Cinema Recensione

Suburbicon – Una cittadina “tranquilla”

di: Simone "PulpGuy88" Bravi

Nel 1959, a Suburbicon, cittadina modello nel sud degli Stati Uniti, si trasferisce tra lo stupore e il dissenso collettivo, la famiglia Mayers. I Mayers sono una famiglia normale: padre, madre e un figlio di quasi dieci anni. C’è solo un piccolo problema, sono neri. Mentre in città monta una sorta di rivolta popolare contro questo tentativo di integrazione, nella famiglia Lodge si consuma un orrendo delitto. Ma la realtà non è quello che sembra, perchè nella famiglia Lodge c’è del marcio.

Da una sceneggiatura dei fratelli Coen (scritta intorno al 1986), ecco il sesto film da regista del premio Oscar George Clooney. Suburbicon è un film alquanto bizzarro. Vorrebbe essere una commedia nera ma toni e svolgimento, eccessivamente seriosi, lo rendono un thriller molto cupo ma non del tutto riuscito. Il problema risiede proprio nella sceneggiatura a cui i fratelli Coen devono aver messo mano a più riprese nel corso di questi trent’anni. Il film infatti soffre di un ritmo altalenante, quasi bipolare. Alterna fasi di stanca in cui la storia sembra girare tremendamente a vuoto con sequenze decisamente più riuscite, in cui la tensione di fa finalmente tangibile e la manciata di personaggi attorno al quale girano gli avvenimenti riescono a mostrare il loro potenziale. Ma non ci sono elementi di raccordo tra i due andamenti del film e la storia ne viene fuori come una serie di scene sfilacciate, poco amalgamate e girate piuttosto maluccio.

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Clooney infatti non mostra guizzi alla regia, dimostrandosi lontano dai fasti raggiunti in Good night and Good luck e Le idi di Marzo e ritrovandosi incapace di generare un costrutto omogeneo tra la sua visione del film e quella dei Coen. Un vero peccato perchè la pellicola offrirebbe anche dei buoni momenti, grazie soprattutto alle ottime interpretazioni di Matt Damon e dell’inossidabile Julianne Moore. E’ tangibile il tentativo di aver voluto ricreare un’atmosfera utopistica in stile Edward mani di forbice, nella rappresentazione della società di Suburbicon, ma ci sono anche evidenti omaggi ai più conosciuti film sulla tematica dell’emarginazione (Frankestein) e in alcune sequenze permea la macabra atmosfera in cui ci gettò la geniale mente di Truman Capote con il suo romanzo più famoso: A sangue freddo.

Suburbicon è un film che di carne al fuoco ne mette parecchia, si passa dalla discriminazione razziale al classico tema di distruzione del nucleo familiare nella così detta “famiglia modello”, specchio di una società ipocrita, arretrata e miope, che pur di rincorrere con falci e forconi “l’intruso” non si accorge che lo sporco sotto al tappeto ha ormai formato un cumulo che non è più possibile nascondere. Una critica sociale abbastanza spicciola (ma a tratti anche efficace), in cui il conflitto razzista fa da specchietto per le allodole in modo da circoscrivere il micromondo creato dalla famiglia Lodge per nascondere le proprie nefandezze.

Insomma Suburbicon, con una maggiore accortezza nel revisionare uno script messo da parte per tanti anni, sarebbe potuto diventare un grande classico, pur palesando un tangibile squilibrio tra il film che è e quello che avrebbe dovuto essere. Rimane quindi un prodotto cinematografico imperfetto di cui George Clooney non riesce a tirare le fila, facendosi sfuggire di mano la possibilità di mettere una pezza su una sceneggiatura piuttosto raffazzonata e sprecando il grande potenziale di un cast di primissimo livello.

Un film che è la dimostrazione che è possibile sfornare un piatto mediocre anche con ingredienti di prima qualità.