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Recensione One Piece Burning Blood

di: Giovanni Manca

Ammetto di non essere mai stato un fan della prima ora dell’opera omnia di Eiichirō Oda ma, anzi, di essere arrivato colpevolmente in ritardo ad indossare il cappello di paglia e assaggiare il frutto del diavolo: oggi però il magnetismo che mi ha trascinato negli oltre 800 episodi di One Piece ormai è psicologicamente necessario. Al contrario, i videogiochi dedicati alla serie non mi hanno mai entusiasmato, non i più recenti Pirate Warriors né tanto meno gli Unlimited Cruise: oggi è la volta di Burning Blood, sviluppato da Spike Chunsoft, noti per i Pokémon Mystery DungeonJ-Star Victory.

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Rufy e arena!

Si tratta di un titolo strutturalmente diverso rispetto agli altri dedicati alla serie, soprattutto rispetto a Pirate Warriors di KOEI/Omega Force, chiaramente ispirato alla serie Naruto Ultimate Ninja Storm, vero e proprio parametro di riferimento del genere grazie ad un lavoro di qualità altissimo di Cyberconnect2. L’azione si svolge su arene di media grandezza, in cui gioca un ruolo chiave l’equilibrio tra spostamenti, attacchi dalla distanza e quelli ravvicinati, skip tattici tra i personaggi coinvolti. Ruolo chiave certamente ma, dopo diverse sessioni di furiose battaglie, ci si rende conto che non tutto funziona alla perfezione, anzi; a dirla tutta non mi hanno mai entusiasmato i picchiaduro strutturati su grandi distanze ma ammetto di essermi divertito parecchio con Naruto e compagnia mentre con l’ultimo lavoro di Spike ci sono diversi di elementi che rovinano tutto o quasi: si passa troppo tempo in fase inseguimento/fuga, il sistema di controllo e il t in generale è troppo semplificato, il bilanciamento di forza tra i personaggi e i rispettivi attacchi è, per così dire, decisamene rivedibile. L’intenzione è stata chiaramente quella di favorire ed esaltare l’estrema spettacolarità dell’azione su schermo, quasi nel tentativo di distrarre il giocatore impegnandolo in un sistema di combattimento troppo tecnico: un pulsante per la combo base, uno per la mossa speciale personale, uno per la parata, ulteriori mosse speciali attivabili con i tasti dorsali e gli stick del controller. L’esecuzione dei colpi è così piuttosto semplice, il che comunque non vuol dire si traduca in un livello di sfida basso: è vero che in molte battaglie lo schema per avere la meglio è sempre lo stesso, ossia stare in parata per poi attaccare, è altrettanto vero però che negli stage finali la forza degli avversari è davvero esagerata, spesso frustrante. Considerata la relativa facilità del gioco, si rischia di arrivare impreparati al suo epilogo, odiarlo e abbandonarlo. Sicuramente il combat system propone degli spunti interessanti, come ad esempio l’utilizzo delle abilità dei personaggi di supporto, ma il giudizio non può non essere che quello di essere davanti ad un progetto ancora immaturo.

Mugiwara War!

La modalità principale del gioco è ovviamente la modalità storia, denominata “Guerra Suprema”, suddivisa in quattro capitoli, raccontata dalle prospettive dei quattro protagonisti Rufy, Ace, Barbabianca e Akainu, il che porta a utilizzare personaggi diversi. La trama è incentrata sulla volontà di Rufy di salvare Ace, con tutti gli intrecci e conseguenti storie parallele che caratterizzano l’opera di Oda, esaltata da sequenze filmate che faranno la felicità di tutti i fan. Peccato l’esperienza sia troppo breve, cinque ore circa, e la presenza di un numero esagerato di personaggi (complessivamente un centinaio), in grado eventualmente regalare altre storyline, è quasi sprecato. Molto interessante la modalità online denominata Bandiera Rubata, in cui l’obiettivo e scalare il ranking mondiale rappresentando una delle sedici nazione nelle battaglie sia contro altri utenti sia contro nemici controllati dalla IA.

Prima abbiamo fatto riferimento alla serie Naruto di Cyberconnect2 come parametro al quale Burning Blood deve necessariamente confrontarsi, e se questo vale dal punto di vista del gameplay non di meno si può dire dal punto di vista tecnico. Spike tutto sommato ha fatto un lavoro discreto ma davanti alla spettacolarità e maestria nell’uso del cel shading da parte della “concorrenza”, non solo Cyberconnect2 ma anche roba più vecchia (Dragon Ball, Ni No Kuni, Madworld e molti altri), la delusione è palese. Non nego che questa possa derivare in parte dal fatto che si stia parlando di uno dei manga più celebri degli ultimi vent’anni, ma la strada per farci spalancare la mascella è ancora piuttosto lontana.

Un Gom Gom per Spike Chunsoft

Se dovessi definire con una sola parola One Piece Burning Blood, la prima che verrebbe in mente dopo qualche ora di gioco, sarebbe “bozza”. La sensazione è quella infatti di un prodotto ancora immaturo, in cui le buone idee ci sono e si vedono ma ancora non sono state sviluppate in modo completo, come se non ci fosse la convinzione della loro validità o, peggio, come se non ci fossero le capacità per farlo. Burning Blood si rivolge assolutamente alla fan base di Oda ma questo non vuol dire che possa essere accolto con tripudio e giubilo, anzi, forse il contrario, trattandosi appunto di appassionati esigenti. Rimandato assolutamente, titolo da far comprare al cugino ricco pronto a regalarvelo al primo sbadiglio.