Yakuza: Like a Dragon
di: Simone CantiniConfesso che entrare all’interno dei padiglioni del Tokyo Game Show 2019 e trovarsi davanti, solo dopo un paio di passi, lo stand di Yakuza: Like a Dragon è stata una vera emozione, almeno per me, vecchio fan della serie. Inutile dire come l’aver pure incontrato e stretto la mano a quel mito di Nagoshi-san, oltre al ricevere una sciarpa griffata dopo la prova dell’immancabile demo, abbia completato in modo superbo l’idilliaco quadretto. Al di là delle discutibili erezioni metaforiche personali, però, credo sia doveroso soffermarsi un attimo sui quindici minuti di provato che un’oretta di fila si sono portati in dote, che sono serviti a toccare finalmente con mano il rinnovato combat system della serie. E poco importa se dei dialoghi non ho capito una beneamata cippa, al di là degli arigatou e dei gomenasai del caso. Su di un piccolo punto, però, non posso che esprimere un giudizio inappuntabile: lo stand era davvero ricolmo di deliziose pulzelle.
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A chi tocca?
Nonostante l’incontrovertibile barriera linguistica, la demo di Yakuza: Like a Dragon mi ha permesso di testare in prima persona l’incipit ludico di quella che sarà l’avventura di Kasuga Ichiban, il nuovo eroe che è andato a prendere il posto dell’iconico Kiryu. Tutto prende il via, una volta abbandonato il canonico setting di Kamurocho, in uno dei quartieri di Yokohama, che in questa piccola porzione mi sono trovato a percorrere assieme ad altri 2 compari, che dovrebbero andare a comporre parte del cast dell’ultima iterazione del brand. Sono bastati pochi passi per imbattersi in una mazza da baseball chiodata (Lucille, sei tu?), saldamente conficcata nel terreno: inutile dire come nonostante gli sforzi dei presenti, solo il nostro Kasuga riesca nell’arduo compito di liberarla da questa ferrea stretta, solo per dare il via al primo dei tanto chiacchierati combattimenti. Ed è qua che tutti i ricordi passati di Yakuza sono stati rapidamente riposti in un remoto cassetto, visto come il tutto ora sia gestito in modo innegabilmente legato al mondo dei jrpg. Il menu di lotta, difatti, richiama in tutto e per tutto quanto visto negli anni nei vari Dragon Quest, Persona e Final Fantasy ante rivoluzione: un comando per il classico attacco (tutto è gestito a turni), uno per le mosse speciali, uno per gli oggetti ed uno per passare la mano. Se si è veterani del genere, saranno sufficienti pochissimi secondi per entrare nel mood dei combattimenti che, nonostante un impatto grafico sempre ottimale grazie al Dragon Engine, sono divenuti gioco forza molto meno frenetici che in passato. I miei dubbi più grandi, però, sono stati sollevati dal modo decisamente sopra le righe con cui il tutto è adesso rappresentato, e che ha nelle special gli elementi che ho trovato maggiormente fuori contesto. Per quanto non certo esente da momenti decisamente fuori dagli schemi, per lo più però relegati a qualche missione secondaria, la saga di Yakuza ha sempre avuto uno dei suoi punti di forza nel voler comunque rappresentare un contesto urbano plausibile, pur con le consuete esagerazioni recitativo/emotive care al mondo nipponico. Ecco, proprio per questo motivo il vedere un personaggio balzare nel cielo, dopo aver ingurgitato dell’alcool, per poi emettere una devastante nube tossica, non ha potuto fare a meno di lasciarmi alquanto perplesso. Così come ho trovato decisamente fuori fuoco il poter chiamare in aiuto dei granchi giganti. Questa smitizzazione di uno dei capisaldi di Yakzua, inoltre, è evidenziata dalla presenza di un vero e proprio job system, che permetterà ai membri del party di cambiare specializzazione e, di conseguenza, abilità.
Tutto un altro mondo
Insomma, faccio davvero fatica a capire come questa anima a tratti fantasy possa sposarsi con la crudezza di alcune scene che, nell’attesa di raggiungere la postazione di gioco, sono rimbalzate sui maxischermi presenti in fiera. Yakuza: Like a Dragon, quindi, pare aver compiuto una drastica inversione di rotta, presentandoci una gestione del personaggio che va ad ampliare in modo apparentemente spropositato la già accennata componente ruolistica vista in passato, ma che proprio per questo motivo potrebbe rappresentare una spaccatura sin troppo forte con la propria eredità. A mio modo di vedere un simile cambiamento avrebbe potuto essere testato senza troppi patemi più in uno spin-off alla Judgment, piuttosto che in uno dei più attesi capitoli canonici, per lo più oggi che SEGA sembra aver finalmente compreso come la saga di Nagoshi possa avere un appeal anche sul fronte occidentale: siamo sicuri che l’abbandono di meccaniche più immediate come quelle dei brawler, per di più in favore di meccaniche jrpg abbastanza canoniche, possa rappresentare una scelta saggia? Laddove, però, la follia di fondo di Yakuza è presente anche in questo settimo capitolo, è nelle porzioni collaterali all’avventura principale che, almeno in questa demo, hanno fatto capolino in delle divertenti (per quanto molto elementari) corse con i kart, oltre che in una missione che ha visto il buon Kasuga intento a raccogliere rifiuti per mezzo di un carretto. Per forza di cose, inoltre, nulla posso dire in merito alla bontà della trama, ma per quanto visto grazie alle cinematiche (oltre che da quella sparuta manciata di frasi nipponiche che sono riuscito a capire) dovremmo aspettarci il consueto turbinio di situazioni in grado di tenerci incollati al pad.
Yakuza: Like a Dragon sembra voler fare di tutto per staccarsi dall’ingombrante passato che ha visto Kazuma Kiryu protagonista indiscusso, andando a compiere una vera e propria rivoluzione, tanto autoriale quanto puramente ludica. Ad un nuovo personaggio, un nuovo setting e ad un nuovo cast, difatti, si accompagna un inedito sistema di combattimento che sembra voler spingere indietro i progressi ludici compiuti nel corso degli anni, abbandonando la frenesia delle lotte da strada in tempo reale, in favore di meccaniche per certi aspetti molto più datate e decisamente più inclini al pubblico nipponico. Per quanto funzionante senza sbavature, il rinnovato combat system rappresenta una sorta di sfocatura all’interno del quadro d’insieme del gioco, visto anche il modo in cui sposta il focus della verosimiglianza su lidi decisamente più inverosimili. Certo, si tratta pur sempre di un primissimo incontro, per di più caratterizzato da una barriera linguistica tutt’altro semplice da smussare, ma il timore che Yakuza: Like a Dragon si sia preso un po’ troppi rischi è davvero difficile da sopire. Se tutto va bene, comunque, ne riparleremo in maniera definitiva tra un annetto.