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Recensione Layers of Fear

Dopo aver debuttato qualche mese fa in versione "early access", Layers of Fear fa capolino sugli store digitali di PS4 e Xbox One nella sua forma definitiva, forte di aver già incontrato l'interesse degli "early adopter". Vediamo insieme di che si tratta e se vale la pena acquistarlo. 

di: Santi "Sp4Zio" Giuffrida

Dopo aver debuttato qualche mese fa in versione “early access”, Layers of Fear fa capolino sugli store digitali di PS4 e Xbox One nella sua forma definitiva, forte di aver già incontrato l’interesse degli “early adopter”. Vediamo insieme di che si tratta e se vale la pena acquistarlo.

Viaggio nella follia

Dichiaratamente ispirato all’acclamatissimo P.T., il playable teaser concepito dalle menti contorte di Hideo Kojima e Guillermo del Toro, Layers of Fear si presenta come un horror game psichedelico in prima persona che strizza l’occhio ai grandi classici di Edgar Allan Poe. Un viaggio disturbato e disturbante nei labirinti della mente di un pittore ormai in declino in preda alla follia. Una sorta di allucinazione permanente, tra orrori, inquietanti elucubrazioni e loop angoscianti. 
Diciamolo subito, Layers of Fear non si limita a fare il verso a P.T. ma propone una storia sì telegrafica ma ben scritta, che riesce a condurci fino ai titoli di coda senza particolari indugi. Viviamo quindi in prima persona il dramma di un uomo, tormentato da quanto accaduto alla moglie e ossessionato dall’indomabile necessità di realizzare il capolavoro perfetto. Tra stanze mutevoli, corridoi claustrofobici, opere d’arte allucinogene, bambole e giocattoli impazziti e agghiaccianti brusii, ci ritroviamo immersi in un puzzle emotivo che, tassello dopo tassello, ci pone davanti ad una tragedia dai particolari raccapriccianti che sfocia nel macabro, i cui momenti salienti sono scanditi da un comparto sonoro perfettamente aderente al contesto che ben si presta a qualche salto sulla sedia. La tensione regna sovrana e non di rado ci si sente oppressi da quella strana sensazione che stia per accadere qualcosa di inquietante. Nonostante tutto, però, è giusto sottolinearlo, risulta impossibile non riconoscere di tanto in tanto e qui e là alcuni degli stilemi da B-movie più abusati. I giocatori più immuni ai “salti di paura” sono quindi avvisati. 

Don’t look back

Qualora non si fosse già capito, Layers of Fear è l’ennesimo gioco che fa leva sulle sensazioni e suggestioni che è in grado di suscitare nella mente di chi ne fruisce i vari “colori”. Il gameplay, infatti, è praticamente ridotto all’osso, quasi del tutto incentrato sull’esplorazione: una porta dopo l’altra, interagiamo con alcuni oggetti, leggiamo qualche documento che fa luce sulla lugubre vicenda e poi, una volta entrati in possesso del “tassello mancante”, facciamo ritorno nella stanza in cui è custodito il dipinto incompiuto. E così via, fino a completarlo, strato dopo strato. 
La scarsa interazione, l’eccessiva linearità e la mancanza di veri e propri enigmi lasciano indubbiamente l’amaro in bocca ma è altrettanto vero che Layers of Fear ha il suo perché. L’architettura distorta e cangiante della vittoriana magione e le ossessioni che abitano nella mente del protagonista lasciano il segno, inutile negarlo. 
Ci troviamo dunque di fronte ad un’esperienza sensoriale, straniante e sgorgante di tensione ma l’appellativo di “capolavoro” resta comunque inafferrabile. Godibile, certo, ma non a prezzo pieno.