Cinema Recensione

Nosferatu (2024 – Robert Eggers)

di: Andy Reevieny

Belo ano di nuovo a chiunque! Vi chiederete anzitutto come mai, già dal titolo, specifichi millesimo e regista. Beh, è presto detto visti gli oltremodo illustri precedenti del titolo in questione, da oltre un secolo ormai, oltretutto.

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A me gli occhi, please

Non si ricorda mai abbastanza l’indimenticabile Maestro Gigi Proietti, ma qui come non mai il leggendario titolo-tormentone di spettacolo teatrale serve per richiamare l’attenzione su ciò di cui si tratta: Nosferatu, appunto.

Un po’ come l’immagine di cui sopra con due dei protagonisti della nostra storia ambientata, sottolineo subito di nuovo, nella Germania di fine ottocento, cioè da sx Nicholas Hoult nel ruolo di Thomas Hutter, marito follemente innamorato di Ellen (Lily-Rose Depp, già figlia d’arte) in preda a visioni mistiche de-generazionali, a dx Aaron Taylor – Johnson nel ruolo dell’armatore amico di famiglia Friederich Harding. Parrebbe in tutto e per tutto un melò in costume.

Tra-secolare

Metto subito le mano (come direbbe la adorata Paola Cortellesi) avanti perchè qui, inutile girarci intorno, si tratta di un capolavoro e capodopera anzitutto letterario quale è Dracula del 1897 di Bram Stoker e, per la settima arte, anzitutto del Nosferatu il vampiro del 1922 diretto dal Maestro Friederich (n.b. uno dei nomi che ricorrono) Wilhelm Murnau, emblema del cinema muto dapprima ritirato dalle sale e poi recuperato nel tempo con tanto di sonorizzazione, il tutto per le più classiche questioni di royalties dovute e reclamate dagli allora aventi diritti e rovesci sull’opera originaria di Stoker cui sopra nel film aggirate cambiando personaggi e luoghi, nonchè del Nosferatu, il principe della notte  del 1979 di Werner Herzog. Lo so, già solo rammentare ciò è da far tremare i polsi.

Bello, bello, bello in modo assurdo

A questo punto vi aspettereste il più classico dei “eh… mah… però…” e invece no. Con questa riproposizione di Nosferatu, lo statunitense regista Robert Eggers, di cui va guardato tutto, dopo l’ incredibile esordio stregonesco con The Witch, la riconferma in b/n con gli allucinanti e allucinati guardiani del faro (tra cui si segnala un monumentale Willem Dafoe da qui in poi considerabile attore feticcio) di The Lightouse (uscito in piena pandemia con tutti i limiti distributivi del caso) e l’epica norrena di The Northman, compie qualcosa di sovrannaturale. 

Non tanto e non solo perchè al confronto con le pietre miliari summenzionate non si polverizza come il non morto protagonista alla luce del sole nel finale della storia. Non si può manco parlare di spoiler perchè dopo oltre un secolo se non conoscete una tale pietra miliare della letteratura (relativo che sia dell’orrore) anzitutto, anche per sommi capi, è un problema e una mancanza a monte tutta vostra. Ad es. nel cast il protagonista figura indicato  non come Dracula ma Conte Orlok, oltre al già summenzionato aiutante Renfield qui Herr Knock principale di Thomas. Il V.M. 14 ci sta tutto, anzi senza troppo gore-splatter, mai abusato.

Non solo dunque sempre banalmente perchè i protagonisti, leggermente riscritti e rimaneggiati alla bisogna nel soggetto di base che rimane quello (il vampiro che perseguita la fanciulla protagonista a partire dai sogni, sfrutta il suo compagno/marito agente immobiliare per trasferirsi a seconda a Londra e/o nelle teutoniche Wisborg/Wismar portando una simpaticissima epidemia di peste tra le altre cose dai Carpazi in Transilvania e limitrofi), richiamano in Nosferatu nei nomi e, su tutti, nel caso del sempre più bravo Nicholas Hoult già protagonista tra gli altri in Renfield (l’aiutante storico del Conte Dracula qui interpretato da un Nicholas Cage quantomai oltre il bene e il male) di Chris McKay del 2023. Non solo perchè le musiche di Robin Carolan qui richiamano il Dracula di Francis Ford Coppola del 1992, a parer mio il miglior melodramma mai trasposto su grande schermo senza nulla togliere ai vari Titanic et similia. Non solum, sed etiam direbbero gli antichi, anche stavolta è il comparto visivo a farla da padrone con continui rimandi nell’estetica al cosìddetto espressionismo nei magici giuochi di luci e soprattutto ombre, ai gotici del nostrano Maestro Mario Bava e quelli della storica casa cinematografica britannica Hammer specializzata nel genere.

A suggello del tutto, ci sono prove recitative magnificate dalla regia, dal trucco&parrucco, dalla fotografia, dagli operatori di macchina…  Skarsgard in primis qui è al suo massimo, in una storia che fin dall’inizio si sa che piega prende, non potrebbe essere più telefonata eppure, appunto foss’anche il suo film ad oggi meno bello, sicuramente giocoforza il meno personale di Robert Eggers, non esitate e attraversate gli oceani del tempo per guardarlo al cinema.