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Recensione Recensione di Alan Wake

Recensione di Alan Wake di Console Tribe

di: Dr_ Kerneg

Sei già stato qui! Ma sì che ci sei già stato. Non dimentico mai una faccia. Oppure, tu sei quello scrittore famoso, sì, Alan Wake. Ma certo, ti ho riconosciuto subito. Benvenuto qui a Bright Falls, bel posticino tranquillo. Fatti un giretto, porta la tua signora a prendere qualcosa al Bright Diner, la torta alle ciliegie è ottima. E poi che ne dici di visitare la nostre miniere? Un vero patrimonio nazionale. E non dimenticare di farti una bella passeggiata tra i boschi, salutare e rilassante. Portati una torcia se esci al tramonto. Sai, là fuori può essere molto buio. Divertiti, qui a Bright Falls, cittadina eccezionale piena di gente eccezionale!

Quasi sei anni. Tanto abbiamo atteso per avere Alan Wake tra le mani. I Remedy si sono presi il tempo necessario a creare un gioco che non deludesse le loro aspettative. Ben altra cosa sono le nostre, di aspettative. Quello che l’azienda finlandese ha messo in piedi innanzitutto è un mare di hype nella multivariegata comunità di videogiocatori. Il primo risultato noto è una completa frattura tra chi crede che Alan Wake sia un capolavoro, e chi lo relega a un prodotto normale, forse neanche di prim’ordine. Certo, non siamo qui per appianare discussioni e mettere la pace fra i videogiocatori, non ne abbiamo i mezzi e soprattutto la voglia. Quello che cercheremo di dimostrare nel nostro piccolo sarà semplicemente se Alan Wake è un videogioco e basta, o se magari nasconde qualcosa di più recondito, di sommerso, che forse non tutti hanno voluto vedere e raccontare.
Spegnete la luce, allora, mettetevi le cuffie e preparatevi a fare il nostro tour privato tra i boschi di Bright Falls.

Weird Tales

La narrativa, intesa come arte del raccontare una storia a prescindere dal mezzo utilizzato, vive di espedienti. Senza di essi, la narrativa stessa sarebbe piatta, omologata, perderebbe di mordente e l’unica a soffrirne sarebbe la storia in quanto tale. Immaginate cosa sarebbe Dracula se non fosse scritto in forma di diario o molti dei racconti di Poe se non fossero in prima persona. Talvolta metà del successo della storia stessa deriva appunto dal tipo di espediente a essa legata.

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Alan Wake (il videogioco) è questo: un espediente letterario. Inutile girarci intorno. C’è chi lo chiama survival horror, c’è chi lo voleva free-roaming o chi continua a paragonarlo a Silent Hill in salsa action. Questo atteggiamento serve solo a sminuire e trasfigurare quello che Alan Wake è a tutti gli effetti: un bellissimo e nerissimo romanzo. Possiamo inquadrarlo benissimo in quella corrente letteraria inaugurata da Lovecraft e arricchita nei decenni successivi da fior di scrittori come Carl Ashton Smith e Robert Bloch, il cosiddetto gotico americano. Senza queste figure storiche, non avremmo mai potuto leggere nulla di Stephen King o di Dean Koontz, e Whitley Streiber e Robert McCammon non avrebbero avuto dignità di esistere. Potete immaginare come il background culturale dietro la fantastica storia che fa da corpo e anima di Alan Wake sia importante e quasi pericoloso sotto certi aspetti.
Sam Lake, lo sceneggiatore preferito dei Remedy, ha pensato bene di far sentire pesantemente l’influenza dei progenitori del genere, per poi plasmarla in una forma nuova sotto molti aspetti, fatta di espedienti che pescano a piene mani dalla letteratura, dal fumetto, dal cinema e dalla TV. Preparatevi a una storia non convenzionale raccontata in maniera ancor meno ortodossa, capace di emozionare e di sorprendere come solo un buon racconto può fare.
Si parte dai cliché, onnipresenti. Gli stereotipi più comuni fanno capolino fin dai primi minuti: Alan Wake è uno scrittore in crisi creativa (qualcuno sta dicendo Mucchio d’ossa, per caso?) che si reca in una località sperduta nordamericana per riposarsi; sua moglie è terrorizzata dal buio; una presenza malefica possiede un intera cittadina; esseri umani trasformati in killer assetati di sangue si aggirano nottetempo avvolti dall’oscurità; un corteo di personaggi strani calcano il teatro di questa vicenda dal nome di Bright Falls.
La sensazione di essere finiti dentro un romanzo di Stephen King o in un lavoro di David Linch è palpabile, fin dalle prime inquadrature che ricordano chiaramente le prime sequenze di Shining, o l’ambientazione di Twin Peaks. È quasi una dichiarazione programmatica degli stessi autori, un monito per tutti quelli che continueranno. E non deludono. Partendo da questi elementi a dir poco elementari, viene imbastita una trama di tutto rispetto, con colpi di scena ben dosati e sequenze cinematografiche come non se ne vedono da un bel po’. I temi toccati dalla trama di Alan Wake sono svariati: c’è la sonnolenza della provincia americana, riassunta nei classici paesini in cui tutti conoscono tutti e l’avvenimento più emozionante è la festa del cervo; c’è la paura, intesa come sentimento angosciante che non ci lascia respiro, la perdita di una persona cara e l’ineluttabilità di un destino già scritto. Ma non finisce qui! La storia procede come esempio di metanarrativa, con un uso sapiente del racconto dentro il racconto, trascinando il lettore/giocatore dentro un vortice di avvenimenti che si snodano per quasi un secolo, avvelenando la vita e i luoghi che circondano Bright Falls. Non voglio entrare nel particolare, sto cercando di essere quanto più lontano possibile dal dare la minima notizia sullo svolgersi degli avvenimenti, ma sto cercando, spero con successo, di far trapelare tra le mie parole l’atmosfera che si respira prendendo il pad in mano e giocando ad Alan Wake. Rimarrete sorpresi dal ritmo a due tempi della trama, con brusche accelerate, accompagnate da momenti lenti e sognanti.
Una considerazione d’obbligo: ci troviamo di fronte a un prodotto in cui la trama e i personaggi sono al di sopra del gioco, e il gioco stesso fa parte di quegli espedienti narrativi che hanno aperto questo capitolo. Finalmente, il gioco si inchina alla storia, diventando medium di divulgazione, senza scendere a compromessi. Ogni passo che muoverete sarà stato pensato con l’intento di far muovere gli avvenimenti. Questo fa sì che tutti i volti che incontreremo, tutte le personalità con cui interagiremo saranno ben strutturate e a tutto tondo, mostrando nelle movenze e nelle espressioni il loro ruolo nell’intera vicenda. Tutto è perfettamente incastrato per rendere la narrazione a misura di giocatore, senza annoiare e stancare, ma anzi avvincendo a ogni minuto e coinvolgendo più di quanto ci saremmo aspettati.
Badate, questa soluzione non è perfetta. Ha i suoi punti deboli che vengono immediatamente all’occhio nel momento in cui il videogioco e le sue regole strabordano per chiedere la loro parte. E quindi, talvolta, alcune sequenze saranno quasi scontate, rompendo la magia e facendo scorgere il codice dietro la storia. Queste sono le sbavature con cui dovremo combattere, chiudendo gli occhi e cercando di rientrare “nel personaggio”. È così effettivamente: per quanto vogliamo immergerci nella storia e pensare solo a quella, verremo puntualmente richiamati alla realtà da inserti improbabili di natura videoludica (le famigerate casse piene di proiettili, per dirne una).

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I ragazzi di Remedy hanno cercato di raccontare una storia, ma non hanno trovato il perfetto bilanciamento tra componente giocata e componente narrata, lasciando che una prendesse il sopravvento sull’altra e viceversa. Questo altalenarsi dei due aspetti del gioco, senza il ritrovamento di un giusto equilibrio, porta a indispettire il giocatore, sia che voglia “solo” un gioco o “solo” una bellissima avventura. Questo non vuol dire che il prodotto sia mal fatto o poco credibile, anzi! Semplicemente bisogna tener presente che si tratta di un romanzo con dentro un videogame e che talvolta le due cose non sono perfettamente amalgamate. Punto.

Darkness falls

Come si gioca ad Alan Wake? Questa è stata la domanda che ha assillato giornalisti e giocatori per anni, fin dal primo annuncio. C’è chi lo voleva come un GTA dell’orrore, chi altri voleva un Resident Evil 4 occidentale e altri ancora un Silent Hill 2 senza aggettivi.
I finlandesi coinvolti in questo progetto hanno pensato bene di guardarsi intorno e prendere quello che di bello aveva da offrire il panorama videoludico e di metterlo dentro Alan Wake. Quindi, il gioco si dipana come un’avventura in terza persona, con una componente esplorativa diurna e una componente action notturna.
Quando il sole splende alto nel cielo, ci ritroveremo a girare per una tranquilla cittadina lacustre americana. Non immaginate di avere piena libertà di girare per Bright Falls. Purtroppo questa gioia non ci è stata data. Tutto è assolutamente story driven, come si usa dire di questi tempi. Di giorno, in pratica, parleremo con dei personaggi non giocanti, e seguiremo le loro indicazioni: il più delle volte, semplicemente saremo invitati ad accompagnarli per le vie del borgo o all’interno di qualche location particolare. Ci è data una minima libertà di esplorare i dintorni ma nulla di eclatante. Queste sezioni purtroppo servono solo a far progredire la trama e a prepararci per le successive azioni notturne. In questo frangente sarebbe stato molto più coinvolgente e convincente se Alan potesse andare in cerca dei personaggi da intervistare o da incontrare per conto suo e non sempre teleguidato da qualcuno. La componente di interazione e esplorazione poteva essere migliorata, donando un altro gusto al gioco stesso. Poter parlare anche con personaggi estranei agli avvenimenti in gioco, incontrare un benzinaio, un avventore in un bar, o semplicemente un passante sarebbe stato quel tocco di classe ideale per dare vita alla ambientazione perfetta. Purtroppo Alan Wake non ci dà questa possibilità e, anzi, talvolta, sembra quasi di passeggiare in una città fantasma. Certo questo può avere senso in alcuni momenti del gioco stesso, ma questa aria di perdita si respira troppo presto nel gioco, senza che abbia un significato ben preciso. Posso accettare che non sia un free-roaming, ma almeno potevano implementare un blando e grezzo sistema di relazioni interpersonali al di là di quelle pre-calcolate.

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Ben diversa è l’ambientazione notturna, preponderante oltre ogni dire e dal fascino millenario. L’oscurità è la padrona dell’intero gioco, facendoci sentire immensamente sperduti e angosciati, circondati da ombre che potrebbero prendere vita da un momento all’altro e attaccarci. Le sezioni al buio di Alan Wake aggiungono il gusto del combattimento all’atmosfera affossante dell’intero gioco. Il concept è fantastico e ottimamente realizzato. Come è ormai noto, i nostri nemici sono assoggettati dall’oscurità e l’unico modo per devastarli è dargli una buona dose di luce. Il bagno di sole li ripulisce dalla loro soprannaturale immortalità e li rende vulnerabili al piombo dei nostri proiettili. La nostra più fida amica sarà la torcia elettrica che acquisiremo durante il gioco. Puntarla contro i nemici li farà arretrare o li rallenterà. La torcia ha la capacità di ricaricarsi con una certa lentezza, per accelerare la pratica è possibile inserire delle batterie, così da mantenere sempre vivo e brillante il fascio di luce. Questo è a dir poco fondamentale, quando avremo di fronte intere orde di nemici che avanzano inesorabili. L’anima action del gioco è ben strutturata e divertente, grazie all’introduzione di un arsenale non convenzionali che annovera bengala, flashbang e pistole lanciarazzi. Ovviamente sono armi che illuminano e per questo sono mortali per i Posseduti. Dal punto di vista pratico, la torcia si comporta come il mirino laser degli ultimi due Resident Evil, puntando direttamente sugli avversari e facendoli ‘bruciare’. A seguire, qualche colpo di pistola conclude l’operazione.
I nemici sono sempre dei cattivissimi abitanti di Bright Falls, armati di asce, falci e coltelli, che hanno la bellissima abitudine di sbucare fuori dal nulla, di solito alle nostre spalle, urlando frasi senza senso nei nostri confronti. Spesso ci ritroveremo faccia a faccia con questi loschi figuri, e per evitare di venire affettati come si deve, viene in nostro aiuto una pratica schivata che ci farà guadagnare il tempo necessario ad arrostire il malcapitato.
Anche di notte Alan Wake ci invita a esplorare i boschi di Bright Falls alla ricerca di oggetti collezionabili più o meno stravaganti, come i thermos di caffè e le piramidi di lattine. Importantissime sono le pagine di un romanzo scritto dallo stesso Alan, che narrano vicende presenti e passate, aprendo squarci sui segreti di Bright Falls, e anche su eventi che devono ancora accadere, dandoci indizi su quello che ci attende dietro l’angolo, ma senza specificare quale angolo. Quindi andremo avanti nel gioco aspettandoci da un momento all’altro l’attacco di un gigantesco bulldozer, senza sapere quando questo avverrà, saltando a ogni rumore sospetto. La raccolta delle pagine del romanzo ha anche il lato negativo: introducendo questi flashforward rompe un po’ l’effetto sorpresa preparando troppo il giocatore.
Tra le altre trovate geniali del gioco ci sono le puntate di Night Springs, trasmesse in notturna da alcune delle varie TV sparse nelle case di Bright Falls. La serie è un chiaro rifacimento di Twilight Zone (al secolo Ai confini della realtà), con i classici argomenti soprannaturali e macabri che hanno reso celebre la serie americana. Piccoli inserti che danno corpo all’intero gioco, diversivi che intrattengono e divertono tra una battaglia e l’altra.
Come se il calderone non fosse già abbastanza pieno, i Remedy hanno pensato bene di aggiungere qualche sezione di guida. Nulla di eclatante, semplicemente ogni tanto per raggiungere un luogo saremo beneficiati dall’aiuto di un mezzo di trasporto motorizzato. Avessero fatto un servizio di autobus navetta, sarebbe stato più divertente. Queste parti del gioco sono assolutamente insipide, le auto da guidare sono poche e rispondono con durezza ai comandi. Qualcuno ha detto che in questo frangente si vede l’Alan Wake free-roaming del primissimo concept. Se è davvero così, allora sono felicissimo che sia stato trasformato in quello che è adesso!

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Per dirla tutta, il gameplay di Alan Wake è divertente, ma non è sconvolgente. Trascina il giocatore, non lo fa annoiare, ma effettivamente non ha quel guizzo per cui rimarrà negli annali della storia dei videogame. Alcune meccaniche sono un po’ datate, ma non per questo sbagliate o fatte male: i proiettili colpiscono con forza i nemici, la luce è un’introduzione molto interessante e a questo si aggiungono delle scarne sezioni di guida che non aggiungono né tolgono nulla al gioco in sé.
Divertente, ma non certo un nuovo termine di paragone, almeno nel gameplay.

Energizer

Dal punto di vista tecnico, Alan Wake sbalordisce sotto molti aspetti. La realizzazione dell’ambiente di gioco, sconfinato, è grandiosa. Gli enormi boschi, le montagne che sovrastano con le loro cime innevate, il lago con le sue acque nere cariche di segreti fanno di Bright Falls e dintorni un piccolo capolavoro di architettura e terraforming. Gli alberi sono perfetti e ondeggiano sotto la brezza che viene dal nord, l’effetto dell’acqua è forse uno dei più realistici che si siano mai visti su console. E la cosa che lascia veramente senza parole è che tutto l’ambiente è in continuo movimento e cambiamento. Non è infrequente vedere un albero abbattersi al suolo, un ponte distruggersi sotto i nostri piedi o automobili e barche piombare nel bel mezzo della strada spinte da un tornado. Effetti atmosferici, nebbia volumetrica sempre presente, piante solide e tante altre chicche sparse nel corso dell’avventura denotano l’alto livello tecnico dell’intero gioco, impreziosito da effetti di luce strepitosi e senza pari. Sparare un bengala o un razzo con la pistola accenderà e incendierà lo schermo, dando un vero senso di potenza alla stessa luce.
Il motore del gioco non si ferma qui, ma anzi rincara la dose, grazie a un perfetto uso della fisica, con collisioni perfette, gravità simulata senza tentennamenti, dovuto principalmente a un’implementazione senza errori di Havok, qui al suo meglio. Gli edifici sono perfettamente realizzati con maestria e ben integrati nel panorama.
La magnificenza del gioco viene espressa al massimo dalle sequenze panoramiche, con la telecamera che a volo d’uccello passa tra le cime delle montagne, in mezzo agli alberi, tra le strade cittadine, per poi volare via verso l’orizzonte.
Purtroppo, talvolta la stessa cura non si nota nella realizzazione dei personaggi, soprattutto quelli secondari. I volti e le texture appaiono talvolta poco definite e un po’ superficiali. Non vogliamo dire che sono fatti male, ma che non si sposano appieno con il resto della realizzazione. Le animazioni di Alan sono discrete, un po’ legnose quando salta e la corsa sembra un po’ forzata. D’altro canto, i Posseduti si muovono con circospezione con le armi alzate, e appaiono molto naturali, mentre scie di oscurità strascicano alle loro spalle, a dimostrazione di una cura artistica fuori dal comune. Una caratteristica un po’ scocciante presente ampiamente nel gioco è la pubblicità. Infatti, le batterie che utilizzeremo per la nostra torcia sono sempre e solo Energizer, su alcune TV assisteremo a spot televisivi di Verizon (compagnia telefonica statunitense) a cui sono dedicati anche tanti cartelloni pubblicitari. Insomma, abbiamo capito come siano riusciti i Remedy a portare avanti per sei anni questo loro ambizioso progetto!

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Il sonoro è grandioso: gli effetti sono stati riprodotti in maniera sublime. Legno che si spezza, lamiere che si contorcono, torri che crollano, tutto è reso alla perfezione e integrato con maestria all’interno del gioco. La colonna sonora è molto complessa, fatta di brani dark e d’atmosfera orchestrati da Petri Alanco e da canzoni di artisti pop rock svariati, come War dei Poet of the Fall, che già avevano collaborato con i Remedy per Max Payne.
Paradossalmente, nonostante questi nomi importanti e delle splendide musiche, la maggior parte del gioco scorrerà liscia, in silenzio, dove la natura sarà l’unica a sussurrare o urlare, prendendo il ruolo di protagonista. L’atmosfera angosciante e avvolgente creata in questa maniera è superlativa e senza pari, capace di trainare il giocatore verso luoghi sempre più oscuri e terrorizzanti.

All Night Long

Il gioco non è immenso o lunghissimo. Si attesta su una media onesta di 12 ore, che ovviamene aumentano se si inizia a cercare tutti i collezionabili. Esiste una modalità Incubo (il massimo livello di difficoltà), da affrontare se si vogliono scovare tutte le pagine del libro. Purtroppo, a parte questo, il gioco non ha granché da offrire. Il finale è uno solo, non ci sono strade alternative da seguire, personaggi nascosti da cercare. Una volta che la scene finali del gioco sono passate sullo schermo non ci resta che guardare i titoli di coda che avvisano a chiare lettere: l’avventura di Alan Wake nel buio continua. La nostra speranza è che non dobbiamo aspettare altri sei anni!

End of Season One

Per concludere, Alan Wake ha tantissimi pregi, in primis e forse il più importante, una bellissima storia, che affascina e intrattiene. Volenti o nolenti, il desiderio di sapere come va a finire sarà talmente forte da lasciarvi incollati alla poltrona con lo sguardo fisso sullo schermo. Il gioco vi spaventerà a dovere, su questo non c’è dubbio, ma vi pervaderà di un senso maligno di angoscia e inquietudine pressoché costante tanto da farvi guardare sempre alle spalle. Dal punto di vista tecnico il lavoro dei Remedy è encomiabile sotto molti aspetti, ma un po’ meno sotto altri, anche se si attesta su valori molto alti. Il gameplay manca di una componente esplorativa degna di questo nome e di elementi tipici di un’avventura, che avrebbero arricchito l’esperienza di gioco.
Pensavo, quando ho iniziato a giocare ad Alan Wake, di trovarmi di fronte a un gioco che avrebbe ridefinito le regole dell’avventura horror. Purtroppo non è così ma, per essere sincero non me ne dispiaccio. Alan Wake deve molto alla letteratura moderna, al cinema e alla TV, più di quanto si possa immaginare, ma ha il vantaggio di proporre quelle idee in una forma nuova e ben strutturata. Non ridefinisce le regole delle avventure, semplicemente perché non vuole. Alan Wake dimostra come si deve raccontare una storia in forma di videogame, senza artifici o invenzioni di sorta. Alan Wake è un romanzo che casualmente è finito in un DVD pieno di poligoni e così si è adattato.
Da giocare assolutamente, al buio e da soli.