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Recensione di Wolfenstein

Recensione di Wolfenstein di Console Tribe

di: Redazione
Wolfenstein 3D: sono passati quasi vent’anni dalla prima
comparsa su computer primitivi e affannati. Lo stesso concetto di “3D”
era a dir poco un eufemismo: quattro mura bidimensionali e un paio di
pixel colorati davano l’illusione (ai tempi riuscitissima) di trovarsi
in un vero ambiente a tre dimensioni. 
A quell’epoca tutti i giocatori di First Person Shooter
potevano considerarsi neofiti, semplicemente perché il genere in
questione stava sbocciando di lì a poco. Nessuno era esperto e
tutti erano messi sullo stesso livello di bravura ed esperienza, ma
soprattutto potevano assaggiare a pari merito questa nuova
“prospettiva” ludica innovativa.
Possiamo dirlo, anche perché l’hanno già detto in molti: Wolfenstein 3D, ricordato confidenzialmente da molti sotto l’abbreviazione affettuosa di Wolf,
è il Re Legittimo degli sparatutto in prima persona. Un genere
che ha fatto molta, tantissima, strada su PC per poi sbarcare a pieno
regime anche sulle console americane (chi ha detto Halo?), su quelle nipponiche (chi ha detto Killzone?) e su quelle di nicchia (chi ha detto Metroid Prime?).
Ma quel Re Legittimo, dopo tanti anni di storia FPS marcata da capolavori narrativo-ludici come Half-Life, di pietre miliari del gioco online come Quake 3 Arena e degli impareggiabili e recenti Bioshock o Fallout 3, ha ancora diritto al trono?
I suoi eredi hanno saputo mantenere ben saldo lo scettro? 
Ci addentriamo nel castello del Re per scoprirlo insieme. Il castello Wolfenstein.

Paranormale, pare normale

L’indelebile storia videoludica ci narra che tra l’attuale Wolfenstein e il primo episodio assoluto ce n’é un altro di mezzo che ha fatto parecchio rumore. Return to Castle Wolfenstein (d’ora in avanti RTCW)
vantava un sistema di gioco incessante e adrenalinico, un comparto
audio-video sopra le righe, un’infinità di nazisti da uccidere
(con riferimenti palesi a pellicole intramontabili come Dove Osano le Aquile) e una particolare caratteristica che lo rese un vero successo: “il paranormale”. 
Durante il gioco, infatti, in molti erano rimasti sconcertati da un
improvviso e inaspettato cambio di “regia”: se dalle prime missioni ci
si convinceva di essere in un film sulla Seconda Guerra Mondiale, tutto
d’un tratto ecco che compaiono mostri e mummie di altre dimensioni,
armi energetiche futuristiche e un pizzico di gotico intinto nella
fantascienza. Insomma, RTCW
riuscì ad accontentare davvero tutti gli appassionati di FPS, e
tuttora viene ricordato con un certo affetto anche qui, tra i redattori
di Console Tribe.
La speranza, dopo tanti anni di silenzio, era di mettere mani su un
ipotetico nuovo capitolo basato o ispirato al “castello per
antonomasia”: giocarlo in raffinata qualità next gen e con un
comparto ludico tutto nuovo.
Per fortuna le nostre aspettative, almeno in grossa parte, non sono state deluse. Questo Wolfenstein
ha mantenuto lo spirito frizzante dell’originale, presentando allo
stesso tempo alcune idee rinnovate. Il paranormale, per esempio,
ritorna a fare capolino non più sporadicamente come un tempo, ma
come vero collante narrativo e interattivo di tutto il gioco.
Il vostro compito sarà scoprire cosa si cela dietro al misterioso Sole Nero,
una stella che permette al Terzo Reich di manipolare la materia
tangibile ed entrare in una seconda dimensione oscura. Ma più
avanzerete nella storia cercando di svelare e sconfiggere questa forza,
più ne entrerete a diretto contatto. Perfino sfruttandola a
vostro vantaggio. 

Vado [… loading …] un attimo [… loading …] in centro

E così farete i primi passi nei panni sudici di BJ Blazkowicz, L’uomo pronto all’azione e senza paura alcuna (un vero tamarro americano, aggiungiamo) tra le stradine di Isenstadt, una cittadina occupata dall’invasione nazista.
Il vostro ruolo iniziale sarà quello di girare il borgo in lungo
e in largo alla ricerca di missioni interessanti e acquistare
potenziamenti per il vostro equipaggio militare/esoterico da membri
della resistenza nascosti in veri e propri bunker-club sotterranei. Per
gironzolare tra le varie stradine e i (pochi) distretti disporrete di
una mappa e di una bussola orizzontale che non mancheranno di
segnalarvi i punti d’interesse e destinazione. 
Tutto ciò sembra essere stato concepito con dei buoni propositi,
ma che presto svelano un rovescio della medaglia: l’illusione che si
dà al giocatore mettendogli tra le mani un’intera città
cade non appena si scopre che i vari distretti non sono contigui tra
loro, ma facenti parte di livelli diversi e caricati distintamente
dalla console. 
Considerando alcuni titoli attuali che vantano migliaia di chilometri
esplorabili in un botto solo, non possiamo rimanere impassibili di
fronte a un progetto realizzato a metà: l’obiettivo di far
“respirare” il giocatore in grandi spazi andava portato a compimento
per davvero, e non vanificandolo con un falso free-roaming.
Anche quando si affrontano delle missioni che richiedono spostamenti in
precisi luoghi si ha la triste sensazione di arrivarci per magia, e non
di raggiungerla a tutti gli effetti con i vostri cari scarponi, o
magari (ma avremmo chiesto troppo) con alcuni automezzi interessanti.

Nazista chi? Ah, vuoi dire il mutante?

Se da un lato la storia e gli ambienti sono slegati tra loro, tanto da far apparire Wolfenstein
una sorta di bricolage di tanti giochi differenti, d’altro canto non
possiamo lamentarci della varietà delle ambientazioni e
soprattutto della quantità di “carne da macello”.
Come i suoi precedessori, Wolfenstein
ha saputo mantenere alto un fattore non da poco in un videogame: il
divertimento. Grazie alla sua impostazione “classica” e senza troppe
pretese, il titolo vanta un numero incontenibile di nemici ad ogni
missione, e una varietà degli stessi più che
soddisfacente. Si va dalla classica ordata d’allenamento, quali
militari d’ordinanza dell’Asse e dell’SS, passando per squadre con
abilità speciali di tipo fisico e paranormale, a mutanti e
mostri di ogni fattispecie. Chi ha giocato RTCW
ricorderà, con non poca rabbia, le odiose e rapide assassine
vestite in pelle attillata (sensuali ma tutt’altro che amabili),
ritornate più spietate che mai. Interessanti anche alcune
unità che sfruttano solo le forze del Sole Nero per generare
scudi di energia ai propri colleghi, o per teletrasportarsi in un
attimo da tutt’altra parte del livello. 
Ma il bello di Wolfenstein è che anche voi potrete
rispondere a tono districandovi in divertenti magie paranormali. Tutto
sarà possibile solo grazie a un medaglione che racchiude il
potere di quattro cristalli con proprietà esoteriche, attivabili
in qualsiasi momento usando i rispettivi comandi direzionali del
gamepad. Le abilità sono state studiate in modo tale da farvi
adottare approcci differenti quando affrontate le missioni: il
cristallo celeste vi permette di essere più agili e raggiungere luoghi inaccessibili, quello giallo di rallentare il tempo e schivare i proiettili, il blu di proteggervi dagli attacchi grazie a un efficace scudo energetico, e infine il rosso
aumenta cospicuamente la vostra forza di attacco. Le abilità
sono tutte utilissime, e non ci sarà un momento in cui non ne
userete almeno un paio per volta in una qualsiasi delle missioni
proposte: l’alternanza del fuoco dei proiettili alle abilità
esoteriche non è una novità assoluta, ma Wolfenstein può dirsi uno dei pochi giochi a sfruttarla nel migliore dei modi.
Se poi ci aggiungete una valanga di nemici da uccidere, decapitare,
esplodere, infiammare o folgorare allora state certi che avrete pane
per i vostri denti. Non c’è minuto in cui il vostro dito si
stacca dal grilletto, se non per rispondere al cellulare (…io ne so qualcosa, nd B1GASS).
Anche le armi, nonostante il numero e la varietà non superi la
sufficienza, sapranno risvegliare la vostra natura bellica innata: si
va dai mitra nazisti di ordinaria amministrazione quali MP40 ed MP43, ad armi decisamente più insolite come il Fucile Tesla, capace di irradiare fulmini ed elettricità ad altissimo voltaggio, passando per Lanciafiamme e Bazooka, e infine arrivando all’onnipotente ma raro Leichenfaust 44, un cannone in grado di polverizzare qualsiasi cosa capiti a tiro (provare per credere), indipendentemente dalla “stazza”.
E il divertimento si protrae con una modalità multiplayer online
molto rapida e dal ritmo incessante, che imita alla lontana il grande
esempio di giochi come Modern Warfare,
ma rimanendo piuttosto salda a titoli di un decennio fa, e con una
grafica molto più scarna rispetto all’esperienza in singolo. Che
ve la spassiate o no dipende dalla vostra attitudine con gli FPS in
rete: se preferite un sano e “ignorante” Death Match sperando di ottenere il maggior numero di frag, Wolfenstein
è la soluzione ideale; ma se volete sfidare il mondo intero con
strategie e gameplay innovativi, il “castello” non è una dimora
che fa per voi.

Non sono cattivo, è che mi disegnano così

Siamo passati per i corridoi freddi e malati di un ospedale, abbiamo
calpestato l’erba all’esterno di una fattoria sperduta tra le colline
tedesche e persino volteggiato ad alta quota a bordo di un dirigibile Zeppelin elaborato. Nessuno di questi luoghi ci ha lasciato indifferenti, anzi, ci hanno dato prova che il level-design di Wolfenstein
è molto caratteristico e vario, ma soprattutto mai ripetitivo…
anche rispetto a titoli dalla fama ben più popolare.
Nel suo insieme, il mondo di gioco (se visto da vicino) perde un po’
nella sua tecnicità, ma nel complesso possiamo ritenerci
più che soddisfatti: capiterà, per esempio, di scendere
una quantità innumerevole di scale ferrose e toccare il fondo
più basso, per poi alzare lo sguardo e notare l’immensità
della struttura sovrastante che abbiamo appena percorso. O ritrovarci a
sguazzare tra i vicoli fognari di una cittadina e infine sbucare nel
bel mezzo di una villa nazista arredata con credibile mobilia d’epoca.
Per non parlare dell’effetto “dimensione parallela”, attivabile in
qualsiasi circostanza e che tramuterà con un brillante raggio
luminoso tutto ciò che vi circonda. In questo modo i nemici
saranno ben più visibili, soprattutto di notte o in situazioni
buie, e in alcuni casi verranno svelati anche i loro punti deboli.
Le fattezze dei personaggi non giocanti, dei soldati e di alcuni mostri
non ci hanno lasciato a bocca aperta, mentre assegniamo un punto a
favore ai boss di fine livello (che non citiamo per evitare di svelarvi
troppo) e ad alcune unità insolite e decisamente temibili, l’Assassino Invisibile
su tutte. Trattasi di un nemico che ha la capacità si spostarsi
a una velocità nettamente superiore alla vostra e che vanta due
lame energetiche poste sugli avanbracci, rendendolo senza dubbio
l’avversario più pericoloso e inquietante del gioco.
Un altro aspetto molto divertente riguarda la distruzione, solo
parziale, degli elementi d’ambiente: pezzi di legno e detriti che
volano in ogni dove, barili che esplodono, nemici che volano e
proiettili che bucano l’aria contribuiscono tutti insieme a trasformare
la vostra TV in una cornice d’azione tutta da gustare.
Peccato per la realizzazione tecnica e stilistica degli sporadici
filmati in computer-grafica, per la prima volta nella storia dei
videogames addirittura peggiori della grafica in-game: spesso e
volentieri vorrete saltarli tutti pur di immergervi direttamente nel
caldo delle sparatorie.
Il comparto sonoro si difende bene grazie ad un carnet di musiche di pregio, soprattutto il tema originale di RTCW,
e di effetti numerosissimi che accompagnano ogni secondo l’intensa
esperienza di gioco. Lodevole è la cura riposta nella
riproduzione di alcuni suoni robotici e metallici, davvero realistici
benché frutto della fantasia.
Altalenante, invece, si è rivelato il doppiaggio in italiano,
che non mancherà di farvi sbuffare: non tanto per la
qualità recitativa, tutto sommato professionale, ma per la
sceneggiatura dei dialoghi in sé che abbassano di netto
l’atmosfera seria e cupa del titolo, rendendola piuttosto banalotta e
poco ispirata.
Lo stesso protagonista, BJ Blazkowicz,
è quanto di più scontato e ovvio si possa impersonare: un
personaggio tutto muscoli e poco cervello, ma soprattutto senza un
delineamento caratteriale particolare, insomma, un tipo che o
c’è o non c’è non fa alcuna differenza. 

Oh che bel castello…

Traendo le somme, la serie Wolfenstein si è
rivelata capitolo dopo capitolo un continuo turbine di azione e
divertimento alla “vecchia maniera”: un videogioco come dovrebbe
essere, senza troppi fronzoli.
Di certo non è esente da difetti o fresco come altri titoli di
questa generazione, ma nella sua semplicità sa colpire con
effetti speciali interessanti e coinvolgenti, soprattutto grazie a un
ottimo e serrato gameplay e un design dei livelli niente male.

Wolfenstein è, infine, una valida alternativa ai tanto
abusati giochi sulla Seconda Guerra Mondiale, questa volta insaporita
con un pizzico di paranormale, una spezia che dona non poco sapore ai
cliché bellici monotoni dei quali siamo fin troppo saturi.

Se avete paura dei fantasmi nei castelli statevene alla larga. 
Tanto saranno loro a cercare voi.