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Recensione Recensione di Guwange

Recensione di Guwange di Console Tribe

di: Claudio "Evil_Sephiroth" Perfler

Ad ogni annuncio di nuovi titoli per il paese del Sol Levante, capita spessissimo di sentire giocatori italiani ed europei (e a volte anche “colleghi” americani) lamentarsi per l’ennesimo titolo che raramente verrà tradotto in una lingua almeno comprensibile.
Se talvolta tale infausta previsione si rivela corretta, è anche vero che i titoli più blasonati o famosi, magari con un po’ di ritardo, vengono comunque tradotti nella lingua della regina, con buona pace di tutti gli appassionati. Questa mezza soddisfazione non tocca però agli appassionati degli sparatutto a scorrimento, famosissimi anche da noi parecchi anni fa ma che, ancora oggi, nel loro paese di origine, riscuotono enormi consensi. Cave, una delle software house più prolifiche in questo campo, ha infatti esportato i suoi giochi in casi rarissimi, probabilmente contabili sulle dita di una sola mano. Chiaramente per i fan la lingua (veramente poco importante in tali giochi) non era un problema, ma il fatto di dover spesso ricorrere all’importazione parallela, con la conseguenza di veder lievitare i prezzi (già molto alti), era un limite ben più importante. Con l’avvento di Xbox Live la situazione è da subito parsa più rosea: sebbene in numero ancora limitatissimo, gli sparatutto a scorrimento hanno iniziato a fare capolino anche al di qua dell’oceano, a prezzi accessibili e spesso con riadattamenti atti a rendere il tutto più appetibile ai giocatori di console.

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Dal XX secolo con furore

L’ultimo arrivato in casa Cave è Guwange, un titolo apparso in patria nel 1999 e che all’epoca segnò una sorta di punto di rottura nel mondo dei cabinati da sala giochi. Dopo anni e anni di scorrimento verticale, con protagonisti alieni, spazio e navicelle, la software house giapponese decise di dare uno scrollone, non solo appiedando i protagonisti del titolo (con ovvie implicazioni nelle movenze e nel gameplay), ma anche di usare spugna e sapone sull’ambientazione, cancellando lo spazio profondo e riesumando il periodo Muromachi giapponese. Oltre ai luoghi in cui si svolge l’azione (cittadelle, templi e lussureggianti foreste), ovviamente l’epoca in cui il gioco è ambientato incide anche sui protagonisti e sulle loro capacità combattive, legate alle leggende dell’epoca (più o meno). All’inizio del gioco infatti avremo la possibilità di scegliere fra tre personaggi, ognuno posseduto da un diverso Shikigami e caratterizzato da una diversa motivazione che lo porta a combattere. Dopo la scena iniziale (differente per ognuno dei protagonisti) verremo catapultati subito in mezzo alla frenetica azione, capendo immediatamente come il gioco richieda velocità di reazione, al fine di evitare la miriade di colpi che ci verranno diretti contro da ogni direzione, colpo d’occhio e dito ben saldo sul tasto di fuoco, che si tratti di lanciare frecce, kunai o qualunque altra diavoleria. Se il tasto X sarà utilizzato per la nostra modalità d’attacco primaria, con la pressione del tasto A potremmo evocare il nostro Shikigami, che può essere spostato in qualunque direzione attorno a noi, rallentando la velocità dei colpi avversari e attaccando allo stesso tempo i nemici sotto tiro. Chiaramente tutto questo avrà un costo: pur essendo illimitato, l’utilizzo del nostro “possessore” rallenterà anche i nostri movimenti e comandando il suo spostamento con la levetta sinistra muoveremo anche il nostro protagonista; va da sé quindi che l’abilità maggiore richiesta sarà proprio quella di evocare lo Shikigami quando necessario e di passare al fuoco normale quando dovremo muoverci in velocità fra gli attacchi nemici.
Col tasto B inoltre potremo lanciare un attacco speciale, limitato nei suoi utilizzi ma in grado di fermare tutti i colpi nemici. Questo schema di combattimento, frenetico e impegnativo, riguarda la modalità arcade (la classica modalità del gioco originale), ma nella versione per Xbox360 fanno la loro comparsa la Blue Mode, che differisce solamente per le modalità di punteggio e per una collocazione dei nemici variata, e l’Xbox 360 Mode. Quest’ultima aggiunta rende il titolo più accessibile anche ai meno smaliziati e che difatti conduce ad una totale distruzione dei raffinati equilibri di gioco, che portano Guwange a diventare un titolo senza alcuna spina dorsale. Nell’Xbox360 Arrange, infatti, lo Shikigami viene evocato alla pressione del grilletto destro e il suo movimento è delegato al secondo analogico: così facendo viene meno tutta la tattica e la prontezza necessaria, in quanto la possibilità di tenere sempre attivo questo potere va a sommarsi alla totale libertà di movimento e alla possibilità di continuare ad utilizzare la modalità di fuoco normale (anche se depotenziata). Questa insulsa aggiunta va inoltre ad inficiare il punto di rottura precedentemente citato, ovverosia lo scorrimento dello schermo non solo in verticale, ma anche in orizzontale e in diagonale, a seconda del percorso (sentieri, strade di cittadine, ecc..) che il protagonista si troverà ad attraversare, dato che la nuova manovrabilità dello Shikigami permette di non doversi quasi mai preoccupare della direzione da cui provengono gli assalti. Il risultato è che gli amanti del genere storceranno il naso di fronte a questa banalizzazione del gameplay, mentre i meno abituati agli sparatutto a scorrimento probabilmente non proveranno mai la vera sfida che offre questo titolo, limitandosi a giocare quest’ultimo scempio. In parte Cave si fa perdonare con la presenza di ulteriori modalità affrontabili, come la scalata ai punteggi online, che permette di provare a rientrare nelle classifiche mondiali (non pensateci nemmeno lontanamente) e la cooperativa che, sebbene apprezzatissima, rende lo scorrere del gioco fin troppo caotico e confuso data la mole addizionale di attacchi visibili a schermo.
Ad ogni modo la longevità è garantita; come ogni gioco del genere è capace di divertire da più di 10 anni, ancora oggi Guwange mantiene intatto il suo appeal e la capacità di tenere incollati allo schermo, sia che si giochi in solitaria per sondare i propri limiti, sia che ci affrontino le sfide con un amico.

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Si stava meglio quando si stava peggio

Ultimamente giochi come Raystorm HD e Deathsmiles I e II ci avevano abituati, al loro arrivo su console, ad una grafica ritoccata e riadattata all’alta definizione, questo non accade con Guwange che si presenta come un porting 1:1. Questa scelta non sarebbe necessariamente un male, alla luce di quella sorta di fascino retrò che pervade questi titoli. Quello che invece è un male a tutto tondo è l’aspect ratio del campo di gioco, che risulta completamente insensato per i televisori a cui sono normalmente collegate le console. Non solo saremo obbligati a tenere due grosse bande laterali (disegnate e colorate ma sempre inutili) ma anche le opzioni che ci permettono di ruotare l’immagine di 90 gradi (per sfruttare la lunghezza dei pannelli widescreen) manterranno sempre questa forma di cornice, che andrà di fatto a ridurre enormemente la superficie a disposizione per l’ambientazione in cui ci muoveremo. Se questo difetto sarà tralasciabile su televisori dalla grande diagonale, nel caso si giochi su schermi dalle dimensioni contenute, il risultato sarà la quasi impossibilità di giocare, tanta sarà la compressione delle informazioni a schermo. Situazione di per sé già tragica, che andrà ad aggravarsi durante le cooperative, che altro non sembreranno che una accozzaglia insulsa di colori. Anche a livello sonoro Guwange si presenta completamente identico alla sua precedente incarnazione, con ritmi tipici della tradizione nipponica, certamente particolari e non apprezzabili da tutti ma assolutamente in linea con il titolo. Quello che invece disturba a livello uditivo sono le voci dei personaggi, fin troppo fastidiose o predominanti ma per nostra fortuna l’arrivo su Xbox ci mette a disposizione un pannello di controllo in cui renderle meno invadenti o eliminarle del tutto.

Non ci sono più i giovani di una volta

Uno dei rari titoli Cave arriva dunque anche nel vecchio continente, fedele a se stesso praticamente in tutto e per tutto, senza orpelli visivi atti a renderlo più in linea con le manie grafiche dei giocatori odierni. Tuttavia alcune scelte degli sviluppatori paiono veramente azzardate, come la proposta di una modalità che distrugge completamente un gameplay difficile ma ben calibrato, trasformandolo in un giochetto che sa di poco e la assurda impossibilità di fruire del titolo a tutto schermo. Per fortuna rimangono comunque accessibili le vecchie modalità di gioco, che difficilmente verranno prese in considerazione dai nuovi giocatori, forse privati della possibilità di conoscere la vera sfida offerta da tale genere di videogiochi. Un vero peccato, se pensiamo che il costo di 800MP lo colloca in una fascia di prezzo assolutamente accettabile e corretta.
Ad ogni modo Guwange era ed è un gioco da avere per tutti i nostalgici e per i duri e puri degli sparatutto a scorrimento e una sfida per tutti coloro che amano scoprire i propri limiti, a patto che non si soffermino sulle modalità di nuova introduzione.