
La città proibita
di: Andrea CamprianiClima, situazione globale sempre più compromessi, altro che storici, insomma quando tutto pare andare sempre più storto ci pensa la vita. A picchiare. Sempre più forte. Oi, vita Mei.

accettare i cookie con finalità di marketing.
Menare le mano
Cominciamo subito così, a buffo, come dicono nella Capitale, perchè lì, dalla Cina degli anni novanta in pieno controllo demografico delle nascite (ndr dal 1979 al 2015 era proibito per legge avere più di un figlio per famiglia) con due bambine, che scopriamo subito essere sorelle di età diverse, si passa indicativamente ai giorni nostri alla capitale italiana, la città eterna Roma, dove Mei (Yaxi Liu), la minore delle due fanciulle, è in cerca della maggiore.

La città proibita (il fulcro della Dinastia Ming e Qing e omonima di un tot di altri titoli filmici) che è anche il nome del ristorante cinese all’Esquilino dove da subito entrando nel vivissimo della storia, la nostra Mei arriva per avere informazioni utili alla sua ricerca, pronta però insieme ad altre sue giovani connazionali, per essere adescata ed indotta alla prostituzione da suoi connazionali senza scrupoli che non hanno però fatto i conti con un’artista marziale che li mazzuola a dovere pur fuggendo per strada e quartiere.

Le poche informazioni estorte la portano subito alla vicina trattoria di quartiere un tempo di Alfredo (Luca Zingaretti) fuggito per amore proprio con sua sorella. Qui facciamo subito la conoscenza della sua famiglia, del coprotagonista Marcello (Enrico Borello) che lavora con la mamma, sua moglie Loredana (Sabrina Ferilli) e gli altri collaboratori del locale tra cui segnalo il cameriere interpretato dal mitico Paolo Buglioni, già storico doppiatore, nonchè da Annibale (Marco Giallini) con gli sgherri “Cip&Ciop” capoccia del quartiere, amico di famiglia, e manco a dirlo antagonista del boss e proprietario del locale rivale di cui al titolo del film Wang (Chunyu Shanshan). La storia come prevedibile è all’insegna della vendetta e dei colpi anche proibiti che portano ad un crescendo continuo fino al terzo atto del film in cui tutto diventa chiaro e ci porta alla conclusione della storia.
I 400millemila colpi
La città proibita, ancora non fosse chiaro, è un film d’azione, di quelli che in madrepatria Cina viene indicato come wuxia, ma e qui sta la sua forza insieme alla irresistibile protagonista, una stuntwoman internazionale che Gabriele Mainetti, adoratore dei film di combattimento a partire dai capodopera del genere con Bruce Lee, italianissimo per ambientazione e grosso del cast, per l’occasione re-inventa attrice, perfettamente credibile e solo ciò vale tutto. Gli interni oltre a Roma stessa sono tra i protagonisti del film, che in un contesto contemporaneo sempre più multietnico, non sono solo sfondo di combattimenti, odi e amori, ma parte attiva in questi, dal momento creativo che avviene nelle cucine dove si combatte, alle rovine dell’Antica Roma, metafora dell’Italia dei nostri giorni.

Mainetti dopo il sodalizio artistico con il geniale Nicola Guaglianone con cui ha scritto tutti i suoi cortometraggi (Basette, ispirato a Lupin III e Tiger Boy ispirato all’Uomo Tigre, trasudanti passione per anime e manga), nonchè il film che lo ha lanciato Lo chiamavano Jeeg Robot (2015) e Freaks out (2021), inizia a collaborare con Stefano Bises e Davide Serino reduci dal successo di M-Il figlio del secolo e cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia.
L’urlo di Mei terrorizza anche lei
Non siamo di fronte al capolavoro e men che meno capodopera del genere azione, quello probabilmente ora può essere considerato ad esempio Mad Max -Fury Road così come cult la saga di John Wick per restare in occidente con cui in caso non teme confronti, perchè con La città proibita Gabriele Mainetti firma il suo film più personale per la dichiarazione d’amore al genere, con cui tratta sempre anche il sociale che meglio conosce (n.b. Roma insime a Milano e Prato ha per numero la comunità cinese più numerosa d’Italia e forse non solo), ammaliante a vedersi per coreografie, e la differenza la fa anzitutto la protagonista che è perfetta in parte, dovendo recitare poche battute in tutto il film, che invece a livello recitativo è impreziosito dalle prove dei singoli altri attori nostrani anzitutto. Un gran film, il più prodigo di cuore per un generoso come Mainetti.

A oggi il suo film di più ampio respiro internazionale, non solo per il cast tecnico coinvolto di livello assoluto, ma appunto perchè tratta tematiche universali, comprensibili ai più, la dittatura, la possibilità di riscatto e di riniziare malgrado tutto, la vendetta che consuma, l’amore che salva e rigenera… il tutto con l’omaggio più ossequioso possibile non solo a Maestri come il summenzionato Bruce Lee, ma anche i più recenti Jackie Chan e Sammo Hung, veri acrobati e alfieri della parte più estrema, ipercinetica dell’azione. Non si lesinano neanche ossa rotte, sangue, ma il grosso dei combattimenti sono a mani nude o sfruttano gli interni e gli oggetti presenti, ricostruiti in toto a Cinecittà. Non manca poi anche il rap capitolino di ultima generazione, così come la Tigre di Cremona, le Gravatte e Asterix. Non si può desiderare di più. Recatevi in sala o guai a voi.