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Recensione Nier: Automata

di: Simone Cantini

Il mio rapporto con NieR: Automata è stato quanto mai burrascoso: il primo impatto con il titolo di Yoko Taro, grazie alla demo, mi aveva lasciato quanto mai basito (come dicevo qua); il sentimento si è tramutato presto in vero e proprio fastidio al termine della prima run della versione completa, rea di avermi allontanato da Aloy, salvo poi mutare in stupore durante la seconda sessione e finire per divenire vera e propria esaltazione una volta conclusa questa splendida avventura per la terza volta. Sono una persona bipolare? Può essere, ma di sicuro gran parte di questo turbinio di emozioni può solo essere imputato ad uno dei videogame più strani e sorprendenti che mi sia mai capitato di giocare.

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Ghost in the machine

Terra: in un futuro lontano 10000 anni la razza umana, per sfuggire ad un’invasione aliena e alle biomacchine che hanno oramai devastato la superficie terrestre, è stata costretta a rifugiarsi sulla Luna. La loro unica speranza di riconquista è riposta nell’armata YoRHa, un gruppo di androidi costruiti appositamente per debellare la minaccia meccanica. Tra le loro fila si muovono la letale e razionale 2B, lo scanner 9S e la misteriosa A2, il trittico di personaggi attorno al quale si svilupperà la vicenda narrata in questo NieR: Automata. Data la struttura particolare del titolo Platinum Games non fornirò ulteriori dettagli in merito, visto che ogni minima anticipazione potrebbe seriamente compromettere lo stupore che accompagnerà ogni vostro passo all’interno di questo mondo oramai devastato e ridotto in macerie. Ogni parola di questa umile recensione, difatti, non potrebbe assolutamente rendere giustizia ad un’esperienza quanto mai unica, in cui Yoko Taro è riuscito sapientemente a condensare odio, speranza, malinconia, tristezza e azione. Un pout pourri di emozioni che funge da naturale corollario ad un gameplay che pare prendere in giro l’iter canonico del videogaming, rivoltandone struttura e convenzioni, ribaltando senza apparente soluzione di continuità le prospettive a cui ci hanno abituato anni di intrattenimento digitale. NieR: Automata, difatti, non è solo un eccellente action game di pura razza Platinum, anche se meno tecnico e stiloso di un qualsiasi Bayonetta, né uno shoot’em up, un twin stick shooter, un metroidvania o un banale RPG. Nonostante questi elementi siano presenti in maniera massiccia e ben evidente all’interno della sua struttura volutamente contorta. Apprezzare il lavoro di Yoko Taro vuol dire andare oltre la sua apparentemente rozza superficie: ovvio, si menano fendenti mentre si danza letali tra una biomacchina e l’altra, ci troviamo lo schermo invaso di tonnellate di proiettili da evitare (in perfetto stile bullet hell shooter), oppure è possibile perdersi in un sistema di personalizzazione del nostro alter ego, grazie all’inserimento di chip elettronici e all’upgrade delle armi, in perfetto stile ruolistico. Eppure non è questo che il designer nipponico ci vuole raccontare, non è la riproposizione canonica e precisa di meccaniche già vissute in altri titoli che gli interessa. Taro vuole proporci il suo particolare modo di intendere il medium videoludico, la sua volontà di rompere gli schermi e proporre un’esperienza capace di non essere rapportata a niente che sia già stato giocato. E lo fa scegliendo elementi sin troppo comuni e abusati: se non è genio questo…

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Capire, però, richiede anche che qualcuno sia disposto ad ascoltare e farlo, nel caso di NieR: Automata, significa non fermarsi ai titoli di coda. Per lo meno non ai primi che si incontreranno. Il gioco, difatti, richiede di essere completato almeno tre volte per dipanare sotto i nostri occhi tutto il suo essere, fornendo ogni volta (state pure tranquilli!) soluzioni di rigiocabilità sorprendenti, capaci di variare in maniera sostanziale eventi che fondamentalmente potremmo aver già vissuto solo poche ore fa, ponendoci di fatto al cospetto di un nuovo gioco. Poi, giusto per non farsi mancare nulla e prendere ulteriormente in giro i giocatori più navigati, Taro non si vergogna di presentarci un nuovo incipit, con tanto di titoli di testa, dopo quasi venti ore di gioco, cambiando ancora una volta le carte in tavola con un sorprendente ed abile colpo di mano. Se avrete voglia di ascoltare le parole del designer vi troverete, quindi, al cospetto di un’opera dannatamente accattivante, a cui fa da degna cornice una storia malinconica e spiazzante che, dopo un inizio che non sembra nascondere niente che non sia stato già raccontato, finisce con il colpirci allo stomaco con un finale spiazzante, capace di farci ricredere in merito a tutte quelle che sono state fino a quel momento le nostre azioni. Nel caso malaugurato in cui ad un videogioco chiediate semplice intrattenimento, NieR: Automata vi ricompenserà ugualmente con scontri frenetici, boss battle originali e adrenaliniche, un nutrito numero di subquest (seppur minate da un eccessivo backtracking) ed una longevità di tutto rispetto, che presta il fianco solo ad un end game incapace di adattarsi al livello raggiunto dal giocatore (niente che non possa essere risolto da un patch per fortuna). Tutto molto bello, ma sarebbe come andare in un ristorante stellato e chiedere il conto dopo aver assaggiato solo il pane.

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Superare i propri limiti

Tutto molto bello, ben scritto ed integrato, come evidenzia in maniera efficace il voto che trovate in chiusura. Nessuna magagna dunque? NieR: Automata è davvero un titolo privo di sbavature? Assolutamente no, dato che angoli da smussare la produzione Platinum ne avrebbe. Il limite più evidente è rappresentato dalla pochezza estetica del comparto grafico, decisamente sin troppo essenziale nella sua messa in scena, capace di ricordare (ahinoi) gli ambienti desolanti tipici dei musou, muri invisibili compresi. Non mancano fortunatamente scorci degni di nota, uniti ad uno stile capace di trasmettere tutta l’angoscia e la decadenza di un pianeta oramai devastato, ma PS4 ha oramai dimostrato di poter osare di più, considerando anche l’ampiezza ristretta dell’open world proposto. Fortunatamente questo risparmio estetico è riuscito a garantire una fluidità di azione elevata (anche se dopo un paio di patch), capace di mantenere nella quasi totalità delle situazioni i 60 frame al secondo. Rimane comunque il dubbio di cosa avrebbe potuto essere NieR: Automata se le forze di Platinum non fossero state frammentate a causa del (purtroppo) cancellato Scalebound. Non mancano anche alcuni problemi legati ad una gestione quanto mai ballerina della telecamera che, complice anche un lock sui nemici non proprio praticissimo, rende talvolta sin troppo caotiche le scene di lotta sovraffollate. Ed in questi casi anche la palette cromatica monocorde degli avversari non facilità certo il compito del giocatore. Pesano anche alcune leggerezze relative alla scelta, scellerata, di infarcire le boss battle di dialoghi fondamentali per la comprensione della trama che, se possono essere facilmente recepiti settando il doppiaggio inglese, richiedono sforzi sovrumani di coordinazione qualora si scelga il superiore voice over nipponico. Lo so, sembrano davvero tutte magagne difficilmente sopportabili, ma poi basta che 2B faccia la sua comparsa sullo schermo, accompagnata dalla maestosa colonna sonora composta da Keiichi Okabe per lasciarci senza rimpianti tutto alle spalle. Lo stile e l’accompagnamento sonoro, difatti, rappresentano due massicci punti di forza di NieR: Automata e proprio le note del compositore giapponese, in attesa di vedere cosa ha combinato Shoji Meguro con Persona 5, si candidano seriamente come miglior partitura musicale di questo 2017. Ascoltate anche solo la splendida canzone finale e non potrete non darmi ragione.

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NieR: Automata è la classica dimostrazione di come non sia la somma delle parti a fare il totale. Un’analisi meccanica dei suoi vari aspetti, difatti, non potrebbe certo portarsi in dote la valutazione che mi sono sentito in dovere di tributargli, dato che difetti tutto sommato macroscopici si contrappongono ad elementi di eccellente fattura. Però, mai come in questo caso, il semplice gesto di impugnare il pad riesce a far dimenticare ogni stortura, complice anche un design complessivo capace di ammaliare il giocatore ad ogni passo. Certo, resta il rammarico di sapere cosa avrebbe potuto essere l’opera di Yoko Taro se fosse stata accompagnata da un budget più sostanzioso, ma nonostante tutto NieR: Automata è un titolo che tutti i giocatori dovrebbero possedere nella propria ludoteca. Fatevi (e fateci) un favore, comperatelo, anche se magari non lo giocherete mai: di sicuro il vostro scaffale dei giochi sorriderà.