Cinema Recensione

L’orto americano

di: Andrea Campriani

Nel fine settimana all’insegna delle mimose, dopo Nonostante, si torna subito in sala con un’altra commedia roman…zata, via.

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L’orto vuole l’uomo…

Diversamente viva diciamo anche la donna in questo caso, e senza fare spoiler perchè proprio così inizia e apprendiamo da subito in L’orto americano, nelle sale dal 6 marzo 2025, quarantaquattresimo film del felsineo regista di culto assoluto Pupi Avati, tratto da un suo omonimo romanzo, sceneggiato a 4 mani col figlio e collega Tommaso e prodotto dall’immancabile fratello Antonio Avati.

Siamo nell’Italia del 1945 appena liberata, e il film si apre col protagonista senza nome, un ragazzo con ambizioni da scrittore interpretato dall’ottimo Filippo Scotti che ritroviamo dopo essere stato di fatto Paolo Sorrentino da giovane nel suo toccante È stata la mano di Dio, che dal barbiere a conflitto mondiale appena terminato, come recita in qualità di voce fuori campo, incontra questa splendida ragazza americana infermiera di campo, che chiede indicazioni per Argenta.

Da qui in poi il nostro, che durante il film disvela di essere stato internato anni prima dei fatti narrati nel film, per parlare coi suoi cari estinti in foto si ritrova per circostanze del tutto inaspettate negli Stati Uniti per cercare ispirazione per il suo primo libro ad essere dirimpettaio della anziana madre della ragazza cui ha dato indicazioni stradali mentre si faceva i capelli. Da lì in poi una serie di eventi concatenati lo trascinano dentro ad una storia macabra di femminicidi con tanto di mutilazioni e lo riportano in Italia nel ferrarese dove il mistero si disvela.

Orto bio!

L’orto americano, con l’orto che è una sorta di mcguffin, serve appunto al nostro come punto di partenza letteralmente in maniera oltremodo macabra, per rimettere insieme i pezzi di questa storia che segna il ritorno per Avati dopo lo splendido Il Signor Diavolo, al cosìddetto gotico padano ed è bene rimarcare anche qui la connotazione geografica perchè dopo la prima parte in cui il nostro protagonista è negli States, in Iowa a quanto pare per la precisione e parla un fluente inglese (parte sottotitolata), il resto del film si svolge tutto in Emilia, appunto ad Argenta in provincia di Ferrara, con un bianco e nero dapprima luminoso oltreoceano e poi mano a mano più fumoso, in pianura.

Ob orto collo

Le nebbie si diradano poco alla volta, L’orto americanoè un thriller a tutti gli effetti alla fine con tanto di serial killer, con una colonna sonora con tanto di Theremin che risulta azzeccatissimo per sottolineare passaggi e paesaggi.

Oltre al già menzionato Filippo Scotti troviamo e ritroviamo, ahinoi dopo le scomparse degli attori feticcio di Avati quali gli indimenticabili Gianni Cavina e Lino Capolicchio, senza contare Carlo Delle Piane, l’ennesimo cast diretto a regola d’arte tra cui si segnalano Chiara Caselli, Massimo Bonetti già noto agli appassionati dei film di Avati (da recuperare assolutamente Ultimo minuto film sul mondo del calcio con Ugo Tognazzi inarrivabile e un irresistibile Diego Abatantuono che grazie proprio ad Avati viene “reinventato” attore brillante e drammatico) nel ruolo del giudice, Nicola Nocella, Roberto De Francesco

Resto volutamente vago non indicando neanche i nomi dei personaggi perchè L’orto americano è l’ennesima prova convincente anzitutto in scrittura, lasciando il dubbio su chi sia il vero colpevole praticamente fino alla fine, con un richiamo al capolavoro del genere firmato nel 1976 dallo stesso Avati La casa dalle finestre che ridono, stavolta però eliminando del tutto la componente spirituale che Avati, così come anche la realtà dell’immediato dopoguerra specie in Emilia, conosce come pochi altri specie in Italia, per realizzare un film nel 2025 che ricorda forse anche più titoli alla Psycho e i racconti di Stephen King che altro. Non da tutti non avere più alcunchè da dimostrare a quasi 87 anni, ma non perdere mai l’occasione dopo, da ultimi, aver riportato anche il Sommo Poeta e Francesco Petrarca nello splendido film in costume Dante. Grazie Maestro.