Recensioni

Child of Light

di: Simone Cantini

Sono molto affezionato a Child of Light per una duplice serie di motivi: il primo, più banale, è che l’ho trovato un piccolo gioiello tecnico/ludico, capace di divertirmi e commuovermi in maniera davvero molto marcata. La seconda ragione che mi lega al titolo Ubisoft è che si tratta del primo gioco finito in (quasi) completa autonomia dalla piccola di casa, un gioco che nel corso degli anni le è più e più volte capito di riprendere in mano, stregata da quella bambina dai capelli ondeggianti. Ed è proprio per lei, per vederla tornare a sognare nuovamente come qualche anno fa, che non appena il codice della versione Switch è arrivato in redazione, mi sono prontamente candidato per la recensione.

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Sogno o son defunta?

Quella di Aurora è una bellissima, malinconica fiaba ambientata sul finire del secolo scorso. Una toccante storia di crescita in cui il confine tra la vita e la morte, il sogno e la realtà, si fa labilissimo in più di un’occasione, dando vita ad un vero e proprio dipinto leggero ed ammaliante. Narrata per mezzo di un azzeccatissimo insieme di dialoghi in rima (un plauso all’adattamento nostrano ci vuole!), collocati all’interno di un fatato mondo tratteggiato a colpi di acquerello, l’avventura della bambina dalla rossa chioma riesce a mantenere intatto ancora oggi, a ben 4 anni e mezzo di distanza da quel debutto crossgenerazionale, tutto il proprio fascino, che è stato capace di resistere con fierezza ed autorevolezza al susseguirsi delle stagioni. Child of Light rappresenta uno dei punti espressivi più alti del catalogo minore di Ubisoft, pur permettendosi di sfidare a testa alta i suoi colossi più agguerriti, uscendone tra l’altro vittorioso in più di un confronto. Il lavoro confezionato dalla divisione di Montreal del colosso dell’entertainment, difatti, pur presentando una struttura ruolistica priva di numerosi orpelli e fastidiose complicazioni, poggia solidamente le proprie basi su di un gameplay quanto mai semplice da metabolizzare, ma non per questo meno avvincente.

La semplicità paga

Child of Light può essere banalmente inserito all’interno della casella dei simil jrpg, per quanto sviluppato da un team occidentale: pur essendo caratterizzato da un marcata esplorazione, comunque lineare in molti aspetti data la natura bidimensionale della produzione, la parte del leone la vanno a fare i numerosi combattimenti che dovremo affrontare prima di giungere allo struggente epilogo. Questi si baseranno sulla saggia gestione di una Action Time Battle, a cui si affianca la possibilità di interrompere le azioni degli avversari. Una volta in battaglia avremo ben visibile un indicatore, sul quale scorreranno le icone dei personaggi in lotta che, una volta giunti quasi alla fine della loro corsa, potranno attivare l’azione prescelta. Se questa andrà a colpire un nemico in fase di casting, ecco che lo vedremo perdere il turno e retrocedere di un poco lungo l’indicatore. Il meccanismo, per quanto concettualmente basilare, permette di conferire ai combattimenti di Child of Light uno spessore tattico davvero consistente, che viene ulteriormente corroborato dalla possibilità di controllare il piccolo Igniculus, la luce guida di Aurora. L’azzurro esserino, difatti, potrà essere mosso liberamente durante gli scontri, sia per curare gli alleati, che per rallentare gli avversari, a patto di avere sufficiente energia a disposizione. Questa semplicità di approccio al genere, che però abbiamo visto non essere sinonimo di piattezza, si applica anche al corollario di personalizzazioni da sempre garantite dagli RPG, con un inventario ridotto veramente all’osso, ma potenziabile per mezzo di gemme craftabili, e di un set di abilità (peculiare per ciascun personaggio) decisamente standard. Una volta che, però, tutto quanto è in movimento sotto gli impulsi del nostro pad, la perduta complessità del genere di riferimento finisce per svanire come la nebbia illuminata dai primi raggi del sole, lasciandoci soltanto un’avventura estremamente godibile e giocabile. Forse, a ben vedere, l’unica pecca può essere rappresentata da una difficoltà tutto sommato morbida, in cui i momenti ostici sono estremamente diluiti e comunque privi della necessità di attuare un grinding selvaggio per essere domati.

A colpi di pennello

Splendido, meraviglioso, bellissimo da vedere. Ecco, aggiungere anche solo un’altra definizione non riuscirebbe, comunque, a rendere giustizia al comparto estetico di Child of Light. L’utilizzo dell’Ubiart Framwork, motore che mi auguro di rivedere quanto prima in azione, ha permesso la realizzazione di una grafica dai toni delicati e surreali, che prende vita sotto i colpi di evanescenti tonalità acquerello. L’effetto in movimento è visivamente sublime ancora oggi, impreziosito anche da piccoli dettagli in grado di fare davvero la differenza: fermatevi anche solo per una manciata di minuti ad osservare la chioma di Aurora mossa dal vento ed avrete ben chiaro a cosa mi riferisca. Superbo anche il comparto audio, forte di un eccellente doppiaggio in lingua nostrana e, soprattutto, di una colonna sono maestosa e struggente, che ha accompagnato me e la mia piccina in più di un viaggio in auto. Peccato soltanto per un frame rate non proprio solidissimo in modalità portatile, ma che comunque non inficia più di tanto la fruibilità generale, proprio in virtù del genere proposto da Child of Light. La versione Switch, inoltre, si porta in dote anche tutti i contenuti aggiuntivi rilasciati nel corso del tempo e viene proposta, una volta tanto, ad un prezzo in linea con quello dell’uscita originale.

Child of Light è ancora oggi un titolo bellissimo in ogni sua sfaccettatura, una vera e propria fiaba digitale fortemente interattiva. Semplice da domare, ma non per questo meno avvincente, la storia di Aurora sa coniugare con maestria un gameplay morbido, ma non privo di sfumature tattiche, ad una narrazione sognante in grado di rapire anche il cuore più arido. Forza Ubisoft, cosa aspetti ad annunciare questo seguito tanto mormorato?