Cinema Recensione

Ferrari

di: Andy Reevieny

Diciamocelo, al netto degli stereotipi: l’Italia, malgrado tutto nel 2023 quasi 2024, resta una culla d’arte, famosa e invidiata nel resto del mondo per bellezze artistiche e paesaggistiche, nonchè per l’enogastromia, la moda e quantomeno un certo lusso rappresentato da storici marchi di veicoli, a motore in primis. Senza contare appunto l’aver reso anche la settima arte grande nel mondo, specie nel dopoguerra. Quindi figurarsi se ci mancano registi e attori nostrani in grado di rendere al meglio la storia nostrana, quella recente per giunta.

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Ferrari

Ferrari, in concorso all’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia, l’ottantesima, come gli anni del regista del film che risponde al nome dello statunitense Michael Mann, con un cast quasi interamente internazionale a partire dai protagonisti Adam Driver nel ruolo del Commendator Enzo Ferrari, fondatore della omonima casa automobilistica col celebre logo del cavallino rampante e Penelope Cruz nel ruolo della moglie Laura Ferrari, si concentra sulla storia della azienda modenese a fine anni cinquanta, nel 1957 per la precisione.

Sono passati dunque 10 anni dalla fondazione nell’immediato dopoguerra da quando l’ex pilota automobilistico Enzo Ferrari diventa a sua volta imprenditore, progettista e costruttore di auto da corsa (questa la sua ossessione, la vendita di auto sportive di stralusso è sempre stata dichiaratamente collaterale per il patron delle Rosse©™®, necessaria per finanziare le corse).

Le corse, gli affari, si intrecciano inevitabilmente col privato dei protagonisti, in crisi per la prematura scomparsa del figlio Dino (chiamato così in onore dell’adorato fratello primogenito di Enzo, Alfredo, detto Dino appunto, perito durante la Grande Guerra 1915-1918) gravemente malato, con le relazioni extraconiugali del Sor Enzo (n.b. dal rapporto inizialmente fedifrago con Lina Lardi nascerà Piero Ferrari, attuale vicepresidente del Gruppo Ferrari) la spietata concorrenza del mercato automobilistico e in generale i rapporti con gli altri capitani d’industria di marchi automobilistici storici (Alfa Romeo, Ford, Maserati, Fiat con tanto di telefonata ad un allora giovin Avv. Gianni Agnelli già dall’immancabile orologio incastonato nel polsino della camicia…)

Il resto è storia nota

Mica vero e mica è detto. Nel senso che partendo dal soggetto del film tratto da Enzo Ferrari: the man and the machine di Brock Yates qui  ci concentriamo su una sceneggiatura che racconta vite di persone vere, sportivi per di più, ampiamente documentate, oltretutto negli anni del cosìddetto boom economico italiano, ma non scordiamoci mai e poi mai in questi casi che siamo in presenza di una biopic che ci racconta una storia italiana con un cast prevalentemente internazionale.

Sir Ridley Scott, a parer di chi scrive, con personaggi sulla carta meno importanti di Ferrari ma con un cast di primissimo ordine in House of Gucci (Adam Driver in comune, e nel film di Mann l’attore statunitense appena quarentenne interpreta un uomo della provincia italiana di quasi sessanta anni a metà secolo e millenio scorsi e nato a fine 800!) ha fatto una roba che farebbe invidia al Bagaglino.

Anche qui c’erano tutti i presupposti per qualcosa del genere che forse nemmeno le fiction nostrane oserebbero tanto.

Volevate vincere, l’avete presa nel culto

Invece qui per l’appunto dirige un maestro come Michael Mann di cui è straconsigliato recuperare tutto in filmografia, e di cui comunque questo bel film non è neanche lontanamente nel meglio della produzione del regista di Heat giusto per citare un suo gioiello, ma neanche dell’anno che volge al termine (ndr seguirà speciale ad hoc) a mio modestissimo avviso.

L’ottantenne regista gira comunque sempre con l’energia e la freschezza che forse nemmeno i ragazzi e compone una ennesima messa in scena mirabile che fa rendere persone che sono nate e cresciute a grandi distanze, altro che la Mille Miglia  qui sapientemente resa in tutta la sua tragicità, e in altri tempi rispetto a chi interpretano, facendoli comunque  essere credibili nella narrazione che non è mai agiografica. In Ferrari non sentirete dunque la cadenza emiliana, ma potete star certi del rombo dei motori in pista e non, e sulla credibilità dei personaggi, anzi delle persone, verosimili proprio perchè umani. Fallibili e dunque vincenti.