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Recensione di Shellshock 2: Blood Trails

Recensione di Shellshock 2: Blood Trails di Console Tribe

di: Redazione
Fin dagli albori la guerra è presente nella storia dell’umanità.
Attraverso le innumerevoli battaglie, questa forma di “interazione
etnica e sociale” ha cambiato radicalmente le sorti e in molti casi la
vita di un numero indefinito di persone. Quello che ne consegue sono
gli ever green dei peccati umani, le nostre nefandezze, i momenti più
biechi e tristi della stessa esistenza.

Nonostante tutto continuiamo a volerli rivivere, nei film e soprattutto nei videogiochi ma in alcuni casi…




Riscriviamo la storia…col sangue (infetto)



E’ quindi la guerra, che fa da sfondo a Shellshock 2, e
ancora una volta ci ritroviamo in Vietnam, in una delle battaglie più
sanguinolente mai viste sulla faccia del pianeta. Gli eventi e
soprattutto la maniera in cui si sono manifestati basterebbero per
creare un clima di angoscia e terrore, ma stavolta gli sviluppatori
hanno abbandonato la via del realismo introducendo elementi horror,
come la presenza di una strana infezione che trasforma i soldati in
simil-zombie assassini. Questi gli elementi chiave del plot narrativo
del gioco che ci vedrà nei panni di Nate Walker, alla ricerca del
fratello scomparso che nasconde lo strano enigma legato all’epidemia.
Oltre al fratello in fuga, per rendere più ambigua e appassionate la
narrazione, uno dei compiti assegnati a Walker è di recuperare
Whiteknight.
Quello che si cela dietro questo “cavaliere bianco” è
un mistero, il protagonista deve inoltre scoprire il legame tra suo
fratello e Whiteknight. Ogni elemento della sceneggiatura nascosto al
giocatore è riportato alla luce lentamente, con un ritmo che riesce
nelle giuste dosi a coinvolgerlo. Poco alla volta, quindi, si giunge
alla verità. Il tutto avviene seguendo lo schema classico delle
missioni con relative cut-scene. Pur lasciando il giocatore libero di
fantasticare, col susseguirsi dei livelli di gioco si crea senso di
contraddizione. La mescolanza di elementi bellici a quelli horror è
poco riuscita, il passaggio emozionale dal dover affrontare l’esercito
nemico alla paura per la presenza degli infetti confonde il giocatore
andando a limitare l’intera esperienza di gioco. La stessa
sceneggiatura in qualche punto appare poco sviluppata, non tutto è
narrato nel migliore dei modi e spesso alcuni aspetti evidentemente
ritenuti poco importanti saranno tralasciati. Gli stessi personaggi non
sono altro che uno stereotipo, monotoni e di poco spessore psicologico,
il più delle volte le loro azioni sembreranno scontate lasciando spazio
ad un senso di déjà vu disarmante.

Il protagonista funge anche da narratore, mostrandoci a fine missioni
quelli che sono i suoi pensieri e desideri ed in questo il lavoro fatto
è apprezzabile, mentre nel gioco impersona il classico personaggio che
si fa trasportare dagli eventi. Ogni sua azione non è guidata da una
componente psicologica ma anzi è l’emblema di una linearità di
sottofondo che non sempre, fortunatamente, viene a galla. La storia,
quella reale, è quindi riscritta con i suoi alti e bassi, l’intera
vicenda è stimolante se presa nella sua interezza ma resta comunque
composta da elementi triti e ritriti. Riesce ad appassionare ma allo
stesso tempo manca di quello spessore narrativo e di quell’enfasi
capaci di far incollare il giocatore davanti allo schermo.





Charlie senza cervello



Di titoli che hanno come sfondo la guerra ne abbiamo visti tanti ma se
a questo aggiungiamo un’atmosfera che crea terrore il clima che ne
scaturisce è unico, con relativi pregi e difetti. Il gameplay di Shellshock 2
si mostra come il più classico degli FPS nonostante abbia elementi
horror a contraddistinguerlo. La telecamera in prima persona è una
“novità” per la saga (se vogliamo definirla tale) e ci catapulta nel
vivo dell’azione al puro scopo di far immergere maggiormente il
giocatore. Il fulcro centrale del gioco in questi casi sono le armi e
il loro relativo comportamento, oltre ai nemici su schermo. Parlando
dell’arsenale a disposizione è d’obbligo soffermarci sulla quantità e
la sensazione di “sparare” che esse suscitano. Quantitativamente il
giocatore di certo non resterà deluso, tuttavia è difficile notare le
differenze tra ogni arma con conseguente classificazione delle stesse
in tre semplici categorie: da taglio, pistole, fucili. Solo raramente
vi capiterà di imbracciare un lanciarazzi ma ancora più strana è la
mancanza dell’uso del Napalm, che spesso è accostato proprio agli
eventi del Vietnam. La sensazione offerta delle armi è abbastanza
realistica, sia per quanto riguarda la mira che il rinculo, da
segnalare un comportamento verosimile del personaggio che imbraccia
l’arma in tutte le diverse situazioni. Nella corsa, nelle cadute e
perfino nell’acqua, in cui vedremo il protagonista alzare il fucile
sopra la testa proprio come visto nelle pellicole cinematografiche, le
movenze di Nate saranno quasi sempre credibili.


Avere un arsenale non avrebbe senso se non ci fossero nemici
pronti a darci la caccia. Il comportamento dei nostri avversari è
mediocre, faticheremo a distinguere l’IA dei soldati da quello degli
infetti, visto il lavoro scarso svolto in questa fase di realizzazione.
I nemici su schermo si limiteranno ad attaccare senza mai rispondere in
maniera adeguata alle vostre azioni: le truppe nemiche in ogni
situazione si lanceranno contro di voi allo sbaraglio, abbassando
notevolmente il livello di sfida. Paradossalmente i “senza cervello”
mostreranno più acume tattico, di tanto in tanto si lasceranno andare
in movimenti improvvisi per evitare o quantomeno rendere più difficile
prendere la mira.

Tutti questi elementi si traducono in un gameplay che tenta di portare
una ventata d’aria fresca, ma che alla fine non fa altro che
rimescolare quanto già fatto da altri con un risultato che di positivo
ha poco. Nelle missioni che costituiscono il gioco, ci verranno chiesti
obiettivi apparentemente diversi ma che ad un occhio attento
risulteranno tutti uguali. Avanzare tra i livelli richiederà il
semplice eliminare i nemici che si dipaneranno davanti oppure resistere
alle offensive nemiche fino ad attendere una cut-scene ad indicarci che
si può proseguire. Per spezzare la monotonia, gli sviluppatori hanno
pensato di inserire alcuni “quick time event”: si tradurranno nel
riuscire ad evitare trappole o situazioni pericolose, oppure
sopravvivere ad agguati nemici. Inutile dire che quest’ultimi non
risollevano le sorti del gameplay: se si vuole spezzare una lancia a
favore è doveroso indicare come le trappole ricordino le strategia di
guerra attuate dai soldati vietnamiti durante la guerra.



Il gameplay, quindi, risulta essere piuttosto monotono e di poco
spessore, eliminare i soldati nemici non sarà troppo impegnativo né
troppo divertente. Migliore invece è l’atmosfera complessiva del gioco
che, grazie alla sua natura “cruenta”, rende maggiormente partecipe il
giocatore. Se a questo aggiungiamo una durata totale decisamente
inferiore rispetto ad altri titoli e l’assenza inspiegabile di
qualsiasi modalità multiplayer capirete che non ci troviamo davanti a
un capolavoro.





Il terrore grafico?



In un videogame bisogna dare sempre il giusto peso al
comparto grafico, il quale non è semplicemente “puro impatto visivo”,
ma lo strumento integrante e fondamentale che collabora a comporre
l’intera esperienza di gioco. Sulle basi di quanto detto in Shellshock 2,
il motore grafico è l’elemento necessario a ricreare le ambientazioni
caratteristiche che hanno fatto da sfondo alla guerra in Vietnam. Sul
semplice aspetto topografico gli scenari risultano essere piuttosto
verosimili, sia negli ambienti aperti che quelli chiusi, tra i quali
spiccano le caverne, vero fiore all’occhiello di tutto il comparto
grafico. Il dettaglio delle ambientazioni è di buon livello e
nonostante non raggiunga la qualità di altri titoli il suo risultato è
comunque apprezzabile. Diversa è la cura riservata ai personaggi: se
durante le scene filmate questi sembrano essere composti da un buon
numero di poligoni, in gioco la cosa cambia radicalmente. I nemici sono
spesso poco curati e del tutto simili tra loro. Quasi sempre vi
capiterà di scontrarvi con avversari praticamente uguali, con una
monotonia che ha del disarmante.

La fisica che gestisce movimenti e animazioni è di buon livello,
peccato solo per la “quasi” totale mancanza di elementi distruttibili
su schermo. Nel complesso, comunque, il comparto grafico si comporta
nel verso giusto ed è in linea con l’intero livello qualitativo del
gioco.



Discorso identico si può fare per l’audio: effetti sonori e musiche
aiutano a ricreare il clima giusto ma allo stesso tempo riesce
difficile innamorarsi o rimanere affascinati dagli arrangiamenti che ci
vengono offerti. Il comparto sonoro deve essere essenziale per il
coinvolgimento del giocatore, ma in questo caso gli si è dato poca
importanza. Il meglio, stranamente, arriva nei titoli di coda con
tracce originali e importanti come Free Bird. Peccato non aver sfruttato in maniera adeguata licenze simili, magari inserendole in scene filmate suggestive ed evocative.




Siamo tutti autoimmuni dal virus…



Quello che Shellshock 2 Blood Trails ha da offrire è
veramente risicato, con un gameplay che appare datato e poco
interessante. Le novità aggiunte al gioco sono davvero poche e spesso
rovinano quel poco di buono visto nel precedente capitolo, ma per
fortuna l’atmosfera globale e la narrazione offerta riescono a
coinvolgere il giocatore. Imperdonabile è, invece, la mancanza di
multiplayer che, vista la bassissima longevità del titolo, sarebbe
stata cosa veramente gradita. Audio e grafica sono accettabili, ma di
certo non risollevano le sorti del titolo.

In definitiva un titolo che, a confronto dei grandi rivali, può dichiarare di aver perso la guerra.