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Recensione Rise of Industry 2

di: Luca Saati

Prima dell’annuncio di Rise of Industry 2non avevo neanche sentito parlare del primo capitolo — il che è curioso, considerando che tengo sempre d’occhio i tycoon game e, più in generale, i gestionali. La sensazione è che la campagna marketing di questo secondo capitolo sia stata molto più efficace, complice anche l’uscita su console, avvenuta a pochi mesi di distanza da quella su PC, lo scorso giugno.

Spinto dalla mia solita curiosità, mi sono informato un po’ di più, scoprendo che in realtà il primo Rise of Industry è stato un successo del panorama indie, con oltre mezzo milione di copie vendute. Tuttavia, il suo sviluppatore originale, Dapper Penguin Studios, tra pandemia COVID-19 e altre problematiche (che non sto qui ad approfondire), ha dovuto vendere l’IP all’editore Kasedo Games.

Quest’ultimo ha poi affidato lo sviluppo del sequel a SomaSim, che ha completamente stravolto le carte in tavola, passando dagli anni 2000 del primo capitolo ai più ruggenti anni ’80.

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Industrie anni ’80

La scelta degli anni ’80 si è rivelata azzeccata per Rise of Industry 2, dato che quel periodo, negli USA, è stato molto florido per il settore industriale grazie alla globalizzazione, che ha aperto nuove porte a margini di profitto potenzialmente più elevati. Anche l’estetica del gioco riesce a catturare alla perfezione l’atmosfera di quegli anni, grazie alle sue musiche e ai suoi FMV, anche se graficamente si poteva spingere un po’ di più.

La campagna del gioco propone 15 scenari, a cui si aggiunge la classica modalità sandbox. Prima di lanciarsi in una partita, però, è consigliabile affrontare il tutorial, che illustra i numerosi aspetti da considerare per creare il proprio impero industriale. L’obiettivo iniziale è la costruzione di videocassette VHS, ma per arrivarci serve impostare una filiera produttiva che parte dall’estrazione di petrolio grezzo, da trasformare in plastica, per poi abbinarla alla carta e ottenere, nel complesso di produzione media, il prodotto finito.

Fortuna vuole che nei dintorni della città siano presenti giacimenti di petrolio sfruttabili, sui quali è possibile costruire un impianto di estrazione. Già in questa fase, però, le risorse economiche possono scarseggiare. Per aggirare il problema, il gioco offre la possibilità di vendere il petrolio tramite la sezione contratti, stipulando accordi con altre aziende per recuperare liquidità. Ottenuti i fondi necessari, si può passare alla creazione di uno stabilimento per la produzione di plastica, convertendo il petrolio grezzo tramite una catena di trasformazione.

Per quanto riguarda la carta, serve partire dal legname e lavorarlo in una cartiera. Per velocizzare il processo — e magari saltare qualche passaggio — è possibile ricorrere all’import/export, anche se il costo è, ovviamente, più alto rispetto alla produzione interna.

Una volta ottenute tutte le materie prime, si può finalmente approdare al complesso di produzione media, dove plastica e carta vengono unite per produrre le VHS, successivamente vendute attraverso contratti stipulabili nella sezione dedicata.

Detta così può sembrare semplice, ma in realtà Rise of Industry 2 mette subito in evidenza la sua complessità. Ogni stabilimento è composto da vari elementi: dagli uffici ai centri di stoccaggio, senza dimenticare la necessità di costruire strade, e di garantire una corretta gestione di acqua ed elettricità per alimentare gli impianti.

Se questa complessità è comprensibile per il genere di appartenenza, essa è però amplificata da passaggi poco intuitivi che finiscono per mettere i bastoni tra le ruote al giocatore. Ad esempio, nella gestione delle strade troviamo le autostrade per collegare i vari stabilimenti e le strade interne per unire le strutture di ogni singolo impianto. Queste tipologie vanno selezionate manualmente, dal menù di ogni stabilimento, quando sarebbe bastato un’opzione unica che consentisse di cambiare tipo di strada con un pulsante.

I problemi di usabilità continuano con operazioni che avrebbero potuto essere semplici, come la demolizione di un edificio, che invece richiede troppi sottomenu. Qui sarebbe bastato implementare una modalità “bulldozer” per eliminare subito ciò che non serve. Inoltre, l’interfaccia utente, densissima di elementi, e la navigazione tramite controller lasciano molto a desiderare.

In definitiva, quello che poteva essere un tycoon fresco e impegnativo viene penalizzato da gravi problemi di accessibilità, che rendono l’esperienza di gioco spesso frustrante e tutt’altro che divertente.

Rise of ’80s

Rise of Industry 2 è un gestionale ambizioso che sfrutta bene il fascino degli anni ’80, con una solida struttura economica e una campagna ricca di scenari. Tuttavia, la sua complessità naturale è spesso aggravata da scelte di design poco intuitive e da un’interfaccia poco amichevole su console. Il risultato è un titolo che sa premiare la pazienza, ma che rischia di scoraggiare molti giocatori prima che possano apprezzarne appieno le sfumature.