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Recensione Recensione di Bionic Commando

Recensione di Bionic Commando di Console Tribe

di: Redazione
Da qualche tempo a questa parte il mercato videoludico ha finalmente
cominciato a muoversi in direzione dei generi più disparati
puntando l’attenzione soprattutto verso il genere action,
complici anche alcuni brillanti titoli usciti di recente sul mercato
come Gears of War 2. In questo senso si è mossa dunque
anche Capcom che ha posto alla nostra attenzione il remake/restart di
un suo celebre quanto “vecchio” titolo: Bionic Commando, affidandone lo sviluppo al talentuoso team svedese Grin. Vediamo cosa ne è venuto fuori.





Guerra Bionica



Nathan “Rad” Spencer è un Bionic Commando, un reduce
di guerra che, in seguito alla disgraziata mutilazione di un braccio
è entrato a far parte di un progetto governativo che prevede lo
sviluppo di arti bionici e la loro integrazione su corpi umani.
Tuttavia qualcosa è andato storto, il governo americano ha
difatti sfruttato i Commando bionici in svariate tipologie di missioni,
salvo poi rinnegarli e privarli dei loro arti meccanici, adducendo al
disarmo una improbabile tesi che vorrebbe i soldati bionici soggetti a
scompensi mentali e schizofrenia. Come tanti suoi commilitoni, anche
Nathan si è dunque ritrovato tradito dal suo governo e, come se
ciò non bastasse, è stato accusato di crimini gravissimi
che sembrerebbe non aver commesso; crimini che, secondo il codice
marziale gli costeranno la vita! Il gioco comincia proprio con Spencer
chiuso in cella che, nel giorno della sua esecuzione, verrà
richiamato a combattere a causa della sua incredibile esperienza come
Bionic Commando contro alcuni dei suoi ex commilitoni che nel terrore
di “essere smantellati” si sono dati alla fuga costituendo
un cospicuo esercito terrorista. Tale esercito, più che
limitarsi alla mera guerriglia, ha di recente sferrato un devastante
attacco ad Ascesion City, la città di gioco (basata su
caratteristiche molto simili a New York). La metropoli è stata
rasa al suolo da un ordigno atomico che l’ha ridotta in un desolato
cumulo di macerie radioattive. Dopo ben dieci anni di galera a Nathan
viene dunque data la possibilità di tornare libero in cambio
della cattura dei suoi ex compagni. Messo con le spalle al muro, il
protagonista deciderà di imbattersi in un’avventura al
limite della moralità.





Giungla metropolitana



Bionic Commando miscela sapientemente un gameplay tipicamente
action da sparatutto in terza persona a sezioni più
squisitamente platform e congegnate con estrema perizia. Tuttavia non
sono le frequenti sparatorie a far da padrone nel gioco, né
tantomeno i salti da una piattaforma ad un’altra, quanto
piuttosto il massiccio uso del braccio bionico di Nathan, vero e
proprio protagonista sin dalle prime battute di gioco. Il braccio
bio-meccanico è bellissimo da vedere e da usare e conta su una
caratteristica vecchia ma al contempo nuova: il rampino. L’arto
è difatti capace di aggrapparsi praticamente a qualsiasi
superficie e sporgenza, permettendo al buon Rad di oscillare,
dondolarsi o anche solo scalare una parete perfettamente piatta. In
realtà è doveroso evidenziare come il tutto sia semplice
a dirsi ma non a farsi. Il sistema, benché gestito da un solo
tasto dorsale e dagli stick analogici risulta in un primo momento un
po’ ostico e richiede una precisione nell’esecuzione dei
comandi ed una velocità reattiva del giocatore decisamente sopra
la media. Niente di insormontabile ma comunque neanche un qualcosa di
realmente immediato. In ogni caso, una volta padroni dei controlli, Bionic Commando
rilascia una sensazione di divertimento alquanto convincente, complice
anche il design delle devastate ambientazioni di Ascension City, vere e
proprie giungle urbane miste di vegetazione e detriti, presentando al
giocatore tante e varie modalità esplorative, tutte però
gustosamente condite dall’uso del nostro rampino bionico.
Ovviamente l’uso del braccio non si limita alla mera
esplorazione, ma ci sarà particolarmente utile anche in fase di
combattimento, vista soprattutto la tendenza dei nemici a superarci in
numero e potenza di fuoco. L’uso durante gli scontri è risultato
divertente ed esaltante con prese volanti, devastanti montanti e lanci
di oggetti pesanti su orde di avversari. In verità niente di
tutto ciò sarà disponibile da subito (adducendo la
ragione che a Nathan occorra riacquistare il “feeling”
perduto), ma basterà qualche ora di gioco per sbloccare tutte le
capacità latenti del nostro arto trasformandoci in acrobatiche
macchine da guerra. Per ciò che concerne invece il comparto
armi, ci è sembrato buono e abbastanza variegato. Nathan
potrà contare su soli tre slot di armamenti: uno per
l’arma base (una sorta di pistola semi-automatica), uno per gli
esplosivi da lancio ed uno adibito a varie tipologie di armi che ci
verranno fornite direttamente dalla base per mezzo di alcune capsule
“volanti”. Ecco quindi arrivare mitragliatrici,
lanciarazzi, fucili di precisione e altro ancora, sempre spediti dai
nostri superiori in base alle varie esigenze di campo e sempre con un
limitato numero di munizioni, la qual cosa, unita al fatto che lo slot
adibito alle armi “pesanti” sia solo uno, restituisce un
minimo di senso tattico soprattutto nelle situazioni in cui i nemici si
fanno particolarmente numerosi e ostili. La vera pecca del gameplay non
sta dunque nel trasporto delle armi, quanto piuttosto nel loro
utilizzo. Il mirino con il quale si fa fuoco non prevede alcun tipo di
aggancio se non quello manuale e risulta, nel corso di gran parte degli
scontri, molto impreciso soprattutto per i tiri su lunga distanza
(compresi quelli con il fucile di precisione). Passando invece ai
nemici, dobbiamo dire che difficilmente rappresentano un vero problema
se non in quelle sessioni in cui il loro numero risulta veramente
sproporzionato rispetto al protagonista. Tuttavia la loro intelligenza
artificiale è piuttosto buona e, grazie alla presenza di diverse
tipologie di nemici (taluni corazzati di mech da combattimento, altri
pesantemente armati) l’IA sembra capace di sviluppare quasi
sempre la soluzione migliore che ci obblighi ad essere accerchiati
oppure a ripiegare. Vero punto di forza sono i boss ed i mech, che
costringono il giocatore all’uso combinato di braccio, armi da
fuoco ed un pizzico di strategia.





Orizzonte digitale



Nonostante le valide idee di gameplay, Bionic Commando non
riesce ad avere trovate altrettanto buone per ciò che concerne
il reparto tecnico e grafico. La produzione ci è sembrata in
questo senso molto altalenante con dei momenti certamente positivi ed
altri molto meno incoraggianti. La punta di diamante è
certamente rappresentata dal level design che si presenta sempre vario
e ricco di dettagli e poligoni. Texture e shader delle ambientazioni
sono di fattura pregevole così come è notevole il reparto
luci che, per quanto riguarda gli ambienti aperti, si comportano
egregiamente restituendo sempre illuminazioni credibili ed ombre ben
costruite. Peccato lo stesso non possa dirsi per gli ambienti chiusi
dove le luci sono sempre artefatte e poco veritiere. Graficamente gli
ambienti sono sicuramente incisivi e regaleranno al giocatore ben
più di un paesaggio memorabile, complice soprattutto una linea
dell’orizzonte profonda ed evocativa ed una serie di palette
cromatiche decisamente azzeccate. Triste è quindi constatare
come proprio l’orizzonte sia in realtà un mero artefatto,
in quanto i livelli, seppur bellissimi, presentano molti limiti
esplorativi imposti ora dall’acqua, ora dalle radiazioni dovute
all’esplosione che ha distrutto la città. In questo senso,
qualche ambiente più vasto e qualche percorso realmente
alternativo non avrebbero certamente guastato. È inoltre molto
simpatica l’idea di implementare negli scenari famosi brand
commerciali come Pepsi o Nvidia, per non parlare dei continui rimandi
al mondo Capcom (meravigliosi i cartelloni pubblicitari della TriCell!)
ed ai videogames di prossima uscita (Dark Void su tutti), chiaramente
si tratta di implementazioni fine a se stesse, ed utili solo al profilo
finanziario di Capcom, tuttavia vedere nel gioco marche esistenti
aumenta sicuramente il feeling realistico utile a rendere un titolo
ancora più credibile e gradevole da guardare. Passando alla
caratterizzazione dei modelli poligonali, non possiamo che apprezzare
l’ottimo lavoro svolto da Grin per il protagonista e per i vari
comprimari della storia, davvero ben realizzati ed ottimamente
dettagliati. Animazioni fisiche e facciali, nonché i dettagli
del corpo e le varie parti bioniche sono superbi e trasmettono bene sia
l’espressività dei personaggi che i loro movimenti,
restituendo una recitazione digitale davvero di ottimo livello. Peccato
che lo stesso non si estenda ai nemici che, nonostante minime
differenze per equipaggiamento e texture, risultano comunque troppo
simili e il più delle volte praticamente uguali. Il discorso
cambia ancora una volta se si prendono in considerazione i mech ed i
boss, la cui qualità è paragonabile a quella degli attori
principali del gioco, sebbene in ogni caso la loro varietà non
faccia gridare al miracolo. La pecca vera e proprio del titolo è
rintracciabile invece nella resa delle esplosioni particellari e delle
fiamme, mai all’altezza della situazione. I fuochi, nel
dettaglio, sono forse i peggiori mai apprezzati in una produzione next
generation, e talvolta si ha addirittura l’impressione che si
muovano in maniera “coordinata”! Le esplosioni
particellari, poi, sono mal strutturate e povere, soprattutto se si
tiene conto che effetti come la polvere che si innalza dalle strutture
cadenti della città, sono resi bene e regalano ben più di
una soddisfazione. Punto decisamente a favore dell’intera
produzione è la buona implementazione dell’anti-aliasing,
anche se a volte sparisce senza motivo, soprattutto durante le
schermate di caricamento tra una sezione e l’altra di gioco.





A dark voice



Il comparto sonoro del titolo è gradevole e sebbene non stupisca
per ricercatezza o fattura, si fa comunque apprezzare soprattutto per
ciò che concerne la colonna sonora, ricca di
“trovate” come il ri-arrangiamento di alcuni brani e
l’uso di vecchi jingle presi direttamente dal Bionic Commando
del 1987. Le armi, la città e anche i soli passi del
protagonista restituiscono comunque un feeling nel complesso lodevole,
anche se talvolta leggermente eccessivo e palesemente artificiale. Da
lodare è il doppiaggio che, benché non vanti la lingua di
Dante (il gioco è in inglese con sottotitoli) può contare
sul nome celebre di Mike Patton, ex voce solista dei Faith No More
(già apprezzato nei panni della Tenebra in The Darkness), come voce di Nathan Spencer.





In conclusione



Bionic Commando è un titolo duro, che nelle prime ore di
gioco vi strapperà ben più di un’imprecazione. Con
la doverosa pazienza però il gioco si fa apprezzare e riesce
soprattutto a risultare divertente e vario quel tanto che basta a
catturare l’attenzione del giocatore nel mare magnum di titoli
action che stanno lentamente arrivando sul mercato. L’unica
constatazione amara in sede di chiusura è quella legata al
comparto online del titolo che evidentemente non deve aver riscosso il
dovuto successo tra i possessori del gioco. La modalità online
di Bionic Commando ha sulla carta tutto il potenziale per
risultare divertente e dinamica, gioco-forza la qualità del
gameplay descritto qualche riga più su ed il suo indubbio
dinamismo. Ma è anche vero che le modalità disponibili
sono poche e sostanzialmente note a tutti (deathmatch, deatmatch a
squadre, cattura la bandiera, ecc…), nonostante l’uso del
rampino e la strutturazione degli stage in verticale possano rendere
sicuramente l’esperienza molto divertente e variegata. Purtroppo
però l’idea non deve essere piaciuta: i server sono
perennemente vuoti e riuscire ad intavolare una partita con qualche
sparuto giocatore connesso sembrerebbe ancor più ostico che
utilizzare il famoso braccio bionico per la prima volta! Per il resto:
una grafica tutto sommato piacevole e l’uso del braccio bionico
in ambientazioni costruite ad hoc rendono il titolo un’esperienza
quantomeno da provare. Per gli amanti del brand, dopo un’attesa
di oltre vent’anni, l’acquisto è praticamente
d’obbligo.