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Recensione Recensione di Alone in the Dark

Recensione di Alone in the Dark di Console Tribe

di: Redazione

Il mondo videoludico sta vivendo un momento molto particolare, e il
gioco che mi accingo a recensire oggi ne è la prova lampante. Stiamo
vivendo una serie di eventi che stanno modificando l’intero panorama
del videogioco, una lenta ma radicale trasformazione della globale
concezione di intrattenimento e ludus che oggi abbiamo. Il mio discorso
non vuole solo far leva sulle mere questioni tecniche, o quelle più
immediate come il fotorealismo del comparto visivo, o ancora la sempre
maggior interattività del mezzo, quanto piuttosto le sempre più
numerose analogie che il nostro amato videogame ha con forme d’arte
socialmente riconosciute e accettate, come il cinema per esempio.
Stiamo infatti trattando un medium che più d’ogni altro è eclettico,
sfaccettato; multiforme.

Alone in the Dark (d’ora in poi AitD) è il quinto capitolo della
saga omonima, nata nel 1992 con il primo episodio della serie targato
Infogrames e Interplay. La serie è stata distribuita da Infogrames fino
al quarto episodio A New Nightmare, mentre per questo nuovo titolo 2008 il publisher è Atari.
A dire il vero la cosa non cambia molto dato che Infogrames, pur
restando oggi dietro le quinte, dirige i fili di numerose case di
produzione che entrarono in crisi negli anni 90, tra cui appunto la
sopracitata Atari.

Lo sviluppo dell’attuale AitD è stato invece affidato a Eden Games, sviluppatore francese famoso per aver lasciato una rilevante impronta nei giochi di guida (come la famosa serie V-Rally, e il recente Test Drive Unlimited).
Il motore grafico che troviamo in AitD è il nuovissimo Twilight 2, che,
a detta degli sviluppatori, soddisfa i requisiti più importanti di ogni
engine che si rispetti: flessibilità, potenza, integrazione,
universalità e rendering.

Seppur sia stato Resident Evil
(Capcom, 1996) a rendere famoso il genere cosiddetto Survival Horror,
AitD è stato il primo titolo a coniugare con tanta omogeneità atmosfere
hollywoodiane di prima categoria, con la letteratura più oscura e
tenebrosa dei secoli scorsi; Edgar Allan Poe, Robert Louis Stevenson,
ma sopra tutti la visionarietà dello statunitense Howard Phillips
Lovecraft…il tutto ovviamente condito con un gameplay immersivo e
carico di tensione.



Da solo. Nel buio.



Ti svegli, sdraiato su un sudicio letto in un posto che non hai mai
visto prima. Sbatti le palpebre per cercare di schiarirti la vista, ma
tutto continua ad apparire confuso e indefinito, come il tuo passato, i
tuoi ricordi, la tua vita.

Due persone stanno parlando tra loro. I loro volti non ti dicono nulla,
ma discutono della tua morte, il modo migliore per eliminarti. La cosa
si fa indubbiamente drammatica. Dopo qualche minuto, dopo aver scelto
la maniera più veloce e discreta per la tua eliminazione, uno dei due
uomini ti alza dal materasso con uno strattone.

“Avanti, cammina!” dice spingendoti verso la porta. Il posto in cui ti
trovi sembra proprio un albergo, ma è difficile identificarlo con
accuratezza. Peraltro tutto appare davvero strano, come se non ti fosse
mai capitato di vedere niente di simile.

Dopo aver percorso qualche corridoio ed esser sceso qualche piano in un
ascensore con una pistola conficcata fra le vertebre, lo scagnozzo
sembra voler ultimare il suo compito. Tira verso di sé il cane della
pistola.

Click.

Ma ad un tratto le luci al neon del grigio corridoio crepitano e si
spengono. Il pavimento trema. Sembra il terremoto ma non lo è: è
qualcosa di peggio.

Molto peggio.

Le pareti si squarciano e una gigantesca radice afferra il tuo boia risucchiandolo nel terreno.



E’ così che inizia questo nuovo episodio di AitD. Crudo, feroce, di forte impatto.

Edward Carnby, questo è il nome dell’ormai celebre investigatore del
paranormale cui prenderemo i panni, si trova questa volta alle prese
con una forza maligna di proporzioni epocali. All’inizio la faccenda
non sembrerà così drammatica, almeno fino a quando non ci troveremo
completamente isolati dal resto del mondo, un po’ come avveniva nel
celeberrimo Silent Hill.



Devo ammetterlo, nonostante l’ottima base di partenza, il plot di
questo capitolo next gen di AitD sa di stantio e di già visto. Non
parlo solamente degli eventi che abbiamo la possibilità di vedere e
vivere, quanto dei personaggi, dei cattivi, degli stereotipi ormai
ridondanti della cultura horror che ci propinano cinema e televisione.
L’unica cosa che fa veramente la differenza è il teatro, il
palcoscenico scelto per questa storia, dato che a nessuna software
house era mai venuto in mente di ambientare un’avventura in un luogo
tanto idealizzato quale il Central Park di New York. La ricostruzione
degli ambienti, delle atmosfere e dei luoghi si può azzardare a dire
sia perfetta.

I dialoghi di AitD (e non solo quelli) sono caratterizzati da
un’impostazione prettamente televisiva. Etichettato come “18+” dal
sistema europeo PEGI, non vengono risparmiate nemmeno le parolacce e i
dialoghi forti. La struttura del copione da serial tv riesce a non far
pesare quegli attimi più o meno lunghi che intervallano i momenti di
gioco vero e proprio.

La narrazione e la forza emotiva della storia è supportata da regia e
fotografia ad ottimi livelli, molto simili a quelli che possiamo
gustare in serie televisive “Drama” di alto livello, come LOST o X-Files.





Quando il gioco si fa duro…



Il sistema di controllo è molto complesso e articolato. Scordatevi ogni
altra esperpienza videoludica, o al contrario inglobate in un solo titolo
una, due, cinque diversi modi di approcciarsi al joypad e quindi allo
schermo. Sin dai primi attimi di gioco, l’interattività si mostra
stridente, dura, con movimenti delle dita sui tasti e gli stick che si
devono rivelare perfetti, calibrati al millimetro, in un’esperienza
digitale che appare, nonostante la varietà di spettro, molto lineare e
certamente difficile, a volte anche troppo.



È possibile passare dalla terza persona alla visuale in soggettiva in
ogni momento e con la semplice pressione del tasto Y. Bisogna dire che
la prima è scomoda nella maggior parte delle situazioni, sia per la
telecamera che per la manovrabilità del personaggio, e ci costringerà
ad un cambiamento al fine di ottenere una migliore giocabilità.

La maggior parte dei pulsanti ha una doppia funzione, legata alla
modalità cui si sta giocando. Per esempio B, è generalmente utilizzato
per annullare un’operazione, gettare un oggetto. Tuttavia se si impugna
una pistola serve a ricaricare, mentre se stiamo seduti in macchina ci
permette di aprire il portellone e uscire.

Lo stick sinistro è relegato alla sola funzione di movimento, mentre
quello destro cambia a seconda di visuale e oggetto impugnato: con un
estintore in mano per esempio, viene utilizzato per direzionare
l’oggetto nello spazio, usandolo come strumento offensivo o per
sfondare una porta.

I grilletti servono per attaccare e lanciare oggetti. La croce
direzionale accede all’inventario, il telefono cellulare e alla
modalità “cura”.



L’avventura di AitD ci permette di confrontarci con due tipologie di
nemici, ulteriormente diversificati nella forma e nelle potenzialità. I
più piccoli sono i Vampyr, piccoli ragnetti alieni che ricordano i
Facehugger di Alien o gli Headcrab di Half-Life.
Diversamente dai fratelli appena citati, i Vampyr non cercano il volto
nei loro attacchi, ma prediligono la distanza con potenti schizzi di
veleno. Per quanto semplici da uccidere, questi piccoli nemici possono
essere una vera minaccia nelle situazioni più difficili o in presenza
di un vero e proprio nido, quando la moltitudine fa la forza.

L’altra minaccia, ben più pericolosa e ardua da sgominare è quella
degli Human, letteralmente degli esseri umani posseduti dalle forze
oscure che popolano Central Park. Questi individui possono essere
veloci, scattanti e molto, molto potenti. Alcuni possono addirittura
avvalersi di armi o particolari capacità, come coltelli, fiotti di
sangue acido e lingue-arpione.

Mentre per uccidere un Vampyr uno o due colpi di pistola sono
sufficienti, l’unico modo per eliminare definitivamente uno Human è
avvalersi del potere purificatore del fuoco. Qualche colpo con una
mazza o un pezzo di legno bastano per atterrare uno di questi temibili
mostri, ma se non si agisce prontamente con una fiamma lo Human si
rialzerà più feroce di prima.

Molto buona l’IA, che stimola i nemici a reagire alle diverse
situazioni, per esempio scappare quando abbiamo in mano una bomboletta
e un accendino.



L’inventario è l’elemento di gioco più innovativo e particolare. Con
visuale in prima persona si tratta letteralmente dell’interno del
cappotto del nostro eroe, nel quale sono infilati ogni genere di
oggetti e gadget nelle varie tasche e lacci. C’è da dire che lo spazio
interno della giacca è limitato, quindi capita spesso di dover
sacrificare alcuni oggetti per altri più importanti. È bene precisare
però, che gli oggetti gettati in terra non vanno persi come spesso
accade nei mondi virtuali, ma possono essere recuperati successivamente
nel caso dovessero servire.

Diversamente rispetto a quanto siamo abituati, l’inventario è parte
attiva del gioco e del continuum temporale. Se ci metteremo a spulciare
tra il nostro cappotto saremo vulnerabili ai nemici o a qualsiasi altra
minaccia: è buona cosa quindi calcolare con anticipo cosa conviene
impugnare per affrontare il momento.

Niente di ciò che troveremo in terra sul nostro cammino è inutile,
anzi. Le bottiglie di benzina o di liquido infiammabile sono una delle
poche armi veramente efficaci contro le tenebrose forze del male, e
sono combinabili in vari modi con altri elementi del gioco, al fine di
creare armi sempre più distruttive e versatili. Per esempio una
bottiglia di plastica ricoperta da un giro di nastro bi-adesivo, può
facilmente incollarsi ad un mostro, mentre un po’ di benzina su dei
comuni proiettili riesce ad aumentare notevolmente la potenza della
nostra arma da fuoco. Un pezzo di stoffa infilato nel collo di una
bottiglia di whiskey, trasforma una comune bevanda in una bomba molotov.

La torcia è un altro elemento di primaria importanza. Senza di essa (e
senza le batterie che le danno energia) saremmo totalmente perduti nei
cupi meandri di Central Park.

La pistola è utile non solo per uccidere ma anche per aprire serrature
chiuse, far saltare i morsetti che vincolano una una corda ad una
parete, sganciare oggetti appesi al muro. L’interazione è davvero
totale.

Mirare con l’arma da fuoco non è sempre impresa facile: lo stick
analogico destro utilizzato a tale scopo è molto sensibile, e ad un
piccolo tocco lo spostamento su schermo è notevole. Niente che non
possa essere ovviato con un po’ di allenamento, ma durante i
combattimenti più frenetici la sfida sarà ardua, specialmente se
volessimo mirare alla cicatrice di uno Humanz. Più facile è mirare una
bottiglia in volo. Infatti è possibile lanciare bottiglie di benzina o
di spirito contro i nemici per farle esplodere in un tripudio di morte
e carne bruciata. Per farlo è sufficiente impugnare la pistola con la
destra, la bottiglia con la sinistra e lanciarla con un gioco di
grilletti relativamente semplice. La mira è automatica e segue la
bottiglia in volo con uno scenico effetto rallenti che fa molto Max Payne.



Il rapporto uomo/automobile di AitD farebbe invidia anche agli
sviluppatori di Rockstar Games. Il sistema di guida, la reattività del
veicolo, sterzo, freno, accelerazione sono pressochè identici a ciò che
abbiamo visto in GTA IV; tutto il resto è differente, ma niente è
lasciato al caso. Per aprire un veicolo chiuso è necessario spaccare il
vetro, e la cosa non è automatica ma andrà fatta manualmente, con una
pistola o un oggetto adeguato al mestiere, tipo una mazza da baseball o
un estintore. Una volta aperta dobbiamo accenderla. Se non siamo così
fortunati da trovare le chiavi inserite nel quadro, possiamo cercare
nel parasole, e se la sfiga è proprio dalla nostra allora non ci resta
che fare un bel lavoro da elettrauto e accenderla unendo i fili. Ma non
è finita qui. Se il modello di vettura è semplice i fili saranno due,
se la macchina è un modello più recente, allora potremo dover
confrontarci con quattro o cinque fili di colore diverso. Sbagliando
combinazione potremo avere effetti spiacevoli (una potente scossa da
far rizzare i capelli), o altre cose più curiose e incredibilmente
circostanziali (come l’accensione delle luci interne alla vettura).
Questo è solo un assaggio della complessità dell’ultimo lavoro targato
Atari.



Voglio menzionare e lodare il lavoro fatto dal team di Eden Games per
quanto riguarda gli enigmi proposti durante i vari capitoli del gioco.
L’errore più comune in questo genere di giochi è quello di proporre
dilemmi e problematiche che sfociano nell’assurdo e nel paradossale. In
AitD invece, gli enigmi hanno sempre un sapore reale e soprattutto
coinvolgente: il problema assume connotazioni assurde solo e unicamente
quando la situazione stessa è ai limiti della realtà…e in questa New
York dal sapore lovecraftiano la cosa non deve affatto sorprendere.

Le situazioni sono risolvibili in molteplici modi, grazie ad una
libertà d’azione mai vista prima. Tutto ciò va a favore dell’utente e
quindi al tipo di gioco che si vuole condurre, più indirizzato verso
l’azione spettacolare piuttosto che verso una linea di condotta
tranquilla e discreta. Posso assicurare con la più assoluta franchezza,
che per la prima volta mi imbatto in un gioco che propone davvero una
linea d’azione diversificata e varia. La cosa più importante da fare
durante una situazione critica è pensare, pensare e pensare,
chiedendosi “cosa farei se fossi Edward Carnby?”, attraverso una totale
immedesimazione nel personaggio.



Un discorso particolare va ai notevoli bug presenti in game,
specialmente relativi all’interazione con l’ambiente circostante,
effetti di compenetrazione, problemi che influiscono notevolmente sulla
giocabilità stessa.

Discreta la scelta per il livello di difficoltà, che alterna momenti
molto semplici con altri di vera e propria rabbia e frustrazione. Dare
la possibilità di scelta sarebbe stata un’idea migliore che tuttavia
non è stata presa in considerazione.

Altra nota dolente riguarda la longevità, veramente scarsa per un
survival horror. La durata media complessiva è di circa 6 ore, circa 45
minuti per ogni capitolo, escludendo il completamento dei vari
achievements e degli obiettivi secondari, come la distruzione di tutte
le radici del male, imprese che non occupano comunque molto in termini
di tempo. Certo il titolo può anche essere rigiocato, oserei dire
facilmente e in maniera innovativa grazie alla struttura a scene che
ricorda il menù di un film in DVD; tuttavia questa non può essere vista
come una giustificazione.

Nessuna modalità multiplayer, per un genere che da sempre si conferma
per il singolo giocatore, preferibilmente da solo e al buio.



Vedere nell’oscurità.



Anche la questione “grafica” merita un discorso particolarmente
approfondito. Infatti possiamo immediatamente notare quanto la versione
definitiva di AitD sia visivamente meno completa rispetto ai video
presi in analisi prima dell’uscita definitiva del titolo. Sia chiaro,
con questo non voglio dire che il comparto grafico non sia appagante,
solo che, come altre volte è successo, l’hype precedente al lancio del
prodotto aveva creato determinate e non indifferenti, aspettative. Nel
complesso parliamo di un titolo graficamente di buona fattura, che
riesce a ricreare l’atmosfera giusta, le sensazioni ambientali ed
emotive che si convengono ad un Survival Horror.

I modelli sono visivamente molto gradevoli, nel design, nella
caratterizzazione, nel movimento, ma alcuni fattori potevano essere
curati decisamente meglio. La prima cosa che balza all’occhio è una
scarsa efficacia nella ricostruzione dei volti e delle espressioni
facciali, che funzionano bene ma solo a debita distanza. Anche per le
animazioni il discorso è lo stesso: nonostante la maggior parte siano
ottime e molto realistiche, alcune sembrano raffazzonate, elaborate
all’ultimo minuto e aggiunte solo in una fase finale di realizzazione;
inoltre male si amalgamano con l’ambiente circostante e con gli oggetti
con i quali si interagisce.

Altro dubbio riguarda le textures. La versione per Xbox 360 presenta
infatti file fortemente compressi che tendono a rovinare alcuni dei
momenti salienti del gioco, specialmente gli spezzoni animati in
ripresa ravvicinata. Una alternativa valida era avvalersi di un maggior
numero di supporti, cosa già sperimentata in altri titoli; basti
pensare a Lost Odyssey che è stato rilasciato su ben 4 supporti per niente scomodi nel loro utilizzo.

Gli effetti fisici e ambientali sono probabilmente uno dei punti di
forza maggiori nell’impianto audiovisivo. Il fuoco, elemento
fondamentale del gioco nella sua spettacolarità ed utilità, è reso
magnificamente. Gli oggetti in legno bruciano gradualmente fino a
trasformarsi in pezzi di carbone nero e opaco, tra scoppiettii ardenti e
venature rosso fuoco.

Non sono stati riscontrati disturbanti effetti sgradevoli piuttosto comuni come la cattiva gestione dell’antialiasing.

D’impatto, ribadisco, anche l’impostazione visiva e registica ispirata alle serie televisive di maggior successo.



Un sospiro dalle tenebre.



In linea di massima si dà sempre relativa importanza all’audio di un
videogame. È una cosa scoraggiante e decisamente una pessima mossa
quando si analizza un titolo dell’attuale generazione. Questo
“sottovalutare” il ruolo fondamentale di tutto ciò che passa per le
nostre orecchie durante l’esperienza videoludica è forse una questione
solo apparente, per un universo che percepiamo in maniera più indiretta
rispetto a quello visivo. Inoltre è bene specificare che si tratta di
un ambito molto più difficile da analizzare tecnicamente, un mondo
fatto di sottigliezze, di piccole cose.

Riguardo al doppiaggio non c’è molto da dire: non tradisce la buona
scuola italiana, che ancora una volta mantiene alto lo stendardo con
questo nuovo survival horror.

La colonna sonora è di tipo sinfonico, dal carattere, epico,
magistrale, con tematiche fortemente gotiche. Per paragonarla a
qualcosa di comprensibile, direi che ricorda l’imponenza tedesca di
Carl Orff, o la maestosità del connazionale Giuseppe Verdi. Il tema
principale ricorda moltissimo anche l’inconfondibile stile di Danny Elfman,
che tutti conosciamo per la perenne collaborazione con Tim Burton nei
suoi film. Per ottenere un effetto ancor più inquietante e oscuro, Olivier Deriviere
(ObsCure, ObsCure II) si è avvalso di una fusione di genere tipica
della musica New Age e di alcune correnti Folk: il compositore ha
infatti unito la musica classica orchestrale che tutti conosciamo, ad
un coro “a Cappella”. La musica “a Cappella” è un genere che,
similmente al canto gregoriano, prevede un’esibizione canora senza
strumenti d’accompagnamento. Così durante i momenti più importanti
della storia, nei menù o nei titoli, potremo gustarci queste
caratteristiche voci femminili del Bulgarian State Television Female Vocal Choir. Gradevoli anche le influenze etniche nella strumentazione.



Conclusioni.



La critica mondiale non ha accettato di buon grado le novità introdotte
in AitD, questo è bene metterlo in rilievo sin da subito in sede di
conclusioni. Non si parla solo delle cose nuove introdotte nell’ambito
della giocabilità, ma anche dell’impianto diegetico, piuttosto che di
quello estetico. Io non mi trovo affatto d’accordo. Penso che Atari
abbia regalato al pubblico non solo un buon prodotto, godibile,
divertente, emozionante, non esente da difetti, ma anche e soprattutto
un nuovo modo di vedere il videogioco, e ovviamente delle grandi
speranze per un futuro roseo.

Si cerca una sempre maggiore interattività, con una complessità di
mezzi ed una semplicità d’utilizzo. Non è semplice, nemmeno da
comprendere, ma è il traguardo che l’industria dell’intrattenimento
elettronico si prefigge.

La verità forse è che il mondo videoludico non è ancora del tutto
pronto a fare questo grosso balzo in avanti. Probabilmente Atari ha
voluto fare il passo più lungo della gamba e ha rischiato di inciampare.

PRO

  • Gameplay alternativo;
  • sistema DVD Style;
  • atmosfere e ricostruzioni impeccabili;
  • comparto tecnico buono…

CONTRO

  • …ma inferiore alle aspettative;
  • in alcuni punti frustrante;
  • notevoli Bug.