Recensione Farpoint
di: Simone CantiniCon tutta probabilità non saranno pochi quelli che rideranno nel leggere le mie parole, prendendomi pure per esaltato ed illuso. Eppure ci sono momenti in cui è palpabile la sensazione di assistere alla posa di un nuovo mattone nell’ecosistema del intrattenimento videoludico, di avere sperimentato in prima persona un titolo capace di rappresentare una vera e nuova evoluzione (o rivoluzione) dei canoni a cui siamo abituati. Wolfenstein 3D, Mario 64, Battle Arena Toshinden e molti altri, chi più chi meno, sono stati esponenti diretti di un ribaltamento di prospettive, di una riscrittura del medium i cui figli costituiscono oggi gran parte di quello che giochiamo. E no, non mi vergogno affatto nel sostenere che, a dispetto di quello che sarà il suo successo, Farpoint possa tranquillamente ritagliarsi il suo posto in questa cerchia di eletti.
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Nello spazio nessuno può sentirti sparare!
Negli ultimi mesi non ho certo tenuto segreto il fatto che aspettassi come il messia Farpoint, visto come fosse riuscito a rapirmi rapidamente il cuore in occasione del nostro primo incontro. Certo, le perplessità, passata l’infatuazione iniziale, erano comunque molte (ne parlavo giusto qua), però quella subdola e baldanzosa speranza di essermi clamorosamente sbagliato non voleva saperne di abbandonarmi man mano che i giorni passavano. Ed ora che finalmente la creatura di Impulse Gear è transitata per le mie mani non posso che essere felice di avere, almeno in parte, foraggiato un eccessivo quantitativo di dubbi. A scanso di equivoci, però, voglio subito mettere in chiaro uno degli aspetti che più mi avevano lasciato perplesso, trovandomi costretto a confermarlo: Farpoint è un FPS mediocre, di sicuro lontano anni luce dalla qualità e dalla complessità a cui siamo oramai abituati. Una struttura dannatamente old school, che affonda le proprie radici nelle timide esperienze vissute nei remoti anni ’90, sarebbe quanto mai improponibile ai giorni nostri, a meno che non venga debitamente accompagnata da un dinamico duo in grado di spazzare via in una manciata di secondi ogni pensiero malsano. Inutile precisare come il binomio PlayStation VR/Aim Controller costituisca l’unico ed imprescindibile motivo capace di rendere il titolo Impulse Gear la killer application che il bistrattato visore aspettava da mesi. Sì, perché è tranquillamente possibile bypassare senza troppi patemi una campagna che, pur mettendo in mostra un tangibile sforzo volto a conferirgli un certo spessore narrativo, finisce per relegarsi rapidamente sullo sfondo di quella che è un’esperienza puramente e libidinosamente ludica. Basterà, difatti, iniziare a muovere i primi passi sulla superficie del misterioso pianeta su cui saremo trasportati da un’esplosione cosmica, per smettere di curarsi della sorte dei dispersi Moon e Tyson. Così come il prevedibile colpo di scena che giungerà a metà della campagna ci scivolerà addosso senza evidenti contraccolpi, impegnati come saremo ad osservare incantati come un abbozzato fucilino di plastica possa magicamente prendere vita tra le nostre mani. Già, perché nonostante sia possibile giocare anche con un banalissimo DualShock, chi mai si sognerebbe di compiere un lungo ed appassionante viaggio avendo a disposizione la macchina dei propri sogni?
Dire, fare, sparare, toccare…
Protagonista indiscusso della nostra avventura, più che lo sventurato astronauta di cui andremo fisicamente a vestire i panni, sarà difatti l’ennesima periferica sviluppata da Sony, un accrocchio a cui a prima vista non daremmo due spicci, ma che una volta impugnato rivela una cura progettuale e costruttiva impressionante. La forza di Farpoint risiede tutta nella perfetta mappatura del nuovo controller, che dovremo fisicamente utilizzare per mirare e falciare le creature ostili che incontreremo lungo il cammino: muoversi in maniera realistica e vedere le nostre movenze riproposte fedelmente in maniera digitale è una sensazione davvero difficile da esprimere a parole, ma in grado di lasciare a bocca aperta anche il più scettico dei player. Personalmente ho passato interi minuti a rigirarmi tra le mani ciascuna delle armi che sarà possibile recuperare in game, esaminandone ogni dettagli, ogni vite, ogni meccanismo, ritrovandomi a sorridere come un bambino lasciato libero in un negozio di giocattoli. L’ottima mappatura dei controlli, che di fatto rendono il PlayStation Aim una fedele replica di un normale pad, rendono agevole ed intuitivo anche il potersi muovere liberamente all’interno delle varie aree di gioco, invero non troppo estese, ma capaci di regalare scorci in grado di lasciare letteralmente a bocca aperta. Notevole anche il lavoro svolto a livello tattile che, grazie ad un’eccellente implementazione della vibrazione, riesce a far fisicamente percepire la differenza tra un’arma e l’altra, attraverso un preciso e ben distinto sistema di force feedback. Come già detto i limiti di Farpoint risiedono tutti nella sua struttura limitata e fortemente old school: i livelli, comunque abbastanza lunghi ed impegnativi, sono in definitiva dei corridoi in cui non c’è spazio per esplorazione o deviazioni e che serviranno unicamente per collegare tra loro le varie zone di lotta. Le stesse armi non sono moltissime, ma fortunatamente sono state caratterizzate in maniera molto convincente e capaci di beneficiare di una duplice modalità di fuoco: mitra, shotgun (una goduria da usare in abbinamento al lancia granate integrato), fucili di precisione e quanto altro non rappresentano niente di mai visto, eppure, per quanto familiari, visto il modo in cui ci troveremo a maneggiarle (sarà possibile switchare tra loro portando la mano dietro la schiena!), sarà come se le incontrassimo per la prima volta. E poi come si può non esaltarsi nel momento in cui ci troviamo a prendere la mira, chiudendo un occhio come se fossimo nella realtà, e vediamo comparire davvero davanti ai nostri occhi il mirino? Semplicemente impagabile…
Tra alti e bassi
Pur se scorreranno in modo molto canonico, le circa 5 ore richieste per completare la campagna si sapranno garantire un livello divertimento eccellente, seppur non tutti potrebbero apprezzare il modo brusco in cui i due tronconi principali della vicenda sono suddivisi. Ad una prima parte che ho trovato sensibilmente più dinamica, incentrata su scontri contro orde numerose di ostili aracnidi, la seconda si concede un po’ troppo ad un approccio da cover shooter, sicuramente meno frenetica e che personalmente ho trovato un po’ più monotona. Però devo dire che cecchinare un alieno da dietro ad un riparo ha un gusto niente male. Alla main quest, giusto per aumentare la longevità, Impulse Gear ha visto bene di affiancare una manciata di livelli da giocare in cooperativa, oltre ad una modalità a punti in cui, avendo a disposizione una sola vita, cercheremo di scalare le classifiche online. Niente di sconvolgente in entrambi i casi, ma comunque un lodevole tentativo volto ad intrattenere gli acquirenti di un titolo che, nella sua versione bundle, richiede un esborso considerevole. A dispetto delle critiche prevedibili, Farpoint si difende bene anche per quanto concerne il mero comparto tecnico che, trattandosi di un prodotto comunque dinamico e strutturalmente più complesso di quanto si potrebbe pensare, presenta un colpo d’occhio più che dignitoso. Ovviamente se paragonato ad altri prodotti VR. A fare la differenza, come sempre, è la sensazione di essere fisicamente su quella superficie aliena, unita a passaggi che puntano tutto sulla spettacolarizzazione del panorama e del senso di scala. Ottimo anche il comparto audio, forte di un doppiaggio convincente in italiano e di un effettistica di tutto rispetto. Notevoli anche gli sforzi compiuti nel motion capture, i cui benefici sono evidenti nelle numerose cutscene che giungeranno ad inframezzare l’azione, mentre decisamente più anonimo il design di parte degli alieni ostili.
Struttura vecchia di anni resa futuribile grazie al VR. Sembra assurdo ma è così e, d’altro canto, sarebbe stato davvero troppo voler chiedere di più a Farpoint. Mancando una vera e propria letteratura del genere in ambito virtuale, il lavoro di Impulse Gear va visto come un’opera seminale, una sorta di piccolo germoglio che mi auguro possa crescere ed affermarsi negli anni. Si tratta, contestualizzata alla tecnologia impiegata, di una sorta di riscrittura dei canoni consueti degli FPS, capace di spingere oltre un genere che negli ultimi anni non è certo stato prodigo di sussulti considerevoli. Ovvio come una volta spogliato dal gimmick tutto finisca con il crollare bruscamente a terra, ma d’altro canto sarebbe anche sciocco voler compiere un simile, sconsiderato gesto. Farpoint rappresenta il primo tassello di un nuovo modo di intendere il gaming, che di sicuro non dovrà sostituire la fruizione più classica, ma che se ben sviluppato e coltivato potrebbe rappresentare un interessante compagno di avventure.