Cinema Recensione

Giurato Numero 2

di: Andy Reevieny

Quando anche l’annata cinematografica sembra finita, nella tristezza e l’orrore più inverecondi ecco che torna prepotentemente in scena il numero 1, o meglio…

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Con vocazione

Novembre 2024 è un mese che personalmente putroppo lascia un segno indelebile, ma quantomeno a livello filmico possiamo segnarne inizio, in Italia il 14 novembre, come data fondamentale in quanto esce Giurato Numero 2, a quanto pare ad oggi ultimo anche nel senso di definitivo film del quasi secolare Maestro Clint Eastwood che stavolta, dopo un tot di storie vere, si cimenta col genere puro: il thriller, per la precisione il legal thriller.

La sinossi è così riassumibile: siamo grossomodo ai giorni nostri (riferimento temporale ottobre 2021) a Savannah in Georgia, e subito apprendiamo che James Sythe (Gabriel Basso) è sotto accusa per l’omicidio della findanzata Kendall (Francesca Eastwood) a seguito di un litigio in un bar di zona coi nostri due  entrambi diversamente sobri. Kendall si congeda da James in malo modo e poco dopo, in una serata di pioggia torrenziale il suo corpo rinvenuto esanime. Tutti gli indizi convergono e da subito indicano senza esitazione James come colpevole di omicidio. La storia dunque sembra finita ancor prima di iniziare.

Viene selezionata una giuria popolare di 12 elementi tra cui Justin Kemp (Nicholas Hoult), giornalista freelance ex alcoolista non più anonimo, sposato con Ally (Zoey Deutch) già incinta e prossima al parto dopo una gravidanza finita male: lui è appunto il Giurato n° 2. A presiedere la Corte troviamo il giudice Thelma Holub (Amy Aquino). La pubblica accusa è affidata alla donna in carriera Faith Killebrew (Toni Collette) legale in lizza per diventare procuratore distrettuale, la difesa dell’imputato all’ avv. Eric Resnik (Chris Messina). Tra i giurati, oltre a Justin, spiccano Marcus (Cedric Yarbough) e Harold (J.K. Simmons), zelante detective in pensione trasferitosi per stare vicino alla famiglia. Quel che si presenta come un caso fin troppo chiuso da subito, si dimostra ben altro, e per ben altri appunto.

Camera caritatis

Non nel senso inter nos di riunione a porte chiuse, propria degli uffici del tribunale, Giurato Numero 2 è veramente il più guilty dei pleasure per un cinefilo e uno studente, anche ex come il sottoscritto, di giurisprudenza o per i giuristi. Ritroviamo, oltre alla regia di Eastwood a partire dalla scrittura granitica di Jonathan Abrams anzitutto l’omaggio ad un Maestro della cosìddetta Nuova Hollywood, cioè Sydney Lumet (del quale ricorre questo anno il secolo dalla nasciata e di cui tassativamente va recuperato tutto), nel capolavoro del 1957 La Parola ai Giurati (12 Angry Men) , ma qui ci si spinge ancora oltre.

Non solo insinuando il dubbio a partire dal protagonista, un Nicholas Hoult sempre più bravo che oltretutto qui dopo il cult dal libro del venerabile Nick Hornby About a Boy, ritroviamo insieme a Toni Collette, e il resto del cast non è da meno, forte anche a mio avviso del miglior doppiaggio del 2024 che riconferma su tutti Flavio Aquilone (Hoult) e Alessio Cigliano (Messina) e Massimo Rossi (Kiefer Sutherland) come i migliori delle rispettive generazioni e non solo, senza dimenticare anche Luca Biagini (Simmons) e Laura Romano (Collette). Il libero convincimento qui procede di pari passo con la verità, le mezza verità, insomma i fatti ricostruiti lo sono fino a prova contraria che qui viene messa in scena in una sorta di processo parallelo, dalla ricostruzione dei personaggi, ad indagini simultanee in corso, lecite o meno. Questo, sempre senza fare spoiler, nel sistema anglosassone in cui l’essenza è il precedente giuridico.

Ver detti

Mi limito a chiosare con questa “arringa”: Clint Eastwood, stando alle sue parole per sopraggiunti limiti di età, firma ormai ahinoi anche se meglio non potrebbe il suo testamento artistico con Giurato Numero 2 che è un gioiello di rara bellezza, un lascito che il tempo confermerà o meno se sia proprio un capolavoro di genere.

In questo film c’è la storia di un uomo che ha dedicato la sua intera vita al cinema, e se è vera la dicitura anglosassone nelle aule di tribunale “In God we trust” (trad. lett. ci affidiamo a Dio), ancor più universale è che “dura lex sed lex” (legge dura, ma legge) o se si preferisce che la legge è uguale per tutti. Non esiste il bene e il male, casomai il giusto e lo sbagliato ma in un continuo dilemma morale ed etico qui perfettamente rappresentato e per cui anche chi più si sforza di essere una brava persona deve fare i conti col male che inevitabilmente arreca. Non ho altro da aggiungere Vostro Onore, se non: recatevi senza indugi ovunque proiettino ciò.