No Man’s Sky – Primo contatto
di: Simone CantiniDiciamocelo chiaro, i ragazzi di Hello Games si sono presi davvero un bel rischio con No Man’s Sky, puntando sempre più in altro intervista dopo intervista. Se già l’idea di proporre un universo realmente sconfinato e traboccante di mondi visitabili si era rivelata sin dall’inizio un azzardo notevole, la scelta di appoggiarsi a Sony ed il conseguente mutamento del progetto da indie a tripla A (per quanto indipendente), con relativo adeguamento del prezzo, rischiano di essere un boomerang non da poco per il team di Sean Murray. Come siano andate a finire davvero le cose lo scopriremo solo in sede di recensione. Queste che seguono, invece, sono le primissime impressioni a caldo registrate dopo una manciata di ore in compagnia di No Man’s Sky.
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Lost in space
Tra stream e news varie oramai saprete benissimo che l’inizio di No Man’s Sky ci vedrà arenati su uno dei pianeti generati proceduralmente dall’algoritmo di gioco, ovviamente posto ai limiti estremi della galassia che saremo (?) invogliati ad esplorare. Bastano pochi secondi per comprendere come l’unico modo per librarsi nel cosmo sia quello di riparare gli strumenti a bordo della nostra navetta, ma prima ancora sarà bene dare anche una sistemata ai supporti vitali della tuta che indossiamo. E l’unico modo che abbiamo per riuscire nell’impresa è quello di metterci ad esplorare l’ambiente che ci circonda, in cerca dei materiali necessari alle riparazioni. Il pianeta su cui mi sono ritrovato non era particolarmente attraente, solcato come era da profonde fenditure, ma mi ha comunque permesso di rimettere rapidamente in sesto il mio visore/scanner, indispensabile per analizzare e catalogare flora, fauna e minerali. Indispensabile si rivelato l’onmitool, una pistola multifunzione utile sia come strumento di raccolta che di difesa, utilissimo per mettere a tacere le numerose sentinelle volanti che si aggiravano per quelle lande sconosciute qualora mi avessero visto come una minaccia. Passano pochi minuti ed il plutonio necessario a rimettere in sesto i motori è già stoccato nel mio risicato inventario (tuta, nave ed omnitool presentano ognuno, almeno inizialmente, un numero limitato di slot utili), pertanto potrei anche tornare al punto di partenza. Peccato che sia comparso a schermo un indicatore a forma di punto interrogativo, il quale segnala a poco meno di due minuti di cammino, un sito sconosciuto. Ovvio che la curiosità prende subito il sopravvento e l’istinto dell’esploratore manda rapidamente in soffitta la voglia di andarsene. Lo spot alla fine si è rivelato essere una stele misteriosa che, una volta toccata, mi ha permesso di apprendere una parola della lingua appartenente ad una misconosciuta razza aliena. Poco distante ne ho trovata un’altra ed un’altra ancora: in circa un’oretta il mio vocabolario ha finito per contare ben 10 termini sconosciuti. Forse, però, era giunto il momento di librarsi veramente nel cielo, seguendo le direttive di un non meglio specificato Atlante, il quale mi esortava ad esplorare la galassia. È bastato superare l’atmosfera per vedersi distendere sotto i miei occhi l’intera mappa stellare: zoomare all’indietro per una manciata abbondante di secondi, senza vederne la fine, mi ha lasciato completamente spaesato, aumentando il senso di solitudine e smarrimento. Sentirsi così piccolo e lontano in un universo così vasto è stata una sensazione mai provata in nessun videogioco. L’icona che indicava la presenza di una stazione orbitante nelle vicinanze è stata provvidenziale per riportami alla realtà: accendo i motori e mi preparo ad attraccare. Una volta atterrato ho fatto la conoscenza di uno di quegli alieni di cui mi ero premurato di comprenderne l’idioma: ok, amico seguito da una serie di vocaboli incomprensibili è un po’ poco per instaurare una sana conversazione, fortuna vuole che il materiale che scelgo di donargli sembra essere di suo gradimento, al punto che mi ricompensa con un progetto utile a modificare la potenza di fuoco del mio omnitool. Poco distante scorgo un curioso terminale, tramite il quale ho accesso al mercato galattico: vendo un paio di cianfrusaglie recuperate su Primus (così ho battezzato il luogo di partenza) e mi rimetto in volo, pronto a raggiungere la superficie del secondo pianeta presente nel sistema solare in cui mi trovo, in cerca dei materiali necessari alla realizzazione del motore a curvatura, indispensabile per spostarmi da un sistema all’altro. Sono passate circa 10 ore da allora, ho compiuto un solo balzo interstellare e sono sbarcato su 7 superfici differenti, ma onestamente non ho ancora ben capito cosa si nasconda davvero dietro a No Man’s Sky.
High hopes
Lasciando per un attimo da parte il racconto della mia epopea cosmica, è bene soffermarsi un attimo a riflettere sul gameplay della produzione Hello Games, dato che nonostante gli anni trascorsi dal suo primo annuncio sino al lancio non era ben chiaro cosa ci saremmo trovati per le mani una volta avviato No Man’s Sky. Minecraft nello spazio? Per certi versi sì, dato che il nocciolo centrale dell’esperienza ruoterà attorno al reperimento dei vari materiali utili a mantenere efficienti i nostri sistemi vitali e gli strumenti di bordo. Il tutto condito con uno snello meccanismo di crafting che permetterà di combinare tra loro in maniera automatica i vari oggetti, a patto di avere il progetto necessario. Tutto però ruota attorno ad un altro punto focale dell’esperienza: l’esplorazione. Che potrebbe risultare la discriminante principe nel determinare il rapporto che avrete con il titolo. Data la mancanza, almeno in questo incipit, di un vero e proprio obiettivo (e Sean Murray, nelle ultime ore, non ha fatto nulla per arginare i dubbi relativi ad una sua effettiva presenza), l’unica molla che potrà spingervi a trascorrere ore insieme a No Man’s Sky è costituita dalla volontà di scoprire cosa ci riservano i vari pianeti, cosa si nasconda dietro l’ennesimo punto interrogativo apparso a schermo. In questo assaggio di gioco mi sono anche imbattuto in alcune subquest, attivate risolvendo alcuni semplici enigmi numerici, le quali però si sono limitate al reperimento di alcuni materiali. È innegabile, quindi, come la componente sandbox la faccia da padrona, a meno che il tutto non costituisca soltanto un enorme tutorial, ma come scritto prima le parole di Murray sono state molto indicative in tal senso. Lo dimostrano anche le sezioni shooter del titolo che, sia sulla terra che nel cosmo, si sono rivelate sin troppo semplicistiche, segno che non è su tali aspetti che pare essersi concentrato il team. Un risvolto positivo in tutta questa vicenda, almeno a livello personale, è stato constatare come nonostante la mia avversione per i sandbox il tempo passato assieme a No Man’s Sky sia letteralmente volato via, con gli sporadici momenti di noia che hanno finito per venire rapidamente soffocati dalla voglia incomprensibile di spingersi oltre l’ennesima collina. Bisogna solo vedere se il tutto riuscirà a reggere sul lungo periodo, dato che nonostante i triliardi di mondi disponibili, già dopo queste prime ore alcuni accenni di ripetitività ambientale hanno fatto prepotentemente capolino.
Un grosso azzardo davvero questo No Man’s Sky. Un potenziale calderone di attività da svolgere che, al momento, pare poggiarsi più sulla propensione al cazzeggio esplorativo dei giocatori che non su di una solida costruzione ludica. Murray e soci si sono davvero impegnati nella creazione di un universo incredibilmente sconfinato, ma almeno al momento sembrano essersi limitati a questo, finendo per relegare la solidità del gameplay in un angolo non troppo illuminato. È innegabile però come No Man’s Sky goda di un fascino magnetico e particolare, per quanto innegabilmente non adatto a tutti. Sicuramente è ancora presto per un giudizio definitivo, ma al momento per quanto il definirlo un Minecraft gli calzi un po’ stretto, il paragone con il lavoro di Notch riesce a rendere bene l’idea. Peccato che quest’ultimo costi infinitamente meno di questo indie tripla A, aspetto sicuramente da non sottovalutare.