
28 anni dopo
di: Andrea CamprianiIn questi giorni di clima sempre più impazzito (il “climate change” lo lasciamo agli sperti anglofoni), si cerca refrigerio un po’ ovunque e quale posto migliore di una saletta di un cinema di provincia con in programmazione un filmino tranqui

accettare i cookie con finalità di marketing.
Il numero dei “becchi”
Questo è il 28 nella cabala del Granducato di Toscana, che volendo c’entra anche se in minima parte anche con ciò che segue. Qui è anzitutto il numero ricorrente nell’ordine di giorni (2002), settimane (2007) e appunto per ora da ultimo 28 anni dopo che segna il ritorno del fantastico duo Alex Garland qui di nuovo in scrittura, e Danny Boyle alla regia dopo l’inizio folgorante del, lo anticipo subito, uno dei migliori franchise horror distopici di sempre e di gran lunga ad oggi negli ultimi 20-30 anni almeno la migliore saga audio-visiva extra videoluddismo sugli infetti. Sì, bisogna come non mai essere precisi qui, non solo coi termini.

La nostra storia parte appunto nel 2002 sempre nel cosìddetto Regno Unito distopico funestato da una epidemia globale di infetti appunto, ma dalla Londra deserta che fa conoscere nel summenzionato 28 giorni dopo nel mondo quell’attore immenso di Cillian Murphy, ci spostiamo ini Scozia, dove, diciamo, si riconferma che i Teletubbies non portano alcunchè di buono. Con una ellissi temporale ci catapultiamo appunto 28 anni dopo, dunque nel 2030 tra le highlands scozzesi nell’isola di Lindisfarne, dove il villaggio e relativi abitanti sono protetti ma al contempo isolati appunto dalla terra ferma e facciamo subito conoscenza di babbo Jamie (Aaron Taylor-Johnson), del figliolo Spike (Alfie Williams) e mamma allettata Isla (Jodie Comer). I comprimari, tutti ottimi attori, restano sempre sullo sfondo, perchè i nostri, nella più ormai desueta tradizione padre-figlio anche extra stagione venatoria decidono, armati di arco e frecce, di andare a caccia sulla terra ferma. Indovinate un po’ di chi, più di che cosa, e soprattutto cosa possa mancare ad un villaggio in un mondo così deflagrato e tagliatosi fuori volutamente dal resto, non solo a livello tecnologico e scientifico in generale, senza farsi mancare militari come il soldato svedese naufrago sull’isola Erik Sundqvist (Edvin Ryding), ma poprio medico. Dottore chiami un dottore: il Dr. Ian Kelson (un Ralph Fiennes di nuovo monumentale a Conclave conclusosi), un tempo medico di base, oggi proprio basilare in quanto tale.
Ahi, lenti
Che suona come highlands appunto dove 28 anni dopo si ambienta e ci descrive una gamma ampliata di infetti, quelli boschivi, più corpulenti e lenti appunto, fino ad arrivare agli Alfa, potenziati, più intelligenti e feroci che mai, capibranco di una serie sterminata di infetti di ogni tipo, cannibali, spietati e arrestabili solo con colpi precisi agli organi vitali. Questi sono “confinati” sulla terraferma cui si accede dall’isola con una sorta di pontile percorribile con la bassa marea.

Dopo una prima fase di addestramento diciamo, avviene lo sviluppo della trama inscindibile da quello dei nostri protagonisti, con particolare attenzione ai rapporti familiari di cui Spike è il perno, probabilmente il vero personaggio principale della storia che ha il più interessante arco narrativo di crescita.
Memento a-mori
Ricordati che devi… avrebbe scongiurato l’indimenticabile Massimo Troisi nel capolavoro di Non ci resta che piangere, ma in senso profondo dell’ineluttabilità della locuzione latina in 28 anni dopo è il personaggio chiave di Ralph Fiennes a darcelo. Medico isolatosi a sua volta da un isola, circondato da cadaveri e…

…montagne. Non solo naturali, di scheletri, con una svettante torre di crani (lg. teschi), che ricordano insieme al look del personaggio il leggendario Marlon Brando nei panni del Colonnello Kurtz nel capolavoro sempiterno di Mastro Francis Ford Coppola Apocalypse Now, con la differenza sostanziale che il nostro non ha affatto perso la propria umanità malgrado tutto.

Anzi, se possibile, mai venendo meno al Giuramento di Ippocrate, fornisce a questo un nuovo senso, impossibilitato per forza di cose dalla mancanza di mezzi, nel senso proprio di ferri del mestiere, ad esercitare la sua professione come un tempo, ma allo stesso tempo con la crescente responsabilità di essere uomo di scienza e coscienza la cui missione è la preservazione della vita. 28 anni dopo compie una critica socio-politica sottilissima ma asperrima al periodo pandemico e agli eccessi soprattutto verso negazionisti et similia, per non parlare della Brexit(!), riconfermando che ancora, malgrado tutto, perfino dove c’è solo morte e disperazione ci può anche essere nuova vita, e con la sola aggiunta di una vocale si passa al memento amori (ricordati di amare, ricordati l’amore) che è dunque la vera forza deflagrante di un gioiello di film. Alla scrittura superlativa di Garland di cui si straconsiglia di recuperare l’opera omnia (compreso quel gioiello di Dredd), si aggiunge la regia di Boyle, regista di culto assoluto, ulteriormente sperimentale verso l’infinito ed oltre con l’utilizzo di riprese ipercinetiche, frenetiche con l’iphone di ultimerrima generazione(!) in due ore precise di montaggio da manuale in cui si alterna il girato in senso proprio con immagini in b/n di repertorio, in costume e molto altro. Ecco, per me a pienissimo titolo, essendo oltretutto un franchise e canonico appunto, seguito con gli anglismi a questo punto visto anche il contesto (che per gli autori sarebbe sempre europeo!) un must watch assoluto insieme a Fallout se non anche The last of us tra i seriali, insieme a gioiellini nostrani a budget irrisori quali The End di Daniele Misischia e uno schiaffo a la Bud Spencer a due manone a troiai per il botteghino quali Romulus perchè cambia la materia ma non la sostanza. Che altro aspettate a scappare lestamente verso la sala a vobis più vicina per gustarvi questo gioiello di 2 grandi artisti contemporanei? Non ve lo fate ridire: scegliete la vita.