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Recensione The Medium

di: Simone Cantini

Non appena fu annunciato The Medium, viste anche le affermazioni di Bloober Team, il mondo videoludico iniziò subito a fibrillare, nella speranza che la nuova produzione del team polacco potesse essere davvero il tanto atteso erede di Silent Hill. Insomma, gli elementi per riportare in auge le atmosfere del franchise Konami c’erano tutti, sia a livello stilistico che narrativo, ed in più non poteva passare inosservato il nome di Akira Yamaoka, il compositore nipponico da sempre legato a doppio filo alle sonorità dei titoli della collina silente. Ed ora che il gioco è finalmente disponibile, tra l’altro all’interno dell’offerta di Xbox Game Pass, mi sento di dire che The Medium non è il nuovo Silent Hill che tutti attendevano, ma sicuramente è il migliore e più riuscito omaggio alla saga ideata da Keiichiro Toyama che si sia mai visto da anni a questa parte.

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Vedo la gente morta…

Tutto inizia con una ragazza morta. Un colpo di pistola, un pontile in legno sulla riva di un lago, ed un corpo che cade nell’acqua, privo di vita. Questo è il sogno che tormenta da tempo Marianne, una medium dal passato tormentato, che dopo la perdita dei genitori viene adottata da Jack, il titolare di una impresa di pompe funebri, che la cresce come se fosse sua figlia. Siamo nella Cracovia di fine anni ’90, e la ragazza si ritrova a dover salutare per l’ultima volta l’uomo, oramai defunto, quando riceve una telefonata da un certo Thomas, che la invita a raggiungere il resort Niwa per avere maggiori informazioni relative al proprio passato. Una volta giunta sul posto, oramai completamente fatiscente ed abbandonato, i poteri di Marianne inizieranno a manifestarsi con estrema insistenza, catapultando la giovane in una disperata lotta per la sopravvivenza, nel tentativo di rimettere assieme i frammenti della propria memoria perduta e, contemporaneamente, salvare le anime intrappolate nel complesso. Già, perché proprio come una novella Melinda Gordon (la protagonista della serie Ghost Whisperer), l’eroina di The Medium è in grado di comunicare con i defunti, trovandosi costretta tra due mondi (reale e spirituale), che faranno più e più volte capolino sullo schermo attraverso il sistema Dual Reality, l’espediente grafico utilizzato da Bloober Team che è stato al centro della campagna promozionale del titolo. Data la sua natura story driven, come le altre produzioni del team, parlare della trama di The Medium sarebbe quanto mai sciocco e brutale, pertanto vi basti sapere che ci troviamo al cospetto di quello che ritengo senza problemi il miglior lavoro dei ragazzi polacchi, che sono stati capaci di mettere assieme una storia convincente ed intrigante, che svela poco a poco le proprie carte, così da mantenere alta l’attenzione del giocatore. Molto, in tal senso, è dato anche dalla magistrale atmosfera che ammanta il tutto, in cui si muove una manciata di personaggi estremamente convincenti, con la piccola Tristezza a rubare gran parte della scena, anche in virtù del suo tragico passato. Protagonisti assoluti della narrazione comunque, sono anche gli ambienti stessi, che hanno nel resort Niwa una maestosa e decadente presenza, in cui ogni angolo e documento ci racconta parte di questo oscuro passato, in cui i ricordi di una Polonia post bellica contribuiscono ad ampliare i confini dell’impalcatura narrativa di The Medium. Ed è proprio il passato oscuro di luoghi e personaggi a costituire il primo punto di contatto con il citato Silent Hill, che fa capolino negli abusi e nella violenza che trasudano dalle mura del Niwa, ma che un occhio attento saprà riconoscere anche in elementi puramente visivi ed inquadrature. Un mix di fattori, questo, che renderà quanto mai leggero ed impalpabile lo scorrere delle circa 8 ore necessarie a giungere ai titoli di coda, che nonostante qualche lieve stortura narrativa, dispiacerà vedere scorrere sullo schermo.

A cavallo di due mondi

A scanso di eventuali equivoci, è bene sottolineare subito come The Medium non si discosti affatto dalla formula ludica che ha fatto la fortuna di Bloober Team, pertanto quello che ci troveremo a giocare sarà, fondamentalmente, un walking simulator, infarcito da discreta quantità di enigmi, a cui si aggiunge una spruzzata di momenti stealth. L’incedere sarà, pertanto, molto compassato e cadenzato e proprio per questa ragione potrebbe venire meno parte della tensione che sarebbe lecito aspettarsi da un horror psicologico come questo. Proprio la sua natura, difatti, rende il giocatore psicologicamente libero da ogni senso di urgenza e minaccia, dato che salvo particolari momenti in cui sarà in scena il nostro antagonista, la morte non è praticamente mai contemplata. Una piccola pecca, quanto mai soggettiva, sia chiaro, ma che limita un po’ il senso di angoscia che storia ed ambientazioni vogliono veicolare. Ludicamente parlando non ci troviamo al cospetto di particolari sussulti, con gli enigmi che intervallano l’esplorazione che risultano estremamente semplici (salvo un caso particolare, almeno per quanto mi riguarda), e che richiederanno una semplice esplorazione degli ambienti per trovare la soluzione. Si tratta comunque di piacevoli diversivi, utili ad intervallare il semplice incedere. A movimentare un poco le cose, pertanto, ci pensa il chiacchierato sistema Dual Reality, che in particolari frangenti andrà a spezzare in due lo schermo, in modo analogo allo split screen, renderizzando contemporaneamente il mondo reale e quello spirituale, in cui andremo a controllare simultaneamente le due versioni di Marianne. Si tratta di una feature visiva che riprende in parte quanto visto anni fa con Soul Reaver, e che viene sfruttata per dare un pizzico di pepe in più ai puzzle: molto spesso, difatti, un oggetto utile a proseguire nel mondo reale si troverà nell’altra realtà, e proprio su questa alternanza di interazione si baserà parte dell’incedere. Molto spesso, inoltre, una porta sbarrata nella Cracovia degli anni ’90 non lo sarà nella versione spirituale della stessa, pertanto potremo staccarci brevemente dal nostro corpo fisico per compiere una passeggiata extracorporea, ed aprire così la strada. In questi momenti di sdoppiamento, inoltre, troveranno spazio gli ultimi due poteri di Marianne, ovvero la possibilità di generare uno scudo (indispensabile per attraversare stormi di letali falene eteree) e la capacità di assorbire l’energia di particolari artefatti, che potrà essere sfruttata per riattivare generatori o accecare temporaneamente i rari nemici. Visivamente parlando ci troviamo al cospetto di una trovata sicuramente accattivante, ma che una volta superato lo stupore iniziale finisce per essere un po’ troppo fine a sé stessa e pretestuosa: l’interazione alternata tra le due realtà, difatti, risulta molto schematica e prevedibile, e non regge il peso delle aspettative che i trailer ed i proclami di questi mesi avevano alimentato. Sicuramente è tutto intrigante dal punto di vista visivo, ma un po’ meno da quello ludico. Qualche ombra, inoltre, la ritroviamo anche nelle citate sezioni stealth, sin troppo elementari ed ingessate come meccaniche, segno evidente di come l’azione (per quanto ragionata) non sia davvero nelle corde del team. Sono queste incertezze a minare in parte il lavoro complessivo di Bloober Team, che non appena esce dalla propria comfort zone finisce per incespicare a tratti in modo vistoso, impedendo alla produzione di raggiungere una qualità più lusinghiera.

Nuova potenza

E veniamo all’annosa questione tecnica, che sin dall’annuncio di The Medium è stata al centro dell’attenzione, vista anche la volontà del team di sottolineare come il loro lavoro fosse impossibile da realizzare sulle console appena pensionate. Lodi sperticate, in tal senso, sono state rivolte all’SSD ospitato a bordo di Xbox Series X/S, ritenuto fondamentale per gestire la doppia renderizzazione video richiesta dal sistema Dual Reality. Ecco, confesso che sono proprio le performance del dispositivo ad avermi lasciato perplesso, ma per motivi che esulano da ciò: a colpirmi in negativo, difatti, è stato il ritardo con cui vengono caricate molte delle texture degli oggetti, un qualcosa che non mi sarei mai aspettato di vedere sui nuovi hardware. Qualche inciampo anche sul frame rate, con piccoli scatti e fenomeni di stuttering, ma che comunque vista la natura dell’esperienza non compromettono affatto la fruibilità generale. A stupirmi, invece, vista anche la natura non certo da tripla A della produzione, è stato il comparto tecnico generale, che è riuscito a sfruttare con convinzione l’Unreal Engine 4: sia per quanto riguarda la caratterizzazione di personaggi ed ambienti, difatti, l’impatto visivo è pienamente convincente (meno le animazioni generali), con gli scenari del mondo reale a svettare su tutto. Ottima anche la gestione delle fonti luminose, così come gradevole, per quanto mai invasivo e smaccato, è l’utilizzo del ray tracing. Eccellente anche il lavoro svolto sul fronte audio, che può vantare un ottimo doppiaggio in lingua inglese, e che ha nell’irriconoscibile Troy Baker, che presta la voce al nostro antagonista, la sua punta di diamante, nonché un ideale trait d’union con il mai troppo celebrato Silent Hill 2. E che dire della colonna sonora, curata dal binomio Arkadiusz Reikowski/Akira Yamaoka, semplicemente perfetta nel modo in cui accompagna con discrezione i vari passaggi dell’avventura. E mi tolgo il cappello dinanzi alla canzone che scorre durante i titoli di coda.

Prima esclusiva in assoluto per Xbox Series X/S, The Medium si è fatto attendere a lungo, sospinto da un’attesa quanto mai palpabile e spasmodica, vista la curiosità che il debutto di Bloober Team sulle nuove macchine Microsoft avrebbe rappresentato. Ed in tal senso, onde evitare delusioni immotivate, è bene sottolineare ancora una volta la natura “minore” della produzione, pertanto non certo in grado di essere a 360° il portabandiera della new generation hardware. Pur al netto di questi limiti fisiologici, però, il lavoro del team polacco è senza dubbio un titolo sorprendente, oltre che dotato di una propria personalità, che nonostante il palese desiderio di richiamare ed omaggiare gli horror di inizio millennio, non si risparmia intuizioni personali tutto sommato riuscite. Parlo in primis del sistema Dual Reality, che seppur acerbo in alcune circostanze, riesce a fornire un succoso assaggio di quelle che sono le potenzialità delle nuove macchine da gioco. Ludicamente parlando, The Medium espande il modo di intendere il gaming di Bloober Team, di cui rappresenta sicuramente la vetta espressiva più alta, capace come è di imbastire un racconto tanto interessante da gustare, quanto divertente da giocare, seppur fiaccato da qualche lieve stortura.