevere in cambio un premio in denaro e il controllo totale del mondo virtuale. Il nostro eroe Wade Watts (Tye Sheridan), un sedicente fanboy di Halliday e appassionato cercatore di segreti del gioco, si ritrova unico tra tutti a scoprire la prima chiave grazie ad un’intuizione fortunata e ad attirare così le attenzioni della solita mega corporazione cattiva che vorrebbe impossessarsi dell’intero mondo di gioco per lucrarci sopra.
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Come un bambino che non vede l’ora di mostrarci i suoi giocattoli preferiti Spielberg liquida l’introduzione, presenta i personaggi e ci porta al conflitto iniziale entro la prima mezz’ora così da essere libero di proseguire tranquillamente il suo film nel mondo virtuale fatto di CGI. Oasis è quindi un elemento prioritario nella visione di Ready Player One soprattutto quando il regista si prende il tempo di esplorarlo liberamente; mi piacerebbe potervi dire che l’ambiente è frutto di un world building accurato ma ci accorgiamo ben presto che in realtà è solo un pretesto per giocare con le molteplici action figure di cui si sono acquisiti i diritti.
Croce e delizia di Ready Player One sono infatti i vari cameo, citazioni e strizzate d’occhio che Steven “ammicco ammicco [cit]” Spielberg ci lancia addosso con il volume a 11 [cit], senza alcun criterio che non sia esclusivamente cumulativo. Giustificati internamente dall’estrema passione che il creatore Halliday aveva per quel periodo della sua infanzia, a partire da Jump dei Van Halen nei titoli di coda fino all’ultima apparizione dell’ennesimo personaggio tratto da un film della nostra infanzia, il film è un frullato a pezzettoni grossi di cultura pop – con un particolare occhio di riguardo verso gli anni ’80 – tanto da essere esso stesso una caccia continua alle ester egg, con chicche a volte inserite con tanta cura da comparire solo per una singola scena o per pochi frame.
Se da una parte la cosa farà la gioia dei vari appassionati geek che avranno gli occhi lucidi, le mutande bagnate e il cervello in sovraccarico da stimoli familiari dall’altra ci accorgeremo presto di quanto sia tutto estremamente fine a sé stesso e, anzi, deleterio allo sviluppo della storia.
La sceneggiatura, firmata anche dallo stesso Ernest Cline che ha creato il libro originale, non è solo scontata, priva di mordente e abbastanza bucherellata, oltre ad essere estremamente sacrificata perché bisognava far vedere più pupazzetti possibile, ma ci presenta anche dei personaggi che sia nelle loro versioni reali che in quelle virtuali sono monodimensionali, intercambiabili e senza alcun arco narrativo; i buoni sono tutti eroi, i cattivi sono tutti perfidi e i cameo compaiono per farci puntare il dito e dire “quello lo conosco”. Non è un caso che la cosa più memorabile del film siano proprio le varie citazioni: quando uscirete dalla sala ricordando i vari momenti d’azione non sarà per la qualità dell’animazione o per l’impatto che hanno sulla storia ma per i vari personaggi bonus che sono apparsi in quella scena.
La delusione forse più grande, soprattutto da un regista tipicamente emozionale come Spielberg, è che non riesce a farci provare quasi niente per i protagonisti: il fatto che abbiano tutti lo spessore delle sagome di cartone non aiuta l’immedesimazione; la storia d’amore che si sviluppa in maniera così lineare da essere quasi un insulto per chi guarda; la mancanza di una vera urgenza per la sorte degli eroi, sia nel mondo virtuale dove l’unica cosa che si può perdere con la “morte” sono i progressi del proprio avatar, sia nel mondo reale dove quasi tutto si risolve grazie ai vari deus ex machina.
Visivamente spettacolare, almeno nella sua parte di animazione, Ready Player One è un pastrocchione postmodernista che può essere apprezzato più per la sua caccia al tesoro che per altre doti cinematografiche; alla fine più una grande giostra che un film, ma probabilmente uno degli ultimi che vorrete andare a vedere in 3D – esiste ancora il 3D? – o comunque in una sala IMAX proprio per quello che mostra e per quanto mostra contemporaneamente.
Effetto nostalgia assicurato a chi è cresciuto con gli anni ’80 nel cuore, per tutti gli altri il rischio che possa essere una cagata pazzesca [cit].