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Recensione Recensione di Alien Breed Trilogy

Recensione di Alien Breed Trilogy di Console Tribe

di: Nicola "Wanicola" Caso

Digital Delivery, raccolte, reboot e remake. Sono soltanto alcuni dei termini con cui ogni volta ci troviamo a che fare quando viene annunciato un nuovo gioco. E pensare che negli anni 90 tutte queste trovate non esistevano, per fare presa sul grande pubblico l’unico trucco era quello di sfruttare lateralmente la fama di qualche grande produzione cinematografica e cavalcarne l’onda del successo.
Lo sanno bene quelli del Team 17 che prima di sbancare al botteghino con la fortunatissima saga di Worms, nei primi anni ’90 si cimentarono con il primo esponente di Alien Breed su Amiga, uno sparatutto con visuale dall’alto, la cui particolarità risedeva nell’ambientazione palesemente ispirata ai classici del cinema di Ridley Scott e James Cameron. Nonostante già all’epoca il gioco non brillasse certo per originalità, negli anni seguenti il gioco godette di ben 4 seguiti e una discreta dose di popolarità tra i fan.
Questo però funzionava quasi vent’anni fa, come fare dunque per ridare lustro a una serie dell’epoca senza apportare particolari modifiche al gameplay? Semplice, una veste grafica al passo coi tempi, una distribuzione episodica digitale a prezzo ridotto e perché no, anche la raccolta degli stessi formato pacchetto. Ecco a voi Alien Breed Trilogy, facile no? Non proprio…

Nello spazio profondo nessuno può sentirti sbadigliare

In apertura si è parlato di quanto la saga originale di Alien Breed pagasse pegno al classico Alien (più ad Aliens a dire il vero), ma anche un paragone col recente Dead Space sarebbe in grado di rendere l’idea.

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Ci sarà un giorno in cui gli uomini saranno liberi di spostarsi nello spazio a proprio piacimento, per esplorare, per viaggiare e anche per lavorare. Quel giorno lo spazio sarà solcato da enormi navi spaziali, le quali saranno gestite da super computer dal I.A. altissimo e daranno ospitalità alle migliaia di persone che si muoveranno al loro interno per i compiti più disparati. Ovviamente anche quel giorno ci saranno i soliti problemi con i trasporti e non di rado capiterà di venirsi a trovare in situazioni in cui un’enorme nave lasciata alla deriva per chissà quale motivo, attiri a se quelle più piccole e innocue. Nulla di grave insomma, a meno che il super computer di cui sopra vada in tilt e il vascello in questione non sia popolato dalle più orride creature che possano popolare i peggiori incubi di Hans Ruedi Giger.
Nulla di più classico insomma, circostanze che persino chi ha viaggiato sulla USG Ishimura avrà già affrontato e proprio come in quel caso, chi meglio di un ingegnere sarebbe in grado di risollevare la situazione?
Come potete leggere, anche le premesse della nuova trilogia di Alien Breed non è che brillino per originalità, così come lo svolgimento privo di particolari spunti interessanti andranno a toccare i topoi tipici del genere, passando per l’approdo sulla nave fantasma nel secondo capitolo e il classico scienziato pazzo tramutatosi in un A.I. nel terzo episodio.

Uno eppure trino

Nonostante all’atto pratico avremo sotto mano tre giochi distinti, purtroppo le differenze tra un episodio e l’altro sono talmente insignificanti che possono essere tranquillamente affrontati come se ci si trovasse davanti a un gioco solo. A prescindere dall’episodio, il giocatore si troverà sempre a vestire i panni di Theodore J. Conrad, l’ingegnere della nave spaziale Leopold lungo una serie di livelli nel quale saremo chiamati ad andare dal punto A al punto B seguendo le indicazioni su schermo e “blastando” tutto ciò che ci si pari davanti. L’unica differenza con la serie originale risiede nel posizionamento della telecamera: dove negli prima l’azione era ripresa dall’alto, ora troviamo una telecamera isometrica in grado di enfatizzare maggiormente l’azione.
Il movimento del personaggio e della mira è gestito rispettivamente dallo stick sinistro e quello destro, il fuoco è come di consuetudine sul grilletto destro, mentre quello sinistro viene impiegato per usare gli oggetti come medikit e granate. I tasti frontali vengano impiegati per interagire con l’ambiente (A), correre (X) e ricaricare (Y) e la croce analogica per la selezione delle armi o degli oggetti. Infine i dorsali vengono utilizzati per ruotare la camera di 45°, novità assoluta per la serie, utile per guardarsi intorno e trovare elementi nascosti.

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Una volta presa l’adeguata confidenza con il particolare sistema di mira, muoversi in una direzione e sparare nell’altra diventerà consuetudine e così difendersi dalla minaccia aliena.
Lo scopo della missione non sarà infatti solo quello di sopravvivere, ma anche di svolgere tutta una serie di missioni che prevedono lo spostamento compulsivo da un punto all’altro della mappa, con l’unica problematica che tutti gli obbiettivi tendono ad assomigliarsi un po’ troppo e a ripetersi sino allo sfinimento. Localizzata una porta, spesso capiterà che questa sia guasta e sia necessario ripararla sfruttando un terminale posto a metri e metri di distanza e per accedervi è necessario trovare una chiave e così discorrendo. L’idea di fondo non sarebbe neanche male se al giocatore venisse data la possibilità di interagire con l’ambiente una volta che ci si ritrova in zona piuttosto che aspettare lo script che renda un computer utilizzabile.
La totale mancanza di diverse situazioni con le quali confrontarsi, se si esclude lo sterminio indiscriminato della feccia aliena, rappresenta forse il più grande limite del gioco soprattutto considerando che le situazioni non solo si ripetono tra un capitolo e l’altro, ma anche di episodio in episodio.
Se l’aspetto esplorativo risulta in gran parte da rivedere, quello più squisitamente action invece riesce a risultare divertente e discretamente stimolante, grazie a un buon numero di bocche da fuoco (dalla classica pistola coi colpi illimitati al mitra d’assalto passando per fucili a pompa, lanciafiamme lanciarazzi e chi più ne ha più ne metta). Specialmente dal secondo episodio in poi, la gestione dei crediti da spendere per potenziare le armi, la compravendita di munizioni e la minore quantità delle stesse trovate in giro, renderà il tutto più interessante e ragionato, donando al titolo quel tocco di survival che non guasta mai: “Vengono fuori dalle pareti! Vengono fuori dalle fottute pareti!”.

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Starship Coop Troopers e non solo

Appurato che le fasi d’azione risultano le più godibili del pacchetto, ogni episodio propone anche una divertente modalità cooperativa per due giocatori contemporaneamente su schermo (anche via Xbox Live nonostante i server siano poco frequentati). Decidendo di affrontare la campagna con un amico, le mappe disponibili caleranno da cinque a tre, ma a guadagnarne sarà il divertimento in quanto due giocatori implicano per forze di cose più nemici e conseguentemente situazioni più stimolanti. Non solo, anche la storia apparirà leggermente diversa, andando a costruire un percorso parallelo a quello di Conrad nel quale i Barnes e Vance saranno alla ricerca proprio di quest’ultimo.
Da segnalare anche la presenza della classica modalità sopravvivenza, introdotta a partire dal secondo episodio, che vedrà i giocatori all’interno di arene chiuse cercare di sopravvivere a ondate di nemici sempre più numerose e aggressive al fine di totalizzare più punti possibili. Nonostante i nemici non brillino per un’ I.A. particolarmente sviluppata, il loro numero e la loro aggressività rende il loro comportamento (anche nella modalità principale) molto credibile e in linea con l’idea di uno sciame di alieni brutti e bavosi.

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Alien Evolution

A conti fatti dunque, l’unica innovazione definibile tale che questa trilogia ha portato alla serie è quello dato dall’apporto dell’Unreal Engine 3. Come spesso ha dimostrato in altre occasioni simili (uno su tutti Shadow Complex), il motore grafico ben si presta a questo tipo di giochi arcade, garantendo una buona modellazione poligonale e un dettaglio ambientale di tutto rispetto, come ad esempio l’ottima riproduzione della nave fantasma a metà tra il tecnologico e l’organico. A farla da padrone tuttavia sono gli effetti visivi impiegati, uno su tutti l’utilizzo dell’illuminazione dinamica, in grado di garantire un’ottima atmosfera generale. Simpatica anche l’idea di ricorrere a delle bozze stile fumetto americano per raccontare la trama, anche se il parlato in inglese e le scritte minuscole non aiutano molto. Meno convincenti alcune cut-scene, dove lo zoom mette spesso in risalto alcune sviste tecniche come fucili tenuti in modo non proprio ortodosso e strane compenetrazioni poligonali.
Come per altri giochi del genere horror, anche Alien Breed adotta la scelta di immergere il giocatore nel silenzio più totale, straziato giusto di tanto in tanto da urla di dolore umane e versi gutturali di alieni che non fan presagire nulla di buono. L’accompagnamento musicale in senso stretto viene utilizzato durante gli attacchi in massa degli xenomorfi o per sottolineare alcuni momenti particolari dell’azione, con motivi si funzionali ma nulla di memorabile.

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“17 giorni? Ehi, non è per togliervi la speranza ma qui non dureremo 17 ore!”

In precedenza abbiamo già accennato di come il problema di fondo di Alien Breed Trilogy sia la monotonia di fondo e di come il perpetuarsi di un modello di di gioco privo di evoluzioni lungo i tre episodi, non aiuti di certo a migliorare la situazione. Lungo i cinque capitoli che compongono ogni episodio, neppure la trama è in grado di sorreggere un’impalcatura ludica così antica e statica, tanto che arrivare fino in fondo al terzo episodio sarà una bella sfida più per evitare di addormentarsi che non per la difficoltà del gioco in se (che in compenso risulta ben tarata anche dal livello intermedio). Gli obbiettivi presenti risultano abbastanza classici anch’essi, spaziando dalle classiche richieste di completamento alla difficoltà massima, all’eliminazione di un certo tot di nemici e via discorrendo.
Una raccolta di difficile posizionamento insomma. Arduo consigliarla a un amante della serie che probabilmente avrà già scaricato i singoli capitoli a loro tempo, soprattutto se si tiene conto che l’edizione retail non aggiunge niente sul fronte dei bonus e degli extra.
Problematico anche raccomandarlo a chi si avvicina alla saga per la prima volta a causa di una meccanica decisamente stantia e considerato il fatto che per il prezzo a cui viene venduto (30 €) e per ciò che offre, sarebbe più conveniente scaricare un singolo episodio (magari il secondo) al costo di 800 MSP.
Un vero peccato insomma, un nome storico come quello di Alien Breed avrebbe potuto aspirare a qualcosa di meglio se sorretto da un giusto comparto ludico, ma allo stato attuale delle cose può aspirare soltanto un utilizzo mordi e fuggi, magari in compagnia di un amico per quanto riguarda la co-op, ma non è a ciò che un gioco con la scritta “Trilogy” nel nome deve aspirare.