Recensioni

Déraciné

di: Simone Cantini

Oramai Hidetaka Miyazaki può essere considerato senza ombra di dubbio uno dei game designer più influenti ed interessanti sulla piazza. Pur essendo sulla scena da diversi anni, sono serviti i nomi di Demon’s e Dark Souls a far salire alla ribalta lo sviluppatore nipponico, al punto da far nascere attorno a lui un vero culto di appassionati. È proprio per questi motivi che non appena si è saputo che il capo di From Software era al lavoro, assieme al suo team, su di un titolo esclusivo per PlayStation VR, le aspettative nei confronti di questa sua ennesima digressione creativa si erano fatto spasmodiche. Sarà, dunque, riuscito Déraciné a reggere il peso di cotanta attenzione?

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Tra color che son sospesi

Ambientato in un luogo ed in un tempo non meglio precisati, ma ricchi di suggestioni visive che richiamano con veemenza l’epoca vittoriana, Déraciné ci catapulterà all’interno di una narrazione sospesa tra due mondi: quello dello “spirito gentile” che andremo ad impersonare e quello in cui si intrecciano le esistenze di un gruppo di orfani ospitati presso una sperduta magione. A reggere le fila di questi universi all’apparenza destinati a non collidere mai, troveremo uno dei temi più cari a Miyazaki-san, ovvero la morte, vista però ancora una volta non come la fine di tutto, ma semplicemente come il punto di partenza dal quale rimediare ai propri errori. Si tratta di una tematica comune al genere da lui reso popolare negli ultimi anni, quei soulslike che sfruttano il perire come strumento di apprendimento, utile a tornare sui propri passi per poter correggere, magari più e più volte, una scellerata decisione. Ed è proprio attorno a questo cerchio, scandito anche dalla possibilità di viaggiare attraverso il tempo e lo spazio, che andrà a modellarsi la storia dell’amicizia tra lo spirito gentile ed il gruppo di giovani, con i quali sarà davvero arduo non riuscire a stabilire una sorta di legame empatico, pur a dispetto di una durata non elevatissima (siamo attorno alle 5 ore). Per quanto frammentata e per certi versi sottintesa, come vuole lo stile di Miyazaki, la storia che si sviluppa attorno al cast riesce a tratteggiare in modo estremamente diretto le varie personalità in gioco, spingendoci talvolta a maledire bonariamente l’impossibilità, causataci dai nostri panni eterei, di interagire in modo più consistente con loro. Intrappolati, nelle vesti di spirito, in un non luogo in cui il tempo ha perso ogni significato, potremo unicamente contare sulla possibilità di assorbire la vita degli esseri viventi, siano essi piante, animali o esseri umani, per trasferirla in altri, oppure spostare piccoli oggetti per rendere gli umani consci della nostra impalpabile presenza. A chiudere il cerchio delle possibilità interattive troviamo un orologio da tasca, in grado di registrare il tasso di sincronia con il presente e che, una volta raggiunta la perfezione, ci permetterà di spostarci avanti ed indietro tra i giorni (seppur in forma guidata), così da far proseguire la narrazione, fino a giungere al curioso e toccante finale, in cui Miyazaki non si è risparmiato la libertà di concedersi un piccolo divertissement creativo.

Echi dal passato

Non potendo scendere più di tanto nel dettaglio per quanto concerne la narrativa, onde evitare i consueti e fastidiosi spoiler, credo sia giunto il momento di arrivare al nocciolo portante della questiona: che gioco è di preciso Déraciné? Sinteticamente si potrebbe senza ombra di dubbio inquadrare all’interno del filone dei walking simulator, dato che passeremo la maggior parte del tempo a spostarci tra le varie ambientazioni, interagendo laddove il gioco lo prevede per far poi proseguire gli eventi. Queste derivazioni ci vedranno, come accennato poco sopra, quasi sempre intenti a muovere determinati oggetti, oppure a combinarne alcuni tra di loro, talvolta potendo contare sui poteri di transfert vitale del nostro spirito gentile. Non si tratta, in definitiva, di niente di rivoluzionario, anzi sotto certi aspetti il tutto appare un po’ troppo stantio e vetusto anche per un prodotto destinato alla realtà virtuale, tradendo di fatto l’inesperienza nel settore di Miyazaki e del suo team. Questa arretratezza di design è evidente già dal sistema di movimento che sfrutta il teletrasporto, così come dalla rotazione della visuale a scatti. È vero che il tutto è tarato attorno all’uso esclusivo dei Move, ma data la limitata (e per certi aspetti forzata) interazione tra le due mani, di sicuro si sarebbe potuto approcciare il gameplay anche in maniera alternativa. La stessa struttura dei vari enigmi non rende giustizia alla genialità conclamata del designer, rendendo il tutto invero basilare e privo di reali spunti creativi. È evidente, pertanto, come la forza di Déraciné sia da circoscrivere all’interno del suo sviluppo narrativo che, pur a dispetto della citata compressione temporale e del suo procedere per frammenti apparentemente scollegati tra loro, finisce per coinvolgere in modo marcato il giocatore, portandolo così a sorvolare senza troppi patimenti sul ridotto approccio ludico/interattivo. Questa limitata interattività, però, si porta dietro il vantaggio di consentire al titolo di sfoggiare un comparto tecnico quanto mai solido, forte di ambienti e personaggi riccamente dettagliati ed in grado di offrire un colpo d’occhio senza dubbio intrigante. Su tutto svetta comunque la direzione artistica generale, che pur in assenza di una narrazione di stampo horror, riesce ad instillare in ogni sezione un’atmosfera cupa e decadente, che per certi versi richiama alcuni passaggi di Bloodborne. Ottimo anche il comparto audio, grazie ad un riuscito doppiaggio in lingua nostrana e ad un accompagnamento sonoro efficace al punto giusto.

Déraciné non è cero il titolo VR per eccellenza, anzi, per certi aspetti ne rappresenta quasi un esperimento embrionale. La produzione From Software ha però il pregio di presentare, grazie anche ad alcuni spunti narrativi interessanti, una valida incursione nel mondo dei walking simulator, oltre che un’imperdibile occasione per assaporare un Miyazaki più rarefatto e malinconico, anche se restio a rinunciare ad alcuni punti saldi della sua personale visione creativa. Un debutto tutto sommato positivo, che paga il pegno di un’inesperienza creativa all’interno delle pareti virtuali, ma che si lascia comunque giocare e vivere con estremo piacere, pur con tutti i suoi limiti strutturali.