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Recensione di Alice: Madness Returns

Recensione di Alice: Madness Returns di Console Tribe

di: Redazione

Macabro come un racconto del Maestro E.A. Poe, visionario come una canzone dei Pink Floyd, fiabesco come una creazione di Tim Burton. Insomma, Alice ha gli ingredienti giusti per tentare l’accesso nell’Olimpo del video entertainment. Il genio di McGee è stato messo al servizio di una nuova opera, che ripercorre le orme del prequel (American McGee’s Alice), e ci ripropone una favola caratterizzata dalle forti tinte cupe, permeata di nichilismo, in cui il Paese delle Meraviglie è un incubo da cui Alice tenta di fuggire per salvare se stessa.
Vediamo insieme se il piatto è riuscito o è mancato l’ingrediente che crea la giusta amalgama e rende la ricetta speciale.

Don’t follow the White Rabbit…

Ebbene sì! Sia che vogliate vestire i moderni panni di Neo o quelli più romantici dell’Alice “Carolliana”, in questo caso seguire il Bianconiglio vi porterà a sorprese meno liete di quelle presentatesi ai personaggi sopracitati. Chi non ha avuto modo di giocare ad American Mc Gee’s Alice, ma allo stesso tempo ha amato la storia originale, rischia di vedersi un’intera infanzia deflagrare dinanzi al joypad. Infatti Alice: Madness Returns è il sequel del titolo sopra richiamato e ne ripercorre lo stesso filone concettuale e narrativo. La storia ci parla di un’Alice completamente diversa da quella propinata dalla Disney, spensierata, bionda e colorata, la quale lascia il posto ad una protagonista decisamente dark, segnata definitivamente dalla morte della sua famiglia a causa di un incendio di cui si sente colpevole. Alice è in cura nel manicomio di Rutledge e non risponde a nessuno stimolo esterno. I medici provano a loro modo a curarla e farla reagire tramite la deprivazione sensoriale, elettroshock, isolamento, costrizione, ma la ragazzina è insensibile a tutto: “fa le prove per la bara”. Finché, dopo otto anni, quando ormai tutto sembra perduto, Alice esce dal silenzio ed inizia a parlare ed esprimersi a disegni. Inizia così il lento cammino verso il recupero attraverso personaggi dalla discutibile moralità e perfettamente integrati nella grigia e tetra Londra vittoriana, come l’infermiera Witless o l’avvocato Redcliffe, dai quali Alice tenterà di scappare rifugiandosi nel suo Paese delle Meraviglie. Qui però non troverà gli amici di sempre pronti ad accoglierla a braccia e zampe aperte. Difatti in preda ad allucinazioni oniriche, che poi scopriremo avranno una fondamentale funzione catartica, Alice si ritrova nel Paese delle Meraviglie, che a dire il vero di incantevole ha ben poco.

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Anche qui il vento è cambiato, e tutti i suoi ricordi legati a quel magico mondo appartengono ad un passato sempre più lontano. Il Paese infatti è in preda ad un processo di totale decadimento, sia per un perverso disegno di distruzione sia per l’indifferenza dei personaggi che lo popolano. Alice, in verità più per salvare se stessa che il Paese delle Meraviglie, non accetta questo status quo e combatte con tutte le sue forze affinché Wonderland possa tornare ai suoi fasti. Così comincia l’inseguimento ad un treno che, oltre che essere il vettore principale del disfacimento e della distruzione collettiva, pare contenga le risposte che Alice cerca per tornare ad essere libera dai suoi fantasmi. Fino a qui il gioco non fa una grinza. L’idea di fondo è assolutamente innovativa ed azzeccata e costituirebbe una solida base per un soggetto cinematografico. Il tutto infatti si snoda attraverso una trama sicuramente avvincente e personaggi ottimamente caratterizzati, in costante equilibrio tra il pauroso realismo e il non-sense che caratterizza i sogni (o in questo caso gli incubi). E così ci imbatteremo, sia in giro per Londra che all’interno del Paese, in amici ed antagonisti con caratteri dalle tinte molto particolari, ma allo stesso tempo perfettamente delineati. Insomma l’intero comparto narrativo se la cava a pieni voti.
Il resto della storia poi ve lo lasciamo gustare da soli e scoprire un po’ per volta. Attenti però, non è la classica storia da raccontare ai bambini prima di andare a dormire.

“Cosa… essere… tuuuuu?”

Prima di continuare, giustamente vorrete sapere il gioco a quale categoria appartiene. Di certo non è possibile dare un’unica ed univoca collocazione al titolo, in quanto parliamo di un platform con fortissime contaminazioni hack’n’slash e action. Per cui vi troverete a saltare su funghi o flussi d’aria per raggiungere una determinata meta, raccogliere denti spendibili per i potenziamenti ed allo stesso tempo premere all’impazzata i tasti del vostro joypad per dare una giusta e sanguinaria morte al nemico di turno.
Ritornando al visionario mondo in cui si catapulterà la nostra eroina, una volta chiusi gli occhi si troverà a doverli spalancare davanti ad una realtà più ostile della sua stessa psiche, in cui a farci da guida sarà la versione “luciferina” dello Stregatto, ambiguo quanto mai, pronto talvolta a metterci in guardia ed altre a prospettarci una tragica fine. I nemici con cui dovremmo confrontarci sono i più disparati. Si va dalle disgustose Rovine, un mix tra Blob e Freak, ai marinai fantasma, passando per le Libelluliti, fino alle fastidiosissime Occhiere, ossia teiere killer pronte a bollirci a colpi di tè fumante. Un bell’esercito del male che la Regina ha prontamente orchestrato contro la nostra piccola Alice. Le armi messe a disposizione per difendersi da quest’orda sono varie e va fatto un plauso ai creatori per la fantasia con cui sono state ideate e realizzate. Infatti avremo a disposizione un fucile sottoforma di macinapepe, una mazza dalla forma di un cavalluccio a dondolo, una bomba ad orologeria dalle sembianze del Bianconiglio e la micidiale Lama Vorpale, che nel corpo a corpo è senza dubbio l’equipaggiamento più letale. A questo va aggiunta la possibilità di schivare colpi trasformandosi in uno sciame di farfalle o di fluttuare nell’aria come una soave ballerina; senza dimenticare la modalità “Isteria”, attivabile quando siamo in fin di vita e che proietta la sanguinaria protagonista in uno stato di follia omicida durante il quale non subisce danni dagli attacchi nemici. Naturalmente non vi mancherà l’occasione di utilizzare un tale arsenale.

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Come anticipato, l’azione insaporisce decisamente questo titolo che “relegare” fra i platform risulta riduttivo, sia per la complessità della storia che per le difficoltà che spesso incontrerete lungo il cammino. Giocato a difficoltà Incubo non è assolutamente una passeggiata di salute, anzi. Vi potrà capitare di dover ripetere sessioni di gioco ad oltranza. A livelli di difficoltà inferiori, invece, la lotta si fa più agevole ed il gioco più godibile, ma le sessioni di combattimento richiedono lo stesso un discreto impegno, spesso più di quanto ci si aspetterebbe. Difatti più che scontri epici con il classico boss finale, non presente in tutti i livelli, le maggiori “sudate” le farete a fronteggiare più nemici contemporaneamente, ognuno con una tecnica di attacco diversa. Questi ultimi, infatti, pur risultando talvolta ripetitivi nelle azioni, vengono combinati in maniera tale da rendere quasi sempre diversi i combattimenti e la scelta delle armi da usare, mitigando così l’effetto déjà-vu, tipico di questa tipologia di giochi. Tale punto va annoverato a favore del gioco, in quanto vi darà modo di mettere in atto la vostra abilità ed aggiunge quella dose di divertimento che dà sapore ad ogni titolo.
Passiamo ora alle note dolenti. Stiamo parlando di un gioco che garantisce una ventina di ore di gameplay, il che per un titolo che in buona sostanza si presenta come platform (anche se, come detto, non lo è del tutto) non è una cosa mica da ridere. Tuttavia cotanta longevità è minata da fattori che possono stancare anche il giocatore più accanito. Innanzitutto i livelli sono troppo lunghi e poco lineari: una volta finito il “Dominio” potrete avere difficoltà a ricordare a che punto ed in che modo l’avevate iniziato. Questo dai giocatori hardcore può essere visto come un punto a favore, ma considerato il genere in cui si colloca il titolo e la storia che narra può risultare eccessivo.
Altra grossa pecca è costituita senza dubbio dal sistema automatico dei salvataggi. Infatti non avrete possibilità di salvare a vostro piacimento ma sarà il gioco a farlo in vostra vece nei checkpoint prestabiliti. Solo che questi ultimi spesso sono molto distanti tra loro e capiterà più di una volta di dover affrontare tre o quattro sessioni di combattimenti prima di raggiungere il tanto agognato salvataggio. Capirete bene che morire poco prima del checkpoint e ricominciare da capo, magari ripetendo combattimenti ostici, vi porterà spesso a non rispettare il terzo Comandamento…
Ultima nota va fatta sul gameplay: nulla di nuovo all’orizzonte, stesso sistema visto e rivisto in tanti altri titoli. L’obbligo di uccidere tutti i nemici prima di andare avanti, la ricerca spasmodica ed articolata del passaggio segreto, etc. A meno che non siate appassionati sfegatati della serie, questi elementi rischiano seriamente di farvi accantonare il gioco dopo breve.
Di certo fantasia ed inventiva nella realizzazione di questo titolo non sono mancate, anche se non sono riuscite a compensare del tutto notevoli difetti che minano la riuscita globale.

!==PB==!
Ars Ludica

Eh sì, prima di qualsiasi discorso strettamente tecnico da affrontare, è innegabile che Alice: Madness Returns rappresenti una trasposizione dell’arte nel mondo dei videogame. Infatti l’intera costruzione e caratterizzazione dei personaggi, delle location e del plot narrativo sono tali da sforare i limiti del mondo elettronico per andare a toccare quelli della creazione artistica. Non di rado vi capiterà di imbattervi in filmati realizzati con tecniche pescate dal mondo Comics. Attenzione però, con questo non si intende che siamo davanti ad un capolavoro, ma che gli elementi con cui è stato composto l’intero corpus narrativo e le architetture dei mondi in cui si muove Alice, non sono mai banali e presentano quei caratteri di imprevedibilità e fantasia tipiche delle opere d’arte. E così la materia prima fornita dalla famosa favola è distorta a tal punto e con tale creatività da farci vivere un’esperienza del tutto nuova. Inoltre ogni livello è fortemente caratterizzato dalle proprie luci ed i propri colori che segnano anche visivamente il netto distacco con la grigia realtà londinese in cui Alice si sente prigioniera. Stile e design di assoluto livello la fanno da padrone.

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Qui però è doveroso sottolineare altre evidenti pecche del titolo. Tanta ricerca creativa non è stata accompagnata da una doverosa ed accurata ricerca tecnica. Così, mentre i personaggi, anche se non tutti, sono ben riusciti, sia per quanto riguarda la realizzazione grafica che per le animazioni, lo stesso non si può dire del contesto in cui Alice compie il suo viaggio. L’outfit delle ambientazioni non è all’altezza del progetto, con texture talvolta deludenti e modelli poligonali non adeguati al livello di design generale raggiunto. A volte capiterà di sbalordirci davanti a mondi realizzati con dovizia di particolari, ma altrettante volte rimarremo delusi dall’inadeguatezza tecnica nella realizzazione. Se è pur vero che stiamo sostanzialmente parlando di un platform, comunque va anche detto che l’idea di partenza e la forte componente creativa facevano presagire a qualcosa di meglio. Con ciò non si intenda che sia tutto da buttare, tuttavia l’ottimo stile raggiunto dagli sviluppatori non corroborato da un motore grafico, che ormai è in via di pensionamento, non ha fatto raggiungere all’intero comparto tecnico l’eccellenza che si attendeva.
Spostando il focus invece sul sonoro, non ci sono grosse lamentele da fare. Il doppiaggio raggiunge un livello discreto e ad ogni personaggio calza perfettamente la voce e l’interpretazione data. Anche suoni e musica non presentano sbavature, tranne quest’ultima che talvolta risulta ripetitiva. Su questo aspetto però ci si può ritenere soddisfatti.

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Cambiando l’ordine degli addendi….

Il risultato resta sempre uguale. Pure volendo dare molta più luce all’indubbio sforzo fatto dai creatori per realizzare un prodotto nuovo ed originale, non si può trascurare un comparto tecnico che resta nettamente inferiore alle potenzialità esprimibili dal gioco. Se a questo aggiungiamo che intorno al titolo si era creato un certo hype, allora la delusione aumenta. Come abbiamo già rimarcato nella recensione, non stiamo parlando assolutamente di un bidone. Anzi, Alice: Madness Returns vi può garantire diverse ore di divertimento, a patto che siate amanti del genere. Allo stesso tempo però non stiamo neanche davanti ad un prodotto eccellente. Il rammarico sta nel fatto che ci sono gli ingredienti per creare qualcosa di unico, ma è mancato quel quid per renderlo immortale. Chi ha giocato il prequel, e chi ama questo genere, non può mancare assolutamente l’appuntamento. Anche i neofiti possono tranquillamente lanciarsi in quest’avventura ma non si aspettino di imbattersi nel gioco dell’anno.
Breve nota a margine per i cacciatori di Trofei e Achievement: questi sono ben congegnati e ben distribuiti lungo tutto l’arco della storia, inoltre il gioco non è difficile da “platinare”.
A chiosa del discorso va detto che Alice: Madness Returns non ha rispettato le attese, ciononostante resta un titolo valido e gode di una direzione e realizzazione artistica di tutto rispetto. Per cui non ci resta che augurarvi buon viaggio e chissà che attraverso Alice non possiate trovare anche voi il vostro Paese delle Meraviglie