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Recensione Far Cry 3: Blood Dragon

Cosa succede se Ubisoft tenta di fare un'espansione stand-alone che con Far Cry 3 condivide solo il motore grafico e il nome, richiamando i canoni dei giochi anni '80? Il risultato è Far Cry 3: Blood Dragon.
Curiosi di sapere altro? Leggete la recensione di Console-Tribe a cura di Gianmarco "St Jimmy" Forcella!

di: Gianmarco Forcella

Far Cry è sicuramente uno degli FPS più famosi prodotti da Ubisoft: basta guardare i sorprendenti dati di vendita del terzo titolo. Ma cosa succede se la nota software house tenta di fare un’espansione stand-alone che con il celebre videogioco condivide solo il motore grafico e il nome, richiamando i canoni dei giochi anni ’80? Il risultato è Far Cry 3: Blood Dragon.

Un mondo ambientato nel futuro che è già passato

Siamo nel 2007, in un mondo in cui è scoppiata una guerra termonucleare che si è trascinata per decenni ed è proprio durante questi eventi che si cominciano a produrre i primi soldati-cyborg: metà uomini, metà macchina. Il protagonista di turno, il sergente Rex Colt, ha il compito di trovare assieme al suo plotone un’arma biochimica, collocata in un’isola remota, che potrebbe condurre alla pace. La squadra del sergente verrà totalmente distrutta e toccherà a quest’ultimo proseguire la missione e trovare un modo per sconfiggere l’antagonista di questa storia, tale Sloan.
Ad assisterlo nella sua avventura il sergente avrà a disposizione svariati tipi di armi (di cui il sistema di puntamento rimane quello della saga Far Cry), oltre ad un “potentissimo” dado a dodici facce che allontanerà i nemici in caso di necessità. E non stiamo parlando di un qualche tipo di bomba/fucile o cose simili: un dado vero e proprio, il cui unico scopo è quello di distrarre la milizia nemica per prenderli di sorpresa.
Un punto cruciale nella mappa di gioco sono i presidi (concetto ripreso dalla serie di Assassin’s Creed), sparsi per tutta la regione, che funzionano come basi d’appoggio dove è possibile rifornirsi di munizioni o accettare missioni secondarie: conquistarli non è semplice ed esistono molteplici modi come sconfiggere tutti gli uomini dell’Omega Force presenti nell’aria, i cattivi di turno, disattivare gli scudi termici presenti o attrarre vicino alla fortezza un drago. Conquistare questi luoghi, uccidere nemici e compiere altre azioni permette di ricevere punti esperienza che permettono, una volta raggiunto un nuovo livello, di ottenere nuove abilità o di vedersi incrementare la vita.
Nella fase esplorativa, come in Far Cry 3, bisogna prestare anche attenzione alla fauna circostante in quanto animali di ogni genere potrebbero assalirvi ma in particolar modo ai draghi, bestie molto feroci che difficilmente potrete abbattere con una semplice pistola: per allontanare queste bestie risulterà quindi necessario (non in tutti i casi però) usare il “cybercuore”, oggetto che può essere rubato dai nemici una volta sconfitti. Oltre a questi pericolosi esseri, nell’area di gioco sono presenti diversi oggetti da collezione come le televisioni che regalano dei punti esperienza oltre che a crediti da usare per rifornirsi di munizioni ed accessori per le proprie armi.
Parlando dei nemici presenti in Blood Dragon, ne esistono principalmente tre tipi (soldato semplice escluso): il piromane, che usa sempre Molotov, il corazzato, che usa una mitragliatrice ed è rivestito da una possente corazza e i lancieri, dotati di un potente lanciafiamme.
Sostanzialmente quindi, da come traspare finora e sopratutto per chi già conosceva la serie, le meccaniche di gioco sono uguali a quelle della serie di Far Cry eppure il titolo trasmette una sensazione di “differenza”: vediamo come.

Ritorno agli anni ’80

Alla base di questa percezione di “differenza” ci sono due elementi: il primo è che tutte le cut-scene, necessarie per comprendere la storia, sono state realizzate in grafica 2D; il secondo invece, è l’atmosfera che si percepisce nel titolo. A prima vista, potreste pensare che sia una mossa piuttosto anomala eppure non a caso all’inizio di questa nostra recensione abbiamo affermato che Blood Dragon segue i canoni dei videogiochi degli anni ’80. È proprio qui il punto: gli sviluppatori di Ubisoft hanno voluto creare un’opera che rispecchiasse un po’ lo stile delle glorie del passato, aggiungendo anche diversi momenti 
che strappano un sorriso al videogiocatore come le simpatiche schermate che vengono proposte durante il tutorial, il caricamento ed i dialoghi che Rex ha con l’interfaccia utente, ovvero il suo supporto. Un esempio lampante? Il menù principale o quello accessibile durante le fasi di gioco, che ricordano i terminali di alcuni computer o di videogiochi di quegli anni.
A completare questa simpatica cornice, come in ogni Far Cry, è presente anche un doppiaggio completamente in lingua nostrana accompagnato da un ottimo comparto sonoro.
Dal punto di vista grafico invece, Blood Dragon è uguale in tutto e per tutto a Far Cry 3: ciò succede perché anche questo titolo sfrutta il Dunia Engine 2, lo stesso motore grafico che Ubisoft ha usato per le avventure di Rook Island.

Un biglietto di sola andata per un’avventura con Rex Colt, grazie

Quando è stato inizialmente annunciato in via ufficiosa (essendo stato presentato il primo aprile quasi nessuno ci ha creduto), ero abbastanza scettico su questo titolo: un ritorno ai canoni dei videogiochi di un tempo? Certo, un esperimento rischioso ma che, se condotto bene, può sfornare un Titolone. (la T maiuscola è voluta)
Ciò che Ubisoft ha saputo creare con quest’espansione stand-alone, ha però superato l’immaginabile: Blood Dragon è infatti un ottimo esempio di come i vecchi canoni dei videogiochi degli anni ’80, l’atmosfera che ne deriva e le meccaniche di gioco di un FPS come Far Cry possano convivere in una sola esperienza.
Unica pecca? L’assenza di una modalità multiplayer, in modo da rendere le avventure di Rex Colt più longeve.
In conclusione: se avete 15€ da spendere sul PSN e sull’Xbox LIVE, non potete farvi scappare Far Cry 3: Blood Dragon. Non ve ne pentirete.