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Recensione Recensione di Hydrophobia

Recensione di Hydrophobia di Console Tribe

di: Mariano "TylerDurden" Adamo

La popolazione, se non è controllata, cresce in proporzione geometrica. I mezzi di sussistenza crescono solo in proporzione aritmetica – Thomas Robert Malthus.

Hydrophobia è un progetto che, dopo una lunga fase di gestazione, vede luce per la prima volta su Xbox Live ed è in attesa anche su Playstation Network. Previsto inizialmente come prodotto stand alone, è poi diventato un gioco a capitoli a causa dei limiti tecnici ed economici incontrati dai ragazzi di Dark Energy. Per la prima volta in un videogame è stato sviluppato un motore apposito che calcolasse i movimenti dell’acqua al fine di creare un gameplay unico e irripetibile. Dopo anni di lavoro Hydrophobia sarà pronto a emergere in superficie? Oppure meglio che rimanga inabissato? Scopriamolo insieme!

Terrorismo sottomarino

Fame, povertà, morte: questi gli effetti di una lunga e costante crescita demografica. Se da un lato la popolazione aumenta, dall’altro non c’è una corrispettiva crescita delle risorse idriche e alimentari e di conseguenza la vita, a poco a poco, diventa una gara alla sopravvivenza. Mentre i governi restano inerti davanti al problema, la NanoCell tenta disperatamente di trovare un modo per far sì che tutta l’umanità possa disporre di acqua potabile in tempi brevi. La trama si dipana a bordo della Regina del Mondo, una futuristica nave-città sulla quale la NanoCell lavora incessantemente al proprio progetto umanitario. Purtroppo anche l’azione più generosa trova spesso una forte opposizione che, il più delle volte, ricorre alla forza per far valere il proprio pensiero. Gli esaltati di turno sono i Malthusiani che, seguendo la corrente di pensiero di Thomas Robert Malthus, demografico inglese realmente esistito, vedono nella stessa umanità e relativa sovrappopolazione gli unici responsabili del problema. Seguendo il motto di “Salva il mondo, ucciditi”, i Malthusiani cercheranno in tutti i modi di porre fine all’attività della NanoCell e di conseguenza anche alla Regina del Mondo. Queste le vicende in cui si troverà letteralmente immersa la protagonista del gioco. Ecco quindi che ha inizio l’avventura di Kate Wilson, ingegnere a bordo della nave-città in cui è ambientato il titolo. Ben presto la nostra Kate dovrà fronteggiare terroristi senza scrupoli e vagare all’interno della futuristica struttura allo scopo di scoprire la verità. Non solo malviventi armati fino ai denti ma la nostra protagonista dovrà avere a che fare anche con la sua paura più grande: l’acqua, da cui appunto il titolo prende il nome. L’idrofobica protagonista in più di un’occasione dovrà fare i conti con se stessa e con il suo passato. Il concept alla base è di per sé originale ma viene rovinato da una sceneggiatura che, permetteteci il gioco di parole, fa acqua da tutte le parti. La stessa Kate è un personaggio poco carismatico, privato persino di ogni qualsivoglia background psicologico. Basti pensare che, nonostante la dichiarata idrofobia, Kate dimostra abilità acquatiche degne di una campionessa olimpica. Come se non bastasse la maggior parte dei dialoghi si limitano a semplici scambi d’informazione senza mai approfondire la tematica, peraltro interessante, della sovrappopolazioni e delle ridotte risorse. Solo alcuni documenti e fascicoli sparsi per le ambientazioni donano alla sceneggiatura quel minimo di spessore necessario a far appassionare il giocatore. La stessa scelta di spezzare l’intera avventura in più capitoli ci pare dettata unicamente da fini economici e tecnici piuttosto che da scelte artistiche ponderate. Tutta la struttura narrativa appare quindi approssimativa e poco emozionante.

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Ventimila noie sotto i mari

Molti titoli fanno delle meccaniche di gioco il punto di partenza per lo sviluppo; talvolta, invece, sono gli elementi narrativi e tecnici a influenzare prepotentemente il gameplay e, a tal proposito, la prima parola che ci viene in mente non può essere che acqua. Dall’ambientazione marina passando al motore appositamente creato per gestire i fluidi, si evince come l’intero gameplay di Hydrophobia sia pesantemente influenzato da questo elemento. Le meccaniche di base sono quelle di un qualsiasi action-adventure che non disdegna semplici puzzle ambientali e sparatorie in terza persona. Prima di procedere oltre è opportuno spendere due parole sul layout dei comandi che, a conti fatti, risulta scomodo e poco intuitivo. La scelta dei tasti di per sé non è poi così negativa ma il risultato finale è inficiato da un tempo di risposta quasi sempre in ritardo e dalla difficoltà di utilizzare gli strumenti giusti nelle fasi più concitate di gioco. Immaginate di essere braccati da più nemici e di perdere più di una manciata di secondi per ripararvi e selezionare proiettili diversi: capirete da soli come possano diventare frustanti alcune situazioni proposte.
Lo scopo del gioco è quello di far luce sugli avvenimenti che hanno portato i Malthusiani all’azione sovversiva all’interno della Regina del Mondo e, come ogni videogame che si rispetti, gli imprevisti saranno all’ordine del giorno. Tanto per iniziare ogni sezione della nave richiederà una determinata chiave d’accesso che potremo ottenere sintonizzando, attraverso un semplice mini-gioco in cui sposteremo le levette analogiche su una determinata frequenza d’onda, il nostro fidato navigatore Mavi. Il più delle volte anche ottenendo la chiave giusta, i terroristi avranno fatto in modo di criptare i codici d’apertura per cui bisognerà trovare la parola d’accesso nascosta tra le ambientazioni. Anche qui il navigatore si rivela indispensabile, infatti basterà semplicemente scannerizzare le pareti per trovare il punto dove reperire il codice d’accesso. Questo schema, salvo qualche variante in cui ci si collega anche alle telecamere a circuito chiuso, si ripete praticamente all’infinito per tutta la durata del gioco, risultando dopo poche ore di gameplay di una monotonia e di una prevedibilità senza pari. Tralasciata questa componente ludica, Hydrofobia si presenta anche come un TPS abbastanza semplice, in cui un sistema di copertura dinamico e sparatorie con tizi super armati sono le componenti principali. La nostra Kate è un semplice ingegnere e pertanto non è adatta a impugnare armi troppo pesanti. Dovremo aguzzare l’ingegno sfruttando l’ambiente circostante: cavi elettrici, barili esplosivi, sporgenze e ovviamente l’acqua (stordendo gli avversari potremo farli annegare). Anche qui le situazioni proposte se in una prima fase di gioco sembrano assicurare una buona varietà d’azione. dopo poco tempo diventano stantie e ripetitive costringendo il giocatore a ripetere fino alla nausea le medesime azioni. La stessa componente esplorativa ci fa vagare di corridoio in corridoio seguendo sempre la stessa impostazione: si arriva a una porta chiusa, si torna indietro eliminando gli avversari, si trova la chiave di frequenza e relativo codice e poi si può proseguire; in questa semplice descrizione si riassume l’intero comparto ludico di Hydrophobia. Qualche spunto interessante viene offerto dalle sequenze di nuoto o quando ad esempio un corridoio si allagherà all’improvviso aumentando così il tasso d’adrenalina. Purtroppo però anche l’acqua non costituisce uno stimolo adeguato: come già annunciato nel paragrafo precedente, Kate sembrerà una sirena piuttosto che una persona afflitta da idrofobia, che è evidenziata solo in qualche fase di gioco in cui avremo lo schermo in bianco e nero e il pad inizierà a vibrare. Il tutto durerà così poco e sarà così poco enfatizzato che, se non sapessimo dell’idrofobia di Kate, staremo ancora lì a chiederci cosa cavolo sia successo.
In termini di longevità questo primo episodio si ferma a circa cinque ore a cui vanno sommati gli svariati tenta e riprova visto il discreto livello di difficoltà. Una volta terminato il gioco si sbloccheranno alcune sfide dove potremo risolvere semplici puzzle a tempo con tanto di classifiche; un’aggiunta non troppo ispirata ma sicuramente gradita.

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Idrodinamica

Se non si fosse capito l’intento dei ragazzi di Dark Energy è quello di mettere nelle mani del videogiocatore un titolo capace di rendere verosimilmente e anche ludicamente appetibile l’acqua e la sua relativa dinamicità all’interno di ambienti chiusi. Sotto il profilo tecnico possiamo affermare che il risultato è decisamente positivo. Gli improvvisi cali di pressione, le esplosioni e persino la semplice apertura di una porta influiscono in maniera credibile sull’acqua circostante creando onde e spostamenti vari unitamente ad una risposta adeguata anche da parte degli elementi e personaggi presenti sullo scenario. L’HydroEngine risulta essere un ottimo motore per gestire questo tipo di situazioni. Purtroppo però per quanto riguarda il gameplay il risultato non è poi così soddisfacente. Il comparto grafico nel suo complesso, trattandosi di un arcade, è di buon livello ma allo stesso tempo non entusiasma a causa di un design delle ambientazioni troppo ripetitivo.

A bocca asciutta

Hydrophobia pur avendo dei presupposti decisamente interessanti, trama ed un gameplay ricco di elementi, finisce presto per diventare un titolo noioso e approssimativo. Le scelte fatte sulle meccaniche di gioco impongono al giocatore di ripetere le stesse sezioni di gioco fino ai titoli di coda. Persino la trama presenta alcune incongruenze, la più esemplare è ovviamente la capacità di Kate di muoversi nell’acqua come se niente fosse. Un prodotto ricco di potenziale ma che finisce per essere sprecato da un lavoro troppo qualunquista.
La buona riuscita dell’acqua come componente essenziale del gameplay da sola non riesce a reggere il peso delle svariate lacune presenti nel gioco. Tutto sommato, il gioco regala qualche ora di divertimento ma di certo non si può considerare un acquisto obbligatorio.