Cinema Recensione

Challengers

di: Andy Reevieny

Il tennis è un gran bello sport ma, come tutti gli altri, tolti giusto scambi al limite dei racchettoni da spiaggia, l’ho seguito il giusto e prevalentemente comodo davanti allo schermo, lasciando le sudate, gli infortuni ai giuocatori in campo. Insomma, in caso mi guardo un Grande Slam… meglio se per tifare atlete ed atleti nostrani, cosa fortunatamente avvenuta anche di recente. Direte e allora di che si ragiona, specie qui su portale videoludico? Ah, mi sfidi? A che mi sfidi? (cit.)

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Ménage à troi…

Goliardicamente tra amici l’espressione francese si è sempre storpiata con il cambio della lettera esse finale con la vocale e. Per divertirsi. E infatti in Challengers ci si diverte eccome, ma è un attimo che tutto va dove una storia (sapessi andarci io) come cantava Claudio Baglioni in Mille giorni di te e di me.

Il film diretto da Luca Guadagnino, a due anni da Bones and All del 2022, stavolta è ambientato nel mondo del tennis semi-professionistico, diciamo. Ci sono frequenti flashforward e flashback per raccontare la storia  di tre ragazzi, tutti atleti, tennisti appunto, a partire dagli juniores all’US Open nell’arco di oltre un decennio di vita e attività agonistica: Art Donaldson (Mike Faist), Patrick Zweig (Josh O’Connor) e direi soprattutto Tashi Duncan (Zendaya, anche produttrice del film). Che barba, che noia, direte: allora veramente si guarda una partita vera.

Doppio misto a tre

E qui vi volevo, non si spoilera alcunchè tranquilli che dalle prime immagini rilasciate di Challengers sappiamo appunto che la storia è incentrata su un triangolo amoroso, non solo quello riferito alla bellissima protagonista Tashi, ma proprio quello tra il personaggio di Zendaya e i due amici e compagni di doppio sul campo, Art e Patrick, che si alterneranno, diciamo, non solo alla battuta. Art è un rampollo di famiglia ricca, inizialmente il più scarso sul campo, rispetto a Patrick che invece ci viene presentato come il più talentuoso e destinato alla carriera più luminosa. In mezzo a loro Tashi, promessa del tennis al femminile.

Una storia d’amore e amicizia in un susseguirsi di dialoghi che servono ad approfondire i nostri personaggi, in questa storia scritta da Justin Kuritzes, con spezzoni di incontri e allenamenti di tennis resi nella maniera più realistica possibile ed ennesima mirabile collaborazione con Guadagnino dopo Bones and All di Trent Reznor e Atticus Ross (già NIN acronimo di Nine Inch Nails).

La loro colonna sonora elettronica ma con anche brani di culto di terze parti, uno in particolare della già nota come Ragazza del Piper, extradiegetica come si dice in gergo, insieme al montaggio del film, ha una resa straniante. Apparentemente anticlimatica, sembrerebbe non combinarci alcunchè con le scene cui è a commento, ma è proprio qui che a una più attenta analisi rende a pieno, esasperando i silenzi e smorzando invece momenti concitati che ci sono nel film.

Giuoco, set, partita

Challengers, a parere di chi scrive, è un film da non perdersi anzitutto in sala, proprio perchè può essere fruito anzitutto anche da chi non ami il tennis, da chi non sia particolarmente fissato con la cosiddetta musica industriale, genere di cui i Nine Inch Nails sono alfieri da anni ormai, arrivo a dire paradossalmente anche da chi non necessariamente consideri sex symbol i tre interpreti nelle pellicole in cui hanno precedentemente recitato (Zendaya stessa nel film ha una battuta fulminante ai limiti del fan service che però scatena l’applauso e no, ovviamente non mi riferisco certo a quel gioiello di Dune).

La regia, la scrittura, la musica… insomma compresi rallenty usati con cognizione, altro che ben altri iperpompati registi di blockbuster statunitensi (Challengers rispetto agli standard ha un budget contenuto, merito anche del lavoro che Warner e Amazon in produzione e distribuizione riescono a fare in sinergia con i brand anzitutto sportivi, qui non occultati), rendono appassionanti con la finzione lo sport, gli attori che interpretano atleti che sono credibili in campo e fuori, con quelle che vengono considerate imperfezioni fisiche, oltre alle cicatrici per esigenze di scena, insomma fisici atletici, ma reali, che sono l’espressione di menti vive, caratteri forti, decisi e fragili allo stesso tempo, tra i quali c’è quella alchimia che li rende irresistibili. Fuori campo e sotto rete.