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Recensione Robinson: The Journey

di: Simone Cantini

Tendenzialmente quando si cita Crytek risulta difficile associare il nome del team teutonico ad esperienze videoludiche memorabili. Ad eccezione del primo e incredibile Crysis, passando per l’originale Far Cry, lo studio capitanato dalla famiglia Yerli viene spesso bollato come mero creatore di affascinanti ed impressionanti tech demo. L’aspetto puramente videoludico di prodotti come Ryse e i successivi seguiti delle avventure della nanosuit, sono sempre riusciti a stupire gli occhi dei giocatori, lasciando decisamente più tiepide le loro mani. Riuscirà Robinson: The Journey, titolo cucito appositamente attorno al PlayStation VR, a far ricredere la platea degli scettici? Basterà questa nuova forma di fruizione del media a scuotere dal torpore ludico Crytek? Scopriamolo assieme.

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Lost in space

Tyson III è un pianeta simile in tutto e per tutto alla Terra dell’era giurassica, ricco di una vegetazione lussureggiante e di giganteschi rettili identici ai nostri estinti dinosauri. La sua superficie favorevole alla vita umana è, però, anche il triste cimitero dell’astronave Esmeralda, gigantesco vascello colonizzatore precipitato sulla superficie aliena in seguito ad un non meglio precisato incidente. È qui che entriamo in gioco noi, nei panni del naufrago Robin, come unico (?) superstite dell’equipaggio, chiamato a sopravvivere sulla superficie non certo amichevole di Tyson III. Nostri compagni di viaggio in Robinson: The Journey saranno l’intelligenza artificiale Higs ed un tenero cucciolo di tirannosauro chiamato Laika, con i quali sarà possibile interagire nel corso delle nostre esplorazioni. Durante una delle nostre sortite in compagnia dei due amici, Robin si imbatterà in un audiodiario proveniente dalla Esmeralda: sarà proprio questa registrazione a far sorgere nel nostro naufrago spaziale il dubbio di non essere rimasto solo sul pianeta. Spinto dal desiderio di conoscere la verità sul tragico incidente dell’Esmeralda, Robin e suoi due compagni si metteranno in cerca di ulteriori indizi, che li porteranno al purtroppo sbrigativo, per quanto ben costruito, finale dell’avventura.

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Incastri imprecisi

È bene chiarire subito come il gameplay proposto dal titolo Crytek sia alquanto basilare, seppur lontano dall’essere quello di un ben più semplice walking simulator. Durante le circa cinque ore necessarie a giungere ai titoli di coda guideremo il trio all’interno di alcune location di Tyson III, che potremo affrontare nell’ordine preferito dato che l’esplorazione sarà (ad eccezione del segmento finale) completamente libera. Il nostro vagabondaggio ci porterà a risolvere alcuni semplici enigmi, affrontare impegnative scalate e, volendo, ci consentirà di scansionare e catalogare le varie specie viventi del pianeta, di modo da dare vita ad una ricca enciclopedia interattiva. Tutto funziona in maniera egregia, grazie ad un sistema di controllo che, pur orfano di un Move che sarebbe stato un plus quanto mai apprezzato, funziona più che discretamente, rispondendo nella quasi totalità dei casi in maniera egregia. Il problema principale di Robinson: The Journey, più che in una imperfetta implementazione delle varie opzioni ludiche, è da riscontrare nella maniera decisamente approssimativa in cui ogni sezione è presentata: su tutto aleggia lo spettro di una scarsa coesione d’insieme, elemento che rende il susseguirsi degli eventi quasi un mero avvicendamento meccanico. Non aiuta, in questo senso, la totale assenza di indicazioni sul da farsi che, spesso, rende l’incedere quanto mai casuale. Gli stessi rapporti con i nostri due compagni sono ridotti al minimo, al punto che risulterà difficile stabilire con loro un forte legame empatico. E dire che le potenzialità c’erano tutte, visto che HIgs è comunque un personaggio ben costruito e Laika un cucciolo visivamente adorabile. Sembra quasi che Robinson: The Journey, a dispetto delle sue interessanti idee di base, paghi il pegno di essere una sorta di testa d’ariete della realta virtuale di casa Sony, finendo con l’essere il classico titolo di (quasi) lancio: affascinante, dall’ottimo potenziale, ma dallo sviluppo un po’ troppo limitato.

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Bellezza selvaggia

Laddove Crytek centra in pieno l’obiettivo, anche se pare superfluo evidenziarlo, è sul versante tecnico, di sicuro ai vertici dell’attuale produzione disponibile per il PlayStation VR. Siamo lontani dall’eccellenza visiva di un Batman, ma considerando che stiamo parlando di un titolo fondamentalmente free roaming, per quanto la sua mappa sia limitata, l’impatto visivo di Robinson: The Journey è devastante. Tyson III offre uno spettacolo in grado di lasciare letteralmente a bocca aperta, grazie a scorci mozzafiato, una cura meticolosa nella modellazione degli ambienti e della fauna e ad una ricchezza della scena capace di far impallidire numerose produzioni attuali. Vagare per la giungla mentre sopra di noi si librano dei minacciosi pterodonti, osservare il pulviscolo filtrare tra i rami di un albero, oppure assistere impotenti ad una carica di giganteschi brachiosauri sono spettacoli che meritano di essere vissuti in prima persona. Ad aumentare il senso di immersione ci pensa un comparto audio di ottima fattura, forte di un doppiaggio in lingua italiana ottimamente recitato e di una colonna sonora, firmata da Jesper Kid, davvero azzeccata. Riguardo al motion sickness, elemento che ho sempre considerato quanto mai soggettivo e pertanto ininfluente ai fini della votazione finale, devo dire che nonostante gli sforzi compiuti da Crytek Robinson: The Journey è stato, ad oggi, l’unico titolo che mi ha costretto a sezioni giocate non più lunghe di 40 minuti. Sia adottando il movimento libero, che sfruttando le soluzioni alternative che prevedevano un movimento a scatti della camera, il senso di malessere ha finito con il manifestarsi in maniera consistente come mai mi era accaduto prima d’ora. Ripeto, non prendete questo fatto come una bocciatura, ma solo come un avviso.

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No, Robinson: The Journey non è riuscito nell’intento di cancellare in toto la nomea non certo lusinghiera di Crytek. Fermo restando che il titolo in questione non è solo una sontuosa tech demo, ma basa la sua esperienza anche su elementi di gameplay consistenti, è impossibile non notare la maniera un po’ troppo rozza con cui il tutto è tenuto assieme. Le ottime atmosfere ed una tecnica incredibile non bastano per elevare la consistenza ludica dal suo essere un semplice antipasto di un qualcosa che, ci auguriamo, non tarderà a manifestarsi nei prossimi mesi. Un discreto titolo della prima ondata di software, da provare di sicuro, ma non certo da inserire negli annali.