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Recensione Recensione di Dynasty Warriors: Strikeforce

Recensione di Dynasty Warriors: Strikeforce di Console Tribe

di: REdeiDESIDERI

Era il 1997, quando Koei si apprestava a rilasciare sul mercato giapponese quella che è, a tutti gli effetti, la sua serie di punta. Il suo best seller. Tanto apprezzato dai nipponici, quanto bistrattato dagli occidentali, Dynasty Warriors è probabilmente uno dei più grandi misteri del mercato videoludico. In un settore che si muove costantemente verso l’innovazione, il prodotto Koei (ora Koei Tecmo) è invece fermo sulla sua forma originale da anni, proponendo di volta in volta solo lievi aggiornamenti poligonali, annessi ad un ovvio restyling del roster di personaggi. Per il resto tutto, a partire dalla stessa trama (si, incredibile a dirsi), è praticamente uguale di edizione in edizione. Parlavamo di “mistero”, ed infatti tale resta la capacità del prodotto Koei di vendere numerose copie in territorio giapponese dove il gioco esce addirittura un paio di volte l’anno. Tuttavia nulla è destinato a durare per sempre, ed ecco che ultimamente le vendite dell’hack&slash nella Cina feudale hanno cominciato a registrare vertiginosi cali di vendite. Koei Tecmo lo sa, e quindi ecco che dopo tutta una serie di capitoli dove le novità erano scialbe e, tutto sommato, completamente inutili, la software house ha ben pensato di tirare fuori un capitolo che potesse, in qualche modo, ammiccare ad un altro grande best seller nipponico: Monster Hunter. Prima che ci linciate dandoci dei blasfemi, è doveroso dire che i due titoli hanno in comune giusto qualche cliché tipico di questo genere di giochi, e poco più. Tuttavia Koei Tecmo ha fatto tesoro del suo concorrente ed ha imbastito qualcosa di nuovo (?) per i suoi fan. Nasce così Dynasty Warriors Strikeforce. La guerra dei tre regni esplode sulle nostre console (di nuovo).

La storia infinita

Nel bel mezzo della Cina medievale, tre clan rivali (i Wu, i Wei e gli Shu) si contendono il dominio assoluto sull’impero Cinese attraverso una serie di sanguinose battaglie che etichetteranno l’epoca come la “Battaglia dei Tre Regni”. Nei panni di uno dei tanti membri delle tre nobili dinastie, toccherà a noi sovvertire gli esiti della guerra, combattendo senza tregua affinché la nostra fazione prevalga sulle altre.
Se avete giocato anche solo uno dei precedenti capitoli della serie, allora potrete immediatamente intuire come la trama sia praticamente identica a quella imbastita oltre dieci anni fa. La caratteristica fondamentale del gioco, infatti, è sempre stata quella di ripercorrere il meglio possibile tutte le battaglia storicamente documentate nel periodo dei Tre Regni, così da offrire una sorta di divertissement storico all’utente. Se una decade fa la cosa sembrò un’idea particolarmente acuta, ad oggi la noia è ormai tale da rendere il contorno storico una componente completamente superflua, tanto che probabilmente molti giocheranno Dynasty Warriors saltando a piè pari la componente narrativa.
A ben vedere qualcosa è effettivamente cambiato dalle origini; la selezione dei personaggi è sempre più ampia, così da poter conoscere anche i più insignificanti componenti della grande battaglia. La stessa biografia di ogni personaggio, doverosamente incastrato con la trama della sua fazione, è decisamente più corposa rispetto anche solo agli ultimi titoli editi da Koei Tecmo. Tuttavia non c’è molto da lavorare su di una trama che, basilarmente, è sempre la stessa. Certo, si scopre qualche cosa in più, si giustificano (storicamente?) meglio certi passaggi della guerra, e dobbiamo ammettere che alcune cut-scene hanno la capacità di riuscire, contro ogni previsione, ad essere coinvolgenti quel tanto che basta a non “skipparle”. Ma a conti fatti l’impressione generale è comunque quella di trovarsi dinanzi alla solita minestra ed il piatto, di conseguenza, non può che sembrarci sempre più riscaldato. A ben pensarci non c’è un escamotage che possa impedire alla serie di modificare questo orrendo cliché, se non quello di abbandonare definitivamente la guerra dei Tre Regni. Dopo dieci anni, forse, è arrivata anche l’ora che questa benedetta guerra finisca.

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Final “Dynasty” Fantasy?!

Se le basi di Dynasty Warriors sono sempre le stesse (scegli un personaggio e uccidi tutto quello che si muove su schermo), quel che è assolutamente nuovo è la componente di gioco prettamente ruolistica del gioco che, prendendo spunto dai più tipici RPG, permette uno sviluppo del personaggio abbastanza variegato che, complice l’immenso roster, permette un approccio alle partite sempre diverso. Al momento della selezione del PG, infatti, sarà possibile vagliare alcune basilari caratteristiche, capaci di differenziare un guerriero rispetto ad un altro. Forza, velocità, salute, sono solo alcuni dei parametri in cui è possibile migliorare all’interno di Strikeforce. In tal modo non solo la scelta del proprio character ha – FINALMENTE – un’utilità che va oltre la sfera puramente estetica, ma permette all’utente di favorire un approccio al gioco rispetto ad un altro. Premesso che ogni guerriero selezionabile ha la possibilità di impugnare una qualsiasi tra le armi disponibili, è comunque possibile basare il proprio gioco sulla mera forza piuttosto che sull’agilità, sulla velocità di esecuzione piuttosto che sul musuo (il tipico power up della serie) e così via. Quest’ultimo infine, più che in passato, sarà fondamentale nella scelta del personaggio poiché, più che rivelarsi come un semplice potenziamento (come di fatti è sempre stato), costituirà una vera e propria trasformazione alla Dragon Ball dove, oltre all’aspetto estetico (invero anche piuttosto ben curato), si amplificheranno considerevolmente le caratteristiche principali del proprio PG, trasformandolo, seppur per poco, in una ecatombe ambulante.
Ogni missione completata comporterà l’ottenimento di punti esperienza, con i quali il personaggio salirà di livello ed aumenterà sensibilmente le proprie caratteristiche basilari. Se a ciò aggiungete un sistema di crafting dell’equipaggiamento (di cui parleremo a breve) e la possibilità di utilizzare potenziamenti ambientali, capirete perché, inizialmente, abbiamo osato accostare Strikeforce al ben più blasonato Monster Hunter di Capcom.

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Il signore del feudo

Oltre a quanto già detto, un’ulteriore introduzione contribuisce a rendere il gioco più “ruolistico”, ed un tantino gestionale. Si tratta del “villaggio”, una sorta di accampamento dal quale avviare le proprie missioni e personalizzare il personaggio. Facendo da vera e propria base per il nostro eroe, il villaggio si struttura in tutta una serie di edifici la cui fruizione rende l’approccio al gioco considerevolmente più vario e divertente. Se infatti in passato non era data altra opzione che selezionare la propria missione, con l’introduzione del villaggio (ereditata anch’essa in maniera più che palese dal titolo Capcom), ci sarà data la possibilità non solo di migliorare le nostre caratteristiche quali abilità, armi, armature e oggetti in uso, ma anche di assemblare un piccolo party, composto dai membri che “sbloccheremo” con il procedere delle ore di gioco. Vi saranno quindi edifici nel quale acquistare viveri per evitare dure e repentine sconfitte, un fabbro dove costruire o migliorare armi, un’officina nella quale creare sfere magiche con cui incantare armi ed armature e così via. Grazie, poi, all’introduzione di un immenso numero di risorse (ce ne sono alcune migliaia, ma per comodità sono divise sostanzialmente in tre tipologie colorate: verdi, gialle e viola), tutto quel che c’è nel villaggio, dalle strutture agli oggetti in vendita, può essere migliorato ed ampliato a seconda delle preferenze del giocatore, così da concentrare la propria attenzione sugli oggetti e, di conseguenza, sugli edifici più utili. Si affaccia quindi sul gameplay una possibilità completamente inedita, quella del farming, che tanto sta facendo la fortuna delle produzioni concorrenti. Inframezzare le numerose battaglie con queste sezioni gestionali aperte e strutturate anche piuttosto bene, rende la fruizione dell’intero gioco meno monotona e, soprattutto, più varia. La personalizzazione di gran parte delle componenti ruolistiche è capace, da sola, ad invogliare anche il giocatore più demotivato, sebbene, è doveroso dirlo, ben poco cambi nelle meccaniche basilari in cui a conti fatti regna ancora sovrana la sagra del button mashing.

!==PB==!
Mazzate sui denti

Ma allora è tutto più bello, più nuovo, più figo! Si… e no. Se è infatti vero che le aggiunte di sopra sono tanto consistenti da rappresentare una rinascita per la serie, è altrettanto sacrosanto che tutto il resto è noia. Nonostante si stia finalmente muovendo qualcosa in casa Koei Tecmo, è ovvio che la semplice “aggiunta” di qualcosa di nuovo a qualcosa di così vecchio non sia necessariamente sinonimo di vittoria. La componente ruolistica, benché presente in maniera preponderante, è ancora troppo risicata per intaccare anche solo marginalmente il gameplay di questo Strikeforce. Il gioco è infatti sempre lo stesso, non si registra nessun miglioramento nel set di mosse, nessuna aggiunta che sia realmente strategica, nessun fattore che, nel bel mezzo del gioco, sembri distaccare questo capitolo da uno qualsiasi pubblicato in passato. Certo, i personaggi adesso salgono di livello, ci si può sbizzarrire costruendo l’arma perfetta, ma la sensazione di “cambiamento” è sempre molto lontana. Sempre troppo aleatoria. Tanto che se forse si lasciassero i personaggi a se stessi, si potrebbe completare il gioco ugualmente. Il combattimento, l’esplorazione, sono rimasti immutati dalla formula di dodici anni fa, il che rende qualsiasi lavoro di cesellatura del personaggio sostanzialmente inutile! Con il proseguire delle ore, non basterà l’accesso ad uno scontro particolarmente ostico per risvegliarvi dalla noia, questo perché il senso di ripetitività è così assoluto da essere quasi paradossale. C’è da dire che, almeno stavolta, gli sviluppatori di Koei si sono impegnati per cercare di offrire obiettivi un po’ più vari, ma anche in questi casi non si va oltre il “vai qui ed uccidi”, oppure “uccidi e poi vai qui”. Insomma, sebbene la componente RPG sia piuttosto ben fatta (e per questo Koei merita un plauso), il contorno – che poi contorno non è – resta quel gioco sempliciotto e caciarone pubblicato dodici anni fa. Mazzate sui denti, contatore di kill che sale a dismisura ed un senso di monotonia grande quanto i confini cinesi.

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Tutti in rete! Ma tutti chi???

Prima di dedicarci al paragrafo sulla tecnica, ci sembra doveroso citare un’altra introduzione della serie: il gioco online. Per la prima volta dalle sue origini, Dynasty Warriors si affaccia sul vasto mondo dell’online, permettendo al giocatore sia di partecipare a delle schermaglie in rete, sia di completare la propria (o anche quella di altri) campagna con utenti da tutto il mondo. Sulla carta tutto molto bello, con tanto di matchmaking che offre la possibilità di selezionare con assoluta precisione il livello con il quale si vuole giocare, ma nella realtà il tutto è molto diverso. Anzitutto in virtù dell’online è stata definitivamente eliminata la possibilità di giocare con un amico in co-op, alla vecchia maniera, con la stessa console, sotto lo stesso tetto. Perché si sia scelto di eliminare una feature simile, decisamente vincente per la serie, resta tutt’ora un mistero. In secundis è doveroso specificare che i server di gioco sono, ad oggi, quasi sempre deserti, tanto che se si vuole sperare di giocare con qualcuno è consigliabile evitare di impostare il livello con il quale competere e lasciare che il gioco trovi un giocatore qualsiasi. Ed è proprio questa limitazione pratica a rendere la feature inutile perché, di fatto, si rischia di giocare con gente troppo forte o troppo debole, privando la cooperazione di qualsivoglia componente strategica. I server non hanno poi ben chiaro il concetto di “stabilità”, per cui il solo ingresso alla modalità multiplayer potrebbe trasformarsi in una piccola impresa. Del resto, quasi in previsione della scarsa riuscita della componente online del gioco, gli sviluppatori hanno dotato il titolo di soli tre Trofei/Achievement, di cui uno è sbloccabile già solo per il primo ingresso online. Se il buongiorno si vede dal mattino…

La Cina NON è lo “stato” dell’arte

Sebbene la grafica non faccia gridare al miracolo, il titolo Koei Tecmo non si difende poi così male. A fare decisamente la parte del leone sono i filmati in computer grafica, la cui resa non è eccezionale, ma è comunque capace di attirare l’attenzione grazie ad una grafica ed una regia tutto sommato al passo coi tempi. Al secondo posto la modellazione poligonale dei personaggi che, esclusi i “soldati da macello”, sono tutti molto dettagliati e caratterizzati. Nel momento, poi, delle trasformazioni musou, i personaggi subiscono un’ulteriore definizione estetica che li rende ancora più belli ed appetibili. Peccato solo che il comparto visivo dei generali cinesi non si sposi con un adeguato comparto animazioni dove, i movimenti sono sì fluidi ma quasi surreali, ondeggianti. Stessa cosa dicasi per le animazioni delle tecniche di combattimento, tra l’altro perennemente in loop vista la mancanza di un degno parco mosse. All’ultimo posto gli ambienti con le relative texture, praticamente presi di peso dalla passata generazione (in certi casi pure dalla generazione prima se vogliamo) e la telecamera, il cui controllo è completamente affidato al giocatore. Per fortuna le ultime cose si compensano perché, dati gli ambienti assolutamente scialbi, ripetitivi e poveri di dettaglio, la telecamera non si” incastra” quasi mai in qualche poligono fuori posto (Dio solo sa se ce n’è bisogno!). In ogni caso l’effetto darà certamente il mal di testa ai più visto che, in certe situazioni decisamente concitate (nemici a iosa, mini boss che vi mazzolano da tutte le parti, e proiettili che volano a destra e a manca) in cui la telecamera necessiterà di rotazioni continue e mai definitive. Ultima lancia a favore è il level design di certi livelli che, con qualche buona idea, risveglia il torpore che investe il giocatore. Discorso identico per il comparto audio, discreto per ciò che concerne i personaggi, il cui doppiaggio (inglese) regala talvolta una buona recitazione. Insulse e ripetitive invece le musiche di accompagnamento, tanto che talvolta tra il caos dello scontro, la telecamera che balla e la stessa musica dopo ore e ore di gioco, preferirete giocare nel silenzio della vostra stanza. Ovviamente, neanche a dirlo, la ciliegina sulla torta è che il gioco, anche in versione europea è tutto in inglese. Proprio a sancire le speranze di guadagno che Koei ha verso il vecchio continente (Sega docet).

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La caduta dei Tre Regni?

In conclusione possiamo dire che Koei Tecmo ce l’ha messa tutta (o quasi) per svecchiare il suo storico brand. Ci è riuscita? Decisamente no. Dynasty Warrios sa ancora di già visto. L’idea che balza alla mente dopo alcune ore di gioco è che il titolo sia incapace di riprendersi dal peso degli anni, nonostante alcune idee decisamente al passo coi tempi. Il successo di Monster Hunter ha permesso a Koei Tecmo di copiare (ed anche abbastanza bene), idee che sono vincenti sia sul mercato nipponico che su quello nostrano, ma che comunque non rendono Dynasty Warriors: Strikeforce quel best seller che era in passato. Le novità ci sono e sono apprezzabili, ma a nulla servono se poi il cuore del gioco è sempre lo stesso: una caciara di tasti premuti a casaccio tra schiere di nemici sempre uguali, ripercorrendo una storia che, persino per noi europei, è ormai trita e ritrita.
Non abbiamo timore di dirlo: è ora di un cambio netto. Sconsigliato a tutti, tranne che ai fan più nostalgici… se mai ne fossero rimasti.